Riceviamo e pubblichiamo:

L’autoreferenzialità è la versione collettiva del narcisismo individuale. 

Quante volte abbiamo mosso la critica di autoreferenzialità verso scelte altrui o nostre sia in termini progettuali che di iniziative specifiche? Perché non fare un passo indietro e iniziare a guardare le cose come sistematicamente rivolte alla “nostra persona” ma guardarle inserite, come realmente sono, in un contesto più ampio? Almeno per una lettura di qualcosa di semplice, non particolarmente rilevante e assolutamente perdibile.

“Questo mondo non mi renderà cattivo”, c’era da aspettarselo, ha attirato su di se in brevissimo tempo una notevole mole di parole pungenti, che esse siano state articolate nei bar, nei social o in forme più nobili poco cambia. La maggior parte di esse sembrano però aver perso il contesto di riferimento. E non parlo del fatto che si tratta di una produzione di un colosso dell’intrattenimento visuale, mi riferisco piuttosto al mondo in cui la stragrande maggioranza delle persone pagano, “legalmente” o meno poco importa, la propria parte di password di questo colosso.  E non mi interessa neanche pontificare in questa sede sulla coerenza o meno dell’autore, delle contraddizioni tra le sue tensioni etiche e le sue scelte professionali, tra chi era “prima” o “dopo” dello spartiacque del proprio successo. Sarebbe una trappola sterile, uno specchietto per le allodole.  La serie, spoiler, offre una storia nella quale le persone che potranno immedesimarvisi completamente credo possano corrispondere ad una percentuale talmente ridicola che non merita neanche lo sforzo mentale di calcolarla.  Ma se non si vuole cadere nell’autoreferenzialità, appunto, bisogna montare un grandangolo e guardare quello che c’è oltre una rappresentazione autocentrata, esageratamente situata, piena di escamotage narrativi di ottima fattura, per andare sì al succo del discorso, ma rapportandolo sempre al contesto. Se non si rapporta il discorso al contesto, le parole che lo compongono non sono altro che onanismo. Il contesto sociale oggi è composto anche da una capacità di coinvolgimento collettivo nelle questioni etico-politiche, di stimolazione delle tensioni, delle contraddizioni sociali, di produzione del confitto che molti dei “dinosauri” a cui si fa riferimento nella serie credo riconosceranno come minimo insoddisfacente, se non residuale. Però ciò che grava in condizioni ancora peggiori è la capacità di offrire letture del presente che siano da un lato comprensibili e dall’altro corrispondenti alla vita delle persone.  In questo panorama desertico forse bisognerebbe iniziare a guardare di buon occhio l’esistenza di persone che fanno del proprio lavoro uno strumento proporzionato e proporzionale per fare una cosa estremamente banale ma difficile in maniera paralizzante: nominare e significare le contraddizioni. E se qualcuno lo fa attraverso una serie profumatamente prodotta probabilmente ha solo il vantaggio di arrivare dove l’impegno, la generosità e i conti da pagare di tanti dinosauri non sono arrivati: toccare, seppur in maniera semplicistica, approssimativa e a tratti naïf, ma sicuramente più intellegibile, le contraddizioni che molte persone si vivono.  L’incapacità di comprendere veramente le posizioni altrui, lo sconcerto nello scoprire che un amico è diventato qualcosa che combatti, i compromessi che fai per ottenere delle condizioni di vita che ripaghino gli sforzi fatti, la paura che divide la teoria dalla pratica sono solo alcuni dei temi che la serie offre ma con caratteristica preziosa: una possibilità reale di coglierli al di là dell’immedesimazione individuale.  Certo, si potrebbe obiettare sulla connotazione della serie, potenzialmente scoraggiante per persone non socializzate a contesti di “militanza”, ma d’altra parte anche potenzialmente respingente per le persone che hanno fatto di quei contesti la propria scelta di vita.

Come credo siano pochi in proporzione i fruitori che riconoscono gli angoli di Roma e le dinamiche da periferia che vengono proposte, come dall’altro lato potrebbe essere fastidiosa per le persone sarde alla luce di quel pessimo accento caricaturale che avrà fatto ballare molte palpebre nonostante la giustificante preparazione. Ma non divaghiamo. A differenza di molte critiche che ho captato quello che, a discapito di tutto quello già citato e di tanto altro che si può individuare, credo che questa serie ci metta davanti ad uno suo grande pregio e ad una grande lacuna collettiva: la capacità di dar valore all’esperienza collettiva ma sulla base delle reali, concrete, a tratti anche misere e meschine, caratteristiche dell’umanità che siamo e che attraversiamo.  Perché è importante distinguere tra una rappresentazione teatralizzata di uno scontro dal suo contenuto.

Il cattivo non è una controparte,  cattiva è ogni persona nel momento in cui perde l’energia di tenere viva la propria tensione a voler combattere per qualcosa che ritiene giusto affrontando le contraddizioni che incorpora.  Alla cattiveria è preferibile la rabbia. Ma senza la comprensione delle sue sorgenti la rabbia risulta essere una forza cieca, o, peggio, una chimera ideologica.

Compsognathus longipes