GLOSSARIO ANTICARCERARIO

Per darci uno strumento in più contro il carcere e la repressione abbiamo pensato di creare un glossario anticarcerario nel quale raccoglieremo i termini che ci sembrano più importanti e interessanti sul tema. Faremo uscire una lettera a settimana fino alla fine dell’alfabeto, e poi cercheremo di stamparlo, trasformandolo in un opuscolo in modo che possa circolare più facilmente dentro e fuori le mura.

Per fare questo vi chiediamo un aiuto segnalandoci parole o aspetti che dimentichiamo, in modo da renderlo il più interessante e completo possibile.

A

Affidamento in prova

L’affidamento in prova ai servizi sociali è una misura alternativa alla detenzione che mira a favorire il reinserimento sociale del condannato. La si può ottenere alla fine del processo se la pena inflitta è inferiore ai 4 anni, o quando rimangono meno di 4 anni da scontare.

Amnistia

Provvedimento di clemenza, concesso di solito per celebrare determinate ricorrenze, con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna camera; ha per effetto di togliere carattere di reato a determinati fatti commessi anteriormente alla data di presentazione del disegno di legge.

Articolo 21

Prevede che i detenuti e gli internati possano essere assegnati al lavoro all’esterno solo dopo l’approvazione del magistrato di sorveglianza. L’assegnazione al lavoro all’esterno può essere disposta dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena e, comunque, di non oltre cinque anni. Se non in casi eccezionali lavorano senza scorta.

A.S. Alta Sicurezza

Si tratta dell’emblema della differenziazione all’interno del mondo carcerario, istituita nel ‘93 ha subito l’ultima modifica nel 2009. Il regime prevede la divisione in tre tipi di A.S.

Alta Sicurezza 1 (A.S. 1) in cui sono collocati i detenuti ed internati appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nei cui confronti sia venuto meno il decreto di applicazione del regime di cui all’art. 41 bis. Alta Sicurezza 2, in cui sono custoditi soggetti imputati o condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza. Alta Sicurezza 3, in cui si trovano i detenuti che hanno rivestito un ruolo di vertice nelle organizzazioni criminali dedite allo spaccio di stupefacenti. Nel 2019 i detenuti delle carceri sarde sottoposti ai regime di Alta sicurezza erano il 37% della popolazione carceraria – quindi circa 900 – ed erano suddivisi in 5 carceri sulle 10 presenti nell’isola.

Assistente sociale

All’interno del carcere partecipa alle attività ai fini dell’osservazione della personalità dei detenuti e da il suo contributo per la preparazione del relativo programma individuale. Il compito dell’assistente sociale è di riferire sulla rete sociale e familiare del detenuto, evidenziando il rapporto che il detenuto ha con la realtà esterna e la sua eventuale possibilità di reinserirsi. Collabora con gli operatori penitenziari alle attività utili a mantenere, ristabilire o migliorare le relazioni dei detenuti con le loro famiglie, collaborando con gli enti pubblici e del privato sociale (cooperative, associazioni ecc). In breve gli assistenti sociali sono parte fondamentale nell’istituto della premialità, le loro valutazioni saranno decisive per permettere o meno ai detenuti di accedere ai benefici della buona condotta.

B

Battitura

È una delle forme più diffuse di protesta all’interno delle mura carcerarie. Consiste nel battere un oggetto contro le sbarre o il blindo o qualsiasi altra superficie dura che possa produrre del rumore. Spesso, quando viene praticata da molti detenuti, è capace di trasmettere una carica particolare, segno che quel silenzio che avvolge le sbarre si può spezzare.

Blindo

La porta della cella, quella che ti divide, nel bene e nel male, dal resto del carcere. È quella che quando si chiude ti concede un po’ di solitudine oppure che quando si apre ti permette un po’ di socialità. Di solito i blindi sono composti da due componenti, una parte con delle sbarre “aperte” che consentono di vedere cosa c’è dall’altra parte e parlare con gli altri rinchiusi, un’altra parte che chiude completamente la cella, togliendo la possibilità di comunicazione e visuale. Questa seconda parte ha di solito una sorta di “spioncino” che permette alle guardie di controllare dentro la cella in ogni momento. La chiusura o l’apertura dei blindi dipende dal regime detentivo e dal carcere nel quale ci si trova.

Braccialetto elettronico

È un dispositivo che può essere imposto alle persone agli arresti domiciliari o in libertà vigilata. Permette alla polizia di controllare ogni spostamento tramite GPS e in caso di tentativo di manomissione invia dei segnali a chi lo controlla. Alcuni stati europei ne fanno uso frequente (es. Regno Unito), lo Stato italiano conta ancora pochi casi di utilizzo di questo tipo di apparecchio, anche se è stato presentato come una soluzione per combattere il sovraffollamento delle carceri e nel 2020 il Ministero della Giustizia ha chiesto di implementarne l’utilizzo.

Buona condotta

È il pilastro principale della premialità all’interno del carcere. La buona condotta, che in poche parole si traduce in “fai da bravo e non rompere i coglioni” è quella che permette di godere della libertà anticipata. Per ogni semestre di pena trascorsa si possono ottenere 45 giorni di sconto di pena, se la condotta viene ritenuta idonea dalle guardie, dalla direzione e dal resto del personale impiegato in carcere (stessa cosa vale per i domiciliari o la semi-libertà). Ovviamente all’interno della buona condotta non viene considerato esclusivamente il “non creare problemi”, ma anche la disponibilità del detenuto a fare la spia rispetto ad episodi o situazioni ritenute non idonee dall’ordinamento carcerario.

C

Censura

La censura è il controllo straordinario della posta che viene applicato in caso di indagini o per la prevenzione dei reati. E’ una pratica comune specie ai prigionieri del 41-bis, viene utilizzata dall’amministrazione penitenziaria in caso di sospetto circa la circolazione di notizie “scomode” sia all’interno del carcere che con l’esterno. Nella pratica si svolge con l’apertura delle lettere indirizzate al detenuto sottoposto a censura, prima che queste gli arrivino in cella o prima che escano dal carcere, nei casi più gravi la censura può assumere la forma del totale blocco della corrispondenza.

Colloqui

I colloqui all’interno del carcere sono l’occasione d’incontro con parenti e amici, e una delle rare occasioni di contatto con l’esterno, sono regolati dagli articoli 18 e 37 del codice penale.

I non parenti devono fare richiesta e sperare che venga considerata “un ragionevole motivo” dal direttore del carcere, la cui autorizzazione è discrezionale (questo vale per i detenuti definitivi).

Chi vuole visitare un imputato in attesa della sentenza di primo grado deve richiedere il permesso all’autorità giudiziaria che sta processando il detenuto, e poi presentarlo al momento dell’accesso in carcere.

Il detenuto è l’unico che può far richiesta dei colloqui, anche se nella prassi i familiari si presentano anche senza la richiesta del congiunto, che può – volendo – rifiutare il colloquio.
Il direttore non può proibire i colloqui con i familiari entro il quarto grado di parentela e ovviamente con i coniugi.

La durata dei colloqui è di un’ora (può essere maggiore solo in caso di particolari circostanze), i detenuti hanno la possibilità di avere sei colloqui al mese, mentre per casi di detenzioni a carattere speciale i colloqui sono quattro, in caso di isolamento punitivo i colloqui possono essere sospesi e non recuperati. I colloqui con l’avvocato hanno un’altra regolamentazione e non sono inclusi in questo conteggio.

Comuni

I detenuti comuni sono coloro che avendo commesso dei reati “comuni” non sono inseriti nelle sezioni speciali ne sottoposti a regimi di alta sorveglianza e 41-bis. Sono la stragrande maggioranza dei detenuti delle carceri di tutto il mondo. Per questo vi sono carceri ad esclusiva presenza di comuni.

Consiglio di disciplina

Il consiglio di disciplina è l’organo che decide le sanzioni da applicare ai detenuti in caso vìolino il regolamento penitenziario. Il consiglio è generalmente composto dal direttore in qualità di presidente, da un membro dello staff sanitario e da un educatore. I possibili provvedimenti disciplinari che possono essere decisi dal consiglio sono in ordine crescente di severità: il richiamo scritto o verbale; l’ammonizione; l’esclusione dalle attività ricreative e sportive (massimo di dieci giorni); l’esclusione dalle attività in comune (isolamento che può durare massimo quindici giorni ).

Cubicoli

Sono le celle più brutte presenti nelle prigioni, tendenzialmente hanno il cesso a vista, assenza di finestre e di letti normali, non è raro che si trovino sotto il livello del suolo e che per questo siano anche malsane, umide e maleodoranti. In alcuni carceri i cubicoli sono le celle delle sezioni di isolamento.

Custodia cautelare

Si ha la custodia cautelare quando il giudice ordina agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria che l’indagato o imputato sia catturato e messo in un istituto di custodia per rimanervi a disposizione dell’autorità giudiziaria. Si esclude in casi di donne in stato di gravidanza, di genitori unici di minorenni o di malati di AIDS.

La legge prevede che sia applicata solo in caso che le altre misure siano inadeguate o non idonee al caso specifico.

D

DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria)

DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria): è un dipartimento del Ministero della giustizia. Il capo del dipartimento è Bernardo Petralia e il vice è Roberto Tartaglia. Ogni regione ha il proprio provveditorato che dipende sempre dal DAP, in Sardegna si trova in Viale Buoncammino 19 con a capo il provveditore Maurizio Veneziano.

Il DAP si occupa della gestione amministrativa del personale e dei beni dell’amministrazione penitenziaria; svolge i compiti relativi alle esecuzioni delle pene, delle misure cautelari e delle misure di sicurezza detentive; svolge i compiti previsti dalle leggi per il trattamento dei detenuti e degli internati.

Direttore

Ha i poteri maggiori all’interno del carcere. Gestisce i fondi economici che arrivano dal provveditorato regionale; organizza e coordina lo svolgimento delle attività nel carcere e non; impartisce ordini all’amministrazione penitenziaria e al personale esterno; può approvare o modificare il regolamento dell’istituto; gestisce i trasferimenti dei detenuti; sottopone i detenuti a misure più rigide; decide il servizio sanitario (farmaci, psicofarmaci); stabilisce i trattamenti intramurali…

Per la direzione passa tutto quello che riguarda la gestione del personale penitenziario e non, dei detenuti e dell’istituto.

In Sardegna ad esempio i direttori sono gli stessi per varie carceri quindi hanno regolamenti simili se non uguali.

Doccia

In molte carceri la doccia non è presente nelle celle o se è presente non c’è, spesso, l’acqua calda. Il momento della doccia può essere un modo per vedere e parlare con altri detenuti che non si possono incontrare in altre circostanze (questo è a discrezione del direttore).

Domandina (modulo 393 dell’amministrazione penitenziaria)

E’ un prestampato che viene consegnato ai detenuti e alle detenute per comunicare con l’amministrazione penitenziaria. Per richiedere i colloqui con il direttore, personale vario o per acquistare prodotti del sopravvitto o per telefonate, andare in matricola o per richiedere materiale per inviare lettere, telegrammi… bisogna compilare questa domandina e se la direzione accetta si effettua la vera domanda. Questo è il modulo chiave, il passe-partout con il quale, in sostanza, si chiede di poter chiedere.

Dottore

E’ una figura presente in tutte le carceri. Ogni visita, quantitativo di ore di lavoro all’interno… è a discrezione del direttore del carcere che può variare i regolamenti anche in brevissimo tempo. Le visite esterne dei medici di fiducia (a pagamento) sono rare e molto difficili da avere se non per gravi motivi di salute.

E

Educatore penitenziario

E’ una delle prime persone che il detenuto incontra nel “colloquio di primo ingresso”. Fa parte della commissione per il regolamento interno e del consiglio di disciplina, che decide i provvedimenti disciplinari.

Si occupa dell’aspetto “sociale e pedagogico” della reclusione, gestisce le attività culturali, ricreative e sportive. Deve osservare il detenuto e analizzare le motivazioni che l’hanno condotto a compiere il reato, approfondendo il suo passato, si occupa spesso del prestito bibliotecario e segue i processi educativi.

Scrive la relazione, la “sintesi” per i definitivi, necessaria perché il Magistrato di Sorveglianza conceda i benefici di legge.

Ergastolo

E’ la pena più lunga prevista dall’ordinamento giuridico italiano. Dopo ventisei anni di sconto della pena e se il comportamento del detenuto è positivo, può essere concessa la liberazione condizionale.

Prevede il lavoro all’esterno solo nei casi in cui si esclude che il detenuto possa collegarsi con membri della criminalità organizzata o eversiva.

Non si è mai esaurita la discussione sulla sua funzione che è in contrasto con la finalità rieducativa della pena. La Corte costituzionale non la ritiene contraria al senso di umanità e ne riconosce principalmente la funzione di deterrente per i delitti più gravi.

Evasione

Definito reato proprio, in quanto può essere commesso solo da una persona legalmente arrestata o detenuta.

E’ punita dai 2 ai 5 anni se viene commessa violenza o minaccia e dai 3 ai 6 anni se vengono utilizzate armi o viene attuata da più persone riunite. In assenza di queste condizioni viene applicata una pena da 1 a 3 anni, mentre in caso di un tentativo di evasione non andato a buon fine, viene punita con una pena inferiore. Viene considerata evasione anche nel caso di allontanamento dalla detenzione domiciliare o da un altro luogo designato, compreso il posto di lavoro.

Al di là delle numerose storie di evasioni che occupano l’immaginario di libri e film, in Sardegna possiamo ricordarne alcune tra quelle che più riuscirono nel beffare la giustizia. Nell’86 fu Matteo Boe l’unico che riuscì a evadere dal terribile carcere dell’Asinara, e trova un posto nella storia anche Graziano Mesina con numerose fughe, tra queste possiamo ricordare nel ‘66 quella dal carcere di San Sebastiano a Sassari.

F

Farmaci

La reperibilità dei farmaci all’interno del carcere è particolare: mentre da un lato è spesso difficile ottenere farmaci che sarebbero comuni fuori, dall’altro invece, è molto facile avere accesso agli psicofarmaci (per i quali solitamente fuori si segue un iter più complesso) e anzi il loro uso viene spesso incentivato.
Circa il 50% della popolazione carceraria è sotto terapia da psicofarmaci e circa il 75% ricorre a sedativi per dormire la sera. Succede anche che questi psicofarmaci disponibili nel “carrello della felicità” (come viene chiamato in gergo) a volte vengano richiesti non per essere assunti ma per essere rivenduti ad altri detenuti di nascosto dalle guardie.

Fine pena

Sta ad indicare la data in cui si conclude la condanna. Il fine pena è il giorno che tutti attendono, è domanda ricorrente fra detenuti che non si conoscono. Gli viene aggiunto l’avverbio Mai, quando viene usato come sinonimo dell’ergastolo multiplo, Fine pena mai.

Flessioni

Esercizio fisico che viene fatto svolgere al detenuto durante le perquisizioni per verificare che non nasconda qualcosa all’interno degli orifizi del corpo.
E’ anche un esercizio fisico molto diffuso per la sua praticità e perché non necessita di spazi ampi per essere svolto anche all’interno delle celle.

G

Garante dei detenuti

Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale è un’Autorità di garanzia, collegiale e indipendente, che ha la funzione di vigilare su tutte le forme di privazione della libertà, dagli istituti di pena, alla custodia nei luoghi di polizia, alla permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione, alle residenze di esecuzione delle misure di sicurezza psichiatriche (Rems), ai trattamenti sanitari obbligatori.

Ha la possibilità di visitare in qualsiasi momento gli istituti di pena e visionare le cartelle dei detenuti. Si accerta che le condizioni detentive non siano contrarie al senso di umanità e se riscontra delle criticità, può impegnarsi a risolverle concertando con le autorità dell’istituto.

Sono divisi in garanti di tre tipi: nazionali, regionali e provinciali.

Molto spesso sono un canale di collegamento tra detenuti e le persone care all’esterno.

G.O.M. Gruppo Operativo Mobile

Sono il reparto mobile della polizia penitenziaria. Nascono dalle ceneri del Servizio Coordinamento Operativo della Polizia Penitenziaria. La creazione del gruppo risale al 1997, operata da Michele Coiro, allora direttore generale del DAP, ma fu ufficializzato dal Ministro di Grazia e Giustizia, il cagliaritano Oliviero Diliberto, nel 1999.
Sono circa 700 unità sparse in 12 reparti operativi in tutta Italia. Sono sotto il controllo di un generale di brigata ma in casi di necessità il direttore del carcere può comunque disporne. Sono un corpo speciale soggetto a rotazione tra le varie carceri per motivi di sicurezza.
I loro compiti sono: custodia e controllo dei detenuti ad altissimo indice di “pericolosità”, dei detenuti sottoposti al 41 bis e di alcuni detenuti collaboratori di giustizia.
Si occupano della gestione di situazioni particolarmente complicate come, ad esempio, le rivolte nelle carceri. Possono intervenire in situazioni di problemi di ordine pubblico o effettuare piantonamenti di detenuti particolari.
La loro storia, anche se recente, non manca di episodi di violenza e pestaggi che portarono diverse associazioni a chiederne lo scioglimento per il mistero che avvolge il loro addestramento, il loro operato e le torture di cui furono protagonisti.
Tra gli episodi più gravi ricordiamo il massacro dei detenuti del carcere di San Sebastiano e le torture della caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova.

Guardie

Le guardie carcerarie dette anche “Secondini” sono il corpo di polizia che si trova all’interno degli istituti di pena.
La creazione risale come prima bozza al 1817 da parte del Regno di Sardegna per poi essere ufficializzato nel 1873.
Si occupa delle attività di pubblica sicurezza sia all’interno delle prigioni che nei centri di detenzione per migranti e, all’occorrenza, può svolgere compiti di polizia anche all’esterno delle carceri e negli istituti di detenzione psichiatrica.
La gestione del carcere e dei rapporti con i detenuti sono le loro funzioni principali e comprendono sia il controllo dei prigionieri, che l’intervento in caso di rivolte o proteste. E’affidato a loro anche il trasporto e la custodia dei prigionieri per operazioni esterne come le traduzioni, per i processi e per altre udienze, o in ospedale. Sono chiamati alla compilazione dei rapporti sul comportamento dei detenuti così da poter incidere sulle eventuali domande per la premialità.
Storicamente odiati dai prigionieri. Sono purtroppo il tramite nei rapporti tra detenuti e amministrazione penitenziaria, facendo da filtro tra le richieste dei detenuti ed i rapporti con la direzione.

H

Horst Fantazzini

Uno dei tanti a cui il carcere non piaceva proprio, probabilmente anche a causa della sua reclusione durata più di 30 anni. Fantazzini è uno dei rapinatori più “celebri” degli anni 70-80, ricordato per i modi gentili durante i suoi colpi ma anche per i diversi tentativi di evasione. Venne arrestato per la prima volta a 21 anni mentre scappava dopo aver rapinato l’ufficio postale di Corticella, a Bologna. Da qui in poi la sua esistenza è condannata alla reclusione, con dei piccoli momenti di libertà conquistati anche grazie alle evasioni.
Nel 1967 è latitante dopo essere riuscito a scappare dal carcere con il vecchio metodo delle lenzuola annodate, in seguito al rifiuto di poter presenziare al funerale della madre morta di infarto. Tra il ’67 e il ’68 sale agli onori della cronaca per la sua fuga e le lettere di scherno inviate alla polizia italiana, anche se purtroppo poco dopo viene catturato.
Uno dei più importanti tentativi di evasione è quello avvenuto nel carcere di Fossano nel 1973 quando ferì tre guardie e ne tenne due sotto tiro liberandosi la strada fino all’uscita, per poi però essere bloccato dai cani addestrati e crivellato di colpi dai tiratori scelti, rischiando la vita. Oppure nel carcere di Sulmona l’anno successivo quando riuscì a saltare il muro di cinta di 5 metri per poi raggiungere una vicina chiesetta con i piedi fratturati, sequestrando il parroco per richiedere di essere operato. La prigione lo costrinse per lunghi anni, anni di rivolte e mobilitazioni che lo videro sempre in prima linea, dall’Asinara ad Alessandria, fino alla morte nel dicembre 2001 all’interno del carcere della Dozza a Bologna.

I

Indulto

È una concessione dello Stato consistente nella cancellazione totale o parziale della pena (o nella sua commutazione in altra meno grave) oppure nell’esenzione da un obbligo. Nel diritto penale italiano è concesso tramite l’approvazione della legge dai due terzi del Parlamento. È un provvedimento impersonale e non estingue le pene accessorie né gli altri effetti penali della condanna. L’ultima concessione di questo tipo da parte dello Stato italiano è avvenuta nel 2006, con uno sconto di pena di 3 anni per le pene detentive e di 10.000 euro per le pene pecuniarie. Ad esclusione di tutti i condannati per reati definiti più “gravi”. Il provvedimento del 2006 apportò dei benefici a più di 26 mila detenuti.

Isolamento

È una forma di reclusione particolare, che prevede l’isolamento del detenuto rispetto agli altri prigionieri. Si può finire in isolamento per diversi motivi: in seguito ad una condanna del tribunale; in seguito ad un rapporto disciplinare interno al carcere; per una decisione dell’amministrazione in ambito cautelare (per evitare contatti con coimputati per esempio); per motivi particolari di “protezione” se si pensa che il detenuto potrebbe essere in pericolo in mezzo agli altri (in questo caso l’isolamento può essere richiesto dal detenuto stesso); per motivi di salute. Di solito l’isolamento comporta una reclusione “totale” con pochissime ore d’aria al giorno e con nessun contatto con gli altri detenuti. È una carta che spesso le amministrazioni penitenziarie utilizzano come ricatto.

L

Lavoranti

Il lavoro all’interno degli istituti penitenziari nasce in funzione strettamente punitiva, solo nel 1975 diventa un trattamento penitenziario.

Ora all’interno delle carceri il diritto a lavorare è obbligatorio, per garantire al detenuto di fare corsi professionali grazie a rapporti stipulati tra aziende pubbliche e private, convenzionate con l’ente regionale. Dovrebbe avere una finalità rieducativa e il lavoratore dovrebbe godere della garanzia assicurativa.

Il lavoro all’interno degli istituti di pena è generalmente sottopagato consentendo così alle aziende di poter lucrare sull’attività lavorativa dei detenuti.

Libertà condizionale

Consente di trascorrere il residuo di pena in libertà vigilata quindi lontano dal carcere.

Il detenuto può ottenerla tramite l’organo del tribunale di Sorveglianza. I requisiti per i non recidivi e i recidivi semplici sono di aver trascorso almeno 30 mesi e metà della pena, ma comunque il rimanente della pena da scontare non deve superare 5 anni; per i recidivi qualificati devono essere decorsi 4 anni e 3/4 della pena e sempre un residuo non superiore a 5 anni; in caso di ergastolo devono essere decorsi 26 anni.

La libertà condizionale può essere revocata.

M

Matricola

La matricola è l’Ufficio Anagrafe del carcere, dove sono conservati tutti gli atti giuridici che riguardano ogni detenuto.
Il nuovo giunto viene condotto all’Ufficio Matricola, dove viene aperta una pratica a suo nome e gli viene assegnato un numero di matricola. Ad essa vengono allegati tutti gli atti che lo riguardano, ogni comunicazione tra l’autorità giudiziaria e il detenuto avviene attraverso questo ufficio.
Al suo interno avviene anche l’identificazione del nuovo giunto, attraverso la fotografia e le impronte digitali. Deve essere anche sottoposto a una visita psicologica che determina uno dei tre livelli di pericolo di suicidio, questi implicano vari tipi di sorveglianza: che possono prevedere delle misure come un controllo ogni 15 minuti o addirittura il controllo a vista.
È l’Ufficio Anagrafe del carcere, dove sono conservati tutti gli atti giuridici che riguardano ogni detenuto, e al quale il detenuto si rivolge per le richieste, come ad esempio la nomina dell’avvocato.

Magistrato di sorveglianza

E’ l’organo monocratico, fortemente autonomo ma tutte le decisioni prese da esso possono essere impugnate davanti al tribunale di sorveglianza. Le sue funzioni sono elencate nell’art. 69 o.p., in particolare approva il programma di trattamento individualizzato per ogni detenuto e i provvedimenti di ammissione di lavoro all’esterno, decide su cose come: la remissione del debito, la concessione dei permessi, le misure di sicurezza, i reclami disciplinari e il lavoro dei detenuti. Inoltre, autorizza l’accesso agli istituti penitenziari di soggetti che possano svolgere attività di rieducazione e risocializzazione; decide se ammettere il detenuto all’assistenza all’esterno dei figli minori; decide su limitazioni e controlli della corrispondenza dei condannati e dei detenuti.

Magistratura di sorveglianza

Si tratta di un giudice ordinario che svolge una funzione specializzata di sorveglianza sull’esecuzione della pena. Il lavoro della magistratura di sorveglianza inizia dopo la sentenza di condanna, consiste infatti nella regolamentazione della fase esecutiva della pena e nella concessione e gestione delle pene alternative alla detenzione. Ha due organi: il magistrato di sorveglianza e il tribunale di sorveglianza.

Messa

In uno Stato cattolico come quello italiano la messa è intoccabile anche dentro le mura dei carceri più duri, questa concessione sacra risulta essere in alcuni casi un modo per i detenuti di aggirare alcune imposizioni della direzione come ad esempio il divieto di incontro, che spesso è imposto fra certi tipi di coimputati. Inoltre è il luogo dove si incontrano detenuti di diverse sezioni. Fra le varie funzioni religiose sono previste anche le celebrazioni matrimoniali.

Messa alla prova

La messa alla prova è una misura alternativa, introdotta dal 2014, che consiste nella sospensione del procedimento penale. Viene richiesta dall’imputato e si può chiedere solo per i reati minori. Non può essere concessa più di una volta nella vita ed è esclusa nei casi in cui l’imputato sia stato dichiarato dal giudice delinquente abituale o per tendenza.
L’imputato viene affidato all’UEPE (Ufficio Esecuzioni Penali Esterne), che ha un ruolo centrale nella redazione del programma di prova al quale parteciperà l’imputato. Questo programma è sottoposto al giudice che verrà periodicamente informato sull’andamento dei lavori socialmente utili e sulla condotta dell’imputato.
Deve essere disposto per un massimo di otto ore giornaliere e per un minimo di dieci giorni. Non è contemplata una durata massima, ma generalmente viene previsto un anno, per i reati che prevedono una pena pecuniaria, o due anni per i reati puniti con pena detentiva.
I lavori di pubblica utilità non sono retribuiti e possono essere svolti presso lo Stato, Regioni, Comuni, le aziende sanitarie ed enti di volontariato, assistenza sociale o sanitaria.
E’ previsto che il lavoro non pregiudichi le esigenze familiari, sanitarie e di studio dell’imputato.

N

Notarnicola Sarve

Una delle figure più note e rappresentative sia dello scenario criminale che di quello politico.
Trasferitosi a Torino all’età di 13 anni e dopo essersi distaccato dalle politiche di partito, in particolare del PCI entrò in contatto con le realtà rivoluzionarie degli anni ‘60 ed incontra Pietro Cavallero con cui mise su una banda di rapinatori animata dalla voglia di giustizia sociale. Oltre ai due già citati facevano parte della banda anche Donato Lopez, Adriano Rovoletto e Danilo Crepaldi. Tra il ’63 e il ’68 misero a segno 18 rapine tra Torino e Milano. Nel ’67 dopo una rapina ad una banca milanese si conclusero le avventure criminali della banda che venne arrestata in momenti diversi, a Notarnicola toccò dopo una breve latitanza. Nove mesi dopo gli arresti si svolse il processo con la condanna che costerà l’ergastolo a Notarnicola e Cavallero, durante il processo questi ultimi intonarono il canto “figli dell’officina”.
Nonostante la detenzione Notarnicola divenne comunque un punto di riferimento per le rivolte carcerarie e per i diritti dei detenuti lottando contro le condizioni detentive sia ordinarie che delle carcerazioni “speciali” e ottenendo anche la possibilità per i detenuti di avere penne e carta per poter scrivere e protestare contro le condizioni carcerarie.
Nel 1976 cercò di evadere insieme ad altri quattro dal carcere di Favignana attraverso un tunnel, purtroppo scoperto prematuramente dalle guardie.
Nel 1978 è il primo nella lista dei 13 nomi indicati dalle BR come detenuti da liberare in cambio del rilascio di Aldo Moro.
In carcere si dedicò alla scrittura di libri e poesie, suo il libro “l’Evasione impossibile” pubblicato da Feltrinelli nel 1972.
Nel 1995 entrò in regime di semilibertà e nel 2000 venne liberato. Gestì un’osteria a Bologna.
Il 22 marzo 2021 purtroppo è venuto a mancare.
Rimane sicuramente un esempio di spirito indomito sia all’esterno che all’interno delle carceri.

O

Ostativo (ergastolo ostativo)

L’ergastolo ostativo è la pena massima più severa e dura che può ricevere un condannato.
A differenza dell’ergastolo normale quello ostativo prevede che il detenuto non possa godere di alcun beneficio, in particolare non possa godere dei regimi di semilibertà che vengono concessi normalmente agli ergastolani dopo il 26° anno di detenzione in caso di buona condotta.
L’ergastolo ostativo si applica ai condannati per reati gravi come ad esempio terrorismo, associazione mafiosa, sequestro a scopo di estorsione o associazione per traffico di stupefacenti. In buona sostanza, l’ergastolo ostativo è un “fine pena mai” che nega ogni misura alternativa al carcere e ogni beneficio penitenziario a chi è stato condannato salvo che questo decida di collaborare con la giustizia o qualora la loro collaborazione sia giudicata irrilevante (quest’ultima ipotesi è comunque talmente vaga che spesso non viene applicata, come nel caso di molti condannati all’ergastolo per la lotta armata degli anni ’70. Avrebbero tutte le carte per uscire, ma a volte non escono perché scelgono per coerenza di non chiedere nulla, da parte sua, lo
Stato, non li libera nonostante quasi 40 anni di detenzione, un mondo completamente diverso all’esterno e nessuna possibilità di collaborazione in quanto ormai su quei processi non c’è più nulla per cui collaborare).
Si può quindi dire che l’ergastolo ostativo sia l’arma di annichilimento più pesante a disposizione dello Stato italiano, che a guardarla bene non è così distante da una vera e propria pena di morte.

Ora d'aria

È il tempo che il detenuto può passare all’esterno della cella, normalmente in compagnia di altri detenuti all’aria aperta in un cortile, o in palestra, o in un campo sportivo.
Non sempre dura un’ora, vi sono dei regimi dove si hanno due o più ore d’aria consecutive o giornaliere.
Vi sono anche dei regimi punitivi dove l’ora d’aria si fa da soli ristretti in quadrati di cemento di tre metri per tre e alti quattro, dove quindi non si vede nulla intorno.
Ora d’aria è divenuto un modo per descrivere un momento di pseudolibertà in circostanze di costrizione o imprigionamento, anche non legate strettamente al carcere.
L’ora d’aria è il momento in cui i carcerati si incontrano, si scambiano le notizie fra sezioni diverse, è ed è stato anche il luogo di risoluzione di conti fra detenuti, di progettazione ed esplosione delle rivolte.
La negazione di questo beneficio è una delle punizioni classiche che utilizzano guardie e direttori contro prigionieri singoli o intere sezioni, ed è stata anche ragione di molte rivolte.

Ospedale

L’ospedale se inteso fuori quello fuori dal carcere è il luogo dove a volte i prigionieri mirano ad arrivare attraverso atti di autolesionismo o per patologie normali, per poter ottenere qualcosa che dentro il carcere non riescono ad avere, come ad esempio una possibilità di fuga, il contatto con un giornalista, o un medico non complice del carcere, o ancora per uscire momentaneamente da una condizione di pressione troppo forte.

Poco tempo fa un prigioniero di Uta è stato portato in ospedale Cagliari per un atto di autolesionismo, la denuncia delle mancate cure avvenute in carcere da parte di un dottore ha creato le premesse per il trasferimento del detenuto.

P

Pacchi

Il pacco è una scatola di cartone che può essere consegnato al detenuto quando ci sono i colloqui o spedito per posta. La regolamentazione dei pacchi varia da carcere a carcere, generalmente son accettati 4 pacchi al mese per un massimo di 20kg totali. Si possono inviare abiti, generi alimentari, utensili, tutto sotto il controllo del rigido regolamento carcerario.
Ad esempio il cibo dev’essere dentro certe scatolette di plastica, il formaggio a cubetti, le olive devono essere snocciolate e tagliate a metà e sono proibite le confezioni di vetro…
I libri e il materiale di studio, nonostante possano essere inseriti nei pacchi, hanno un altro regolamento e vengono spediti come “piego libri” e non sono conteggiati nel peso massimo dei pacchi
In molte carceri la farina, lo zucchero, la polenta e a volte anche i generi per l’igiene orale (spazzolini e dentifrici) sono acquistabili solo tramite il sopravvitto.

Permessi

I permessi vengono dati dalla Magistratura di Sorveglianza e hanno carattere eccezionale, legato a eventi della vita familiare del detenuto, non per forza tragici o luttuosi.

Diversi dai precedenti sono i permessi premio, questi vengono dati in base alla buona condotta del detenuto e prevedono come massimo 15 giorni di libertà per esigenze affettive, di lavoro o culturali. Complessivamente non possono superare i 45 giorni all’anno, mentre in caso di minore età arrivano al massimo di 60 giorni l’anno, con 20 giorni da non superare per ogni permesso.
Possono ottenerli solo i detenuti con questi requisiti:

– i condannati all’ergastolo, dopo l’espiazione di 10 anni della pena;

– i condannati a più di tre anni, dopo l’espiazione di almeno un quarto delle pena;

– i condannati a meno di tre anni.

Perquisizione

La perquisizione in carcere ha le stesse caratteristiche pratiche delle perquisizioni domiciliari ma può essere effettuata praticamente con la massima libertà da parte delle autorità penitenziarie.
In pratica per tutti i casi in cui si ravvisano dei pericoli per l’introduzione in carcere di materiale non consentito o eventuale presenza di materiale considerato pericoloso il direttore del carcere può autorizzare le perquisizioni sia corporali che delle celle.
Questo vale anche per gli esterni che entrano/escono dal carcere.
Le tipologie di perquisizione sono: ordinarie, straordinarie, per casi d’urgenza e generali.
La prima avviene in genere dopo contatti all’esterno del detenuto o in casi di sospetto scambio di materiali tra visitatori e prigionieri, si può svolgere senza autorizzazione del direttore.
La perquisizione straordinaria avviene dietro autorizzazione del direttore in presenza e valutazione di pericoli non preventivabili.
Le perquisizioni in casi di urgenza avvengono anche senza autorizzazione della direzione per sospetto di pericoli particolari ed urgenti ed è compresa, quindi, anche la perquisizione personale ma deve essere stilato un rapporto da presentare all’amministrazione che giustifichi l’urgenza.
La perquisizione generale è un provvedimento che comprende più detenuti contemporaneamente e avviene per ordine del direttore che può avvalersi anche di personale ulteriore rispetto a quello carcerario.
Il provvedimento è ovviamente un’ulteriore arma di ricatto e repressione all’interno delle mura carcerarie.

Porno

La sessualità all’interno del carcere è ovviamente repressa e la promiscuità tra i detenuti non è esattamente accettata. Per soddisfare esigenze sessuali quindi ci si affida, spesso, ai cari e vecchi giornali pornografici. In Italia ed in gran parte d’Europa la sessualità viene pressoché ignorata, arginata con medicinali o comunque rientra in un aspetto dell’astinenza quasi “dovuta” dal detenuto e le visite coniugali sono molto spesso complicate ed osteggiate. Negli stati Nord europei ci sono alcune detenzioni sperimentali in cui addirittura vengono pagate dallo Stato delle professioniste del sesso o vengono incentivate le visite coniugali con ambienti confortevoli in cui è possibile avere dei rapporti sessuali con la propria compagna o compagno.

Premialità

La premialità è un sistema ideato per rompere la solidarietà e la complicità tra detenuti, anche se viene descritto come “il fine di creare nel condannato degli atteggiamenti di collaborazione con l’istituzione carceraria, al fine del suo reinserimento in società”.
La premialità prevede la concessione di permessi premio o lo sconto della pena in luoghi esterni al carcere (per le pene inferiori ai 18 mesi) o la liberazione anticipata, ottenuta tramite i 45 giorni di sconto pena ogni sei mesi di buona condotta.
Non viene applicata a tutti i soggetti, infatti non solo dipende dalla buona condotta ma anche dal fatto che il detenuto non sia sottoposto al regime 14bis, non sia classificato come delinquente abituale e non ci sia il rischio di fuga.
L’introduzione del sistema della premialità, avvenuto durante gli anni ’70 fu lo strumento perfetto in quel periodo, per interrompere la stagione di lotte in carcere.
La novità che si rivela quasi sempre vincente è il ricatto con cui si perde molto facilmente lo sconto dei 45 giorni: basta un rapporto disciplinare negativo, che può essere dato dalle guardie anche solo per ripicca. La premialità spinge i detenuti ad accettare tutto passivamente per ingraziarsi le autorità carcerarie e ottenere dei vantaggi.

Protetti

I “protetti” sono generalmente i detenuti che vengono tenuti alla larga dalle sezioni comuni perché la loro presenza potrebbe essere oggetto di scontro con gli altri detenuti. Sono generalmente collaboratori di giustizia, sex offenders o ex appartenenti alle forze dell’ordine, ma anche quelli il cui reato ha avuto una risonanza mediatica forte tanto da dover temere per la loro incolumità. A volte vengono rinchiusi nelle sezioni dei protetti anche le persone transgender o gli omosessuali, per cercare di evitare che diventino vittime di abusi nelle sezioni comuni.
Può capitare che la direzione del carcere utilizzi il trasferimento nella sezione dei “protetti” per attuare un torto ai danni di un detenuto. Questo perché sono consapevoli che la permanenza nella sezione dei “protetti” viene percepita dai detenuti comuni come una sorta di disonore per cui è difficile godere di una buona reputazione se per un periodo si viene rinchiusi nella sezione protetta.
Di solito in ogni carcere c’è una sezione di “protetti”, anche se esistono degli istituti penitenziari in cui ci sono esclusivamente casi di questo tipo.

Psicologo

La figura professionale dello psicologo è connaturata al carcere. Secondo il principio costituzionale della rieducazione lo psicologo è diventato una figura obbligatoria per il trattamento dei detenuti. Il suo lavoro si svolge con una particolarità rispetto al mondo esterno che è quella del doppio mandato, infatti abbiamo come mandante dell’impiego professionale l’apparato istituzionale e dall’altro un destinatario involontario che sarebbe il detenuto.
All’interno delle mura carcerarie le funzioni dello psicologo sono: l’osservazione e la diagnostica dei detenuti e conseguente trattamento, l’accoglienza dei nuovi giunti, partecipazione al consiglio di disciplina e medicalizzazione dei detenuti per ciò che riguarda disturbi psichici.
Le relazioni dello psicologo sono parte integrante del profilo del detenuto ai fini di eventuali premialità.

Q

41 bis

Il 41-bis, chiamato anche “carcere duro”, è il regime carcerario più rigido dell’ordinamento penitenziario. In poche parole la parte più punitiva nel panorama carcerario.
È stato introdotto nel 1992, inizialmente come misura d’emergenza, all’indomani dell’omicidio di Falcone e Borsellino e anche per questo il suo utilizzo viene spesso ricollegato alla criminalità organizzata di tipo mafioso. Il suo utilizzo è però più ampio: possono essere destinati al 41-bis anche coloro che hanno compiuto reati con finalità di terrorismo, sequestro di persona, associazioni a delinquere con finalità di spaccio o contrabbando e reati legati alla prostituzione.
I reclusi in regime di 41-bis sono in perenne stato d’isolamento, in celle singole e con sole due ore d’aria al giorno, momento nel quale si possono incontrare al massimo 4 detenuti. I contatti con i familiari sono limitatissimi, un solo colloquio al mese e una telefonata di 10 minuti al mese, quest’ultima controllata, così come tutta la corrispondenza che viene sottoposta a censura.
Il regime 41-bis prevede una durata di 4 anni, prorogabile per ulteriori due anni (può essere prorogata all’infinito).
L’esistenza di questo regime punitivo è spesso oggetto di dibattito per le condizioni disumane che impone: nel 2015-2016 ci fu una campagna contro la decisione del D.A.P. di vietare l’invio di libri e materiale stampato ai reclusi in 41-bis, ordinanza che è stata poi confermata nel 2017.

14 bis

Il 14-bis viene definito il “regime della sorveglianza particolare”.
È riservato ai detenuti che con i loro comportamenti “compromettono la sicurezza negli istituti penitenziari, quelli che con la violenza o le intimidazioni impediscono le attività degli altri detenuti, quelli che nella vita penitenziaria mettono in stato di soggezione altri detenuti”. Di fatto può essere utilizzato per tutti i detenuti più agguerriti, quelli che non abbassano la testa davanti alle intimidazioni delle guardie e che lottano per ottenere dei miglioramenti nella propria condizione. Oppure anche per coloro che hanno un “curriculum criminale” particolare per cui viene richiesto il 14-bis già dall’ingresso nella struttura.
Questo provvedimento, che ha la durata di sei mesi può essere poi prorogato ogni tre mesi, potenzialmente all’infinito.
Le restrizioni imposte dal 14-bis sono variabili in base ai comportamenti del detenuto e a quelle che l’amministrazione del penitenziario richiede come “necessità” ma non possono riguardare l’igiene e le esigenze della salute; il vitto e il sopravvitto; il vestiario e il corredo; il possesso, la lettura di libri e periodici; le pratiche di culto; l’utilizzo di apparecchi radio; la permanenza all’aperto per almeno due ore al giorno; i colloqui con gli avvocati e quelli con i parenti.

R

Rapporti

I rapporti disciplinari (regolati dagli articoli 39 e 40 O.P.) sono le sanzioni che possono ricevere i detenuti che commettono un’infrazione disciplinare. Possono essere richiami del direttore; ammonizioni, esclusione da attività ricreative e sportive per non più di dieci giorni; esclusione dalle attività in comune per non più di quindici giorni. Non viene però specificato per quali motivi vengano dati, perciò viene lasciato molto spazio all’interpretazione delle guardie che possono usare i rapporti disciplinari come meglio credono, spesso anche in base alle loro antipatie. Oltretutto i rapporti fanno si che non si ottengano i 45 giorni di uscita anticipata che si hanno ogni sei mesi di detenzione con buona condotta.
Esiste un’altra sanzione per i detenuti che commettono aggressioni verso il personale o verso altri detenuti, che danneggiano la struttura e l’arredo carcerario, e consiste nei trasferimenti disciplinari. Son chiamati “trasferimenti per motivi di sicurezza” e infatti non sono inseriti nell’ordinamento come vere e proprie sanzioni disciplinari. Un esempio eclatante sono i trasferimenti avvenuti in seguito alle rivolte a marzo 2020.

S

Sappe

Il Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria (SAPPE) è uno dei sindacati della polizia penitenziaria.
Fondato nel 1991 mantiene un’alta percentuale di iscritti, si parla del circa 31% del personale penitenziario.
Si occupa delle vertenze lavorative delle guardie carcerarie con attenzione alle questione generali del carcere come: il numero insufficiente di guardie, i disservizi legati alla sicurezza durante il lavoro all’interno degli istituti e la carente gestione statale. Il SAPPE possiede un organo di stampa: Polizia Penitenziaria Società Giustizia e Sicurezza.
Si distingue continuamente per le vergognose difese degli agenti di polizia penitenziaria anche nei casi di abusi più evidenti.

Sballamento

Si tratta di un trasferimento forzato e inatteso da un carcere all’altro, effettuato per motivi di sovraffollamento, o di “sicurezza”, o altro. Di solito viene utilizzato dall’amministrazione come punizione rispetto a dei comportamenti particolarmente “irrequieti” o per spezzare dei legami di solidarietà che si creano all’interno della struttura.

Sciopero del carrello

Si verifica quando i detenuti per protesta scelgono di non comprare niente dal carrello, quindi dal sopravvitto offerto dal carcere. Possono essere un gruppo, una sezione o anche tutti i detenuti di un carcere ad organizzarsi insieme e iniziare lo sciopero che può avere una durata breve o lunga, tendenzialmente dura fino a quando non ottengono ciò che vogliono. Spesso accade quando i carcerieri non rispettano il regolamento carcerario (meno ore d’aria, meno chiamate con i parenti, l’aumento dei costi del sopravvitto o in casi di solidarietà con fatti avvenuti all’esterno).ovviamente un’ulteriore arma di ricatto e repressione all’interno delle mura carcerarie.

Sciopero della fame

È una delle forme più estreme di lotta non violenta praticata in carcere, negli anni ‘70 e ‘80 ha avuto larghissima diffusione specialmente nei detenuti politici, alcuni dei quali portarono avanti lo sciopero fino alla morte.
Normalmente i prigionieri che intendono intraprendere uno sciopero della fame avvisano l’autorità carceraria, che per legge è costretta a predisporre dei controlli sanitari quotidiani e non può in nessun modo imporre l’interruzione della lotta, e neanche imporre l’alimentazione. Negli ultimi anni ci sono stati diversi scioperi della fame per protestare contro varie misure imposte dalle direzioni carcerarie, ricordiamo nel 2019 lo sciopero della fame delle prigioniere anarchiche del carcere de L’Aquila, e nel 2020 quelli in protesta alle insufficienti misure anticovid presenti nelle carceri. In Sardegna nel 2017 nel carcere di Uta morì in circostanze poco chiare l’indipendentista Doddore Meloni, dopo quasi due mesi di sciopero della fame.

Semilibertà

Consiste nella concessione, al condannato e all’internato, di trascorrere parte del giorno fuori dal carcere per partecipare ad attività lavorative, istruttive o “utili al reinserimento sociale”, in base ad un programma di trattamento, di cui è responsabile il direttore del carcere.
La possono ottenere coloro che sono in stato di arresto o i condannati a una reclusione non superiore a sei mesi, ma non in caso di affidamento in prova al servizio sociale.
E’ concessa in relazione “ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società”.
Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al regime di semilibertà dopo avere espiato almeno venti anni di pena.
Se viene data la semilibertà a una detenuta madre di un figlio di età inferiore a tre anni, ha diritto di usufruire della casa per la semilibertà.
Il provvedimento di semilibertà può essere revocato in ogni momento, per punizione e in generale se “il soggetto non è più idoneo al trattamento”.

Sezioni speciali

Con questo termine si intendono nel gergo tutte le sezioni che si distinguono da quelle “comuni” e che presentano quindi delle particolarità, per durezza o per tipologia. Le sezioni speciali posso essere quelle di Alta Sicurezza (1, 2 o 3), il 41-bis, o sezioni adibite per delle tipologie di reati come quelli legati ai crimini sessuali. A prescindere dal tipo di reato per il quale si viene arrestati, la differenziazione tra detenuti è una buona arma nelle mani delle amministrazioni penitenziarie per dividere i detenuti in “buoni” e “cattivi”, e cercare in questo modo di spezzare dei possibili legami di solidarietà.

Solidarietà

Se il carcere rappresenta la massima espressione di costrizione e controllo, la solidarietà è la base da cui partire per renderlo meno efficace.
La funzione delle strutture carcerarie è quella di isolare i detenuti con il fine di condurli al pentimento e alla negazione di ciò che si è commesso.
All’interno delle carceri le amministrazioni adottano tutte le misure possibili per mettere i prigionieri gli uni contro gli altri: premialità, sezioni differenziate, costo del sopravitto che crea antipatie tra chi può e non può permetterselo, istigazione alla delazione e così via. Rispetto al mondo esterno è ancora peggio, i rapporti e le relazioni vengono ridotti all’osso per fare in modo che chi sta dentro subisca il peso della sua condizione.
La solidarietà, nelle sue svariate forme, è la nemica principale del carcere. Essere solidali e aiutarsi tra detenuti, non dimenticarsi di chi sta dentro e parlare dei problemi all’interno delle carceri, dimostrare che chi sta dentro non è solo, sono tutti modi per rendere viva la solidarietà. E non a caso sono tutte cose non accettate da chi amministra le prigioni.
Sanno bene che dove c’è solidarietà c’è forza, c’è voglia di non tacere davanti ai soprusi, voglia di unirsi e aiutarsi e magari anche di lottare insieme.

Sopravvitto

Quando si parla di sopravvitto si intendono tutti quei beni, perlopiù alimentari ma anche di altro tipo, che i detenuti possono acquistare a loro spese. È regolato da una legge del 1975 anche se ogni struttura carceraria ha le sue norme e i prezzi possono variare da struttura a struttura. I detenuti possono acquistare questi prodotti compilando un modulo, scegliendo da una lista approvata dall’amministrazione carceraria. La ditta che fornisce i prodotti del sopravvitto è generalmente la stessa che fornisce i pasti gratuiti.
Il costo elevato dei prodotti, in confronto al supermercato, è stato il motivo di tante proteste all’interno delle carceri, oltre che essere fonte di differenziazione: ovviamente chi ha più soldi si può permettere più prodotti.

Sorveglianza speciale

È la peggiore delle misure di prevenzione (le altre sono l’avviso orale, il foglio di via e il Daspo per le manifestazioni sportive). La richiesta della sorveglianza speciale deve essere convalidata da un PM e la sua applicazione viene decisa per mezzo di un processo con una sola udienza. Viene richiesta per i soggetti ritenuti “socialmente pericolosi” o con un grosso carico di precedenti penali oppure per chi esce dal carcere, se il PM ritiene necessario un periodo di transizione dalla struttura carceraria alla libertà. In ogni caso, la richiesta della sorveglianza speciale può essere legata a svariati motivi, in base alla fantasia dei reparti di polizia che la richiedono o dei PM che la convalidano. In caso di applicazione della Sorveglianza speciale le misure possono essere svariate. La durata può variare da uno a cinque anni e le restrizioni vanno dall’obbligo di dimora, al rientro notturno, il ritiro della patente, al divieto di frequentare “pregiudicati”, in base alla decisione del giudice che decide. Al “sorvegliato speciale” viene consegnato un libretto rosso nel quale vengono annotate tutte le prescrizioni e che il soggetto deve sempre esibire a richiesta dell’Autorità di pubblica sicurezza e sul quale saranno annotati i relativi controlli.

Squadretta

Questo termine del linguaggio carcerario viene utilizzato per indicare un gruppo di guardie (o del resto del personale) che picchiano, umiliano, e utilizzano la violenza contro i detenuti. Le percosse possono durare molto tempo o essere singoli episodi. Questi fatti sono stati conosciuti grazie alle testimonianze di alcuni detenuti.

T

Telefonate

Questo termine del linguaggio carcerario viene utilizzato per indicare un gruppo di guardie (o del resto del personale) che picchiano, umiliano, e utilizzano la violenza contro i detenuti. Le percosse possono durare molto tempo o essere singoli episodi. Questi fatti sono stati conosciuti grazie alle testimonianze di alcuni detenuti.

Telegrammi

I telegrammi sono un altro mezzo di comunicazione tra il dentro e il fuori. Si può spedire in qualsiasi momento. E’ molto rapido, ma anche molto dispendioso, costa intorno ai 5 euro. Si utilizza molto spesso quando una persona entra in carcere per far sentire la vicinanza o quando si ha necessità di comunicare qualcosa di importante e immediato.

Territorialità della pena

Secondo l’art. 42 dell’Ordinamento Penitenziario “il detenuto deve scontare la pena nel luogo più vicino alla famiglia”. Questo è il classico esempio di quanto la “legge” conti poco davanti al volere delle amministrazioni penitenziarie. Questo articolo molto spesso viene infatti “dimenticato” e ci sono numerosi casi di detenuti che vengono spediti lontani dai loro luoghi di residenza. Spesso, con la giustificazione che in prossimità dei luoghi di residenza non è presente una struttura “adatta” alla detenzione, il prigioniero viene spedito in luoghi lontani, rendendo difficilissimi i contatti con la famiglia. La Sardegna ha un passato significativo per quanto riguarda il tema della “territorialità della pena”, per diversi motivi. Essendo la regione dello Stato italiano con più carceri di massima sicurezza molto spesso i detenuti vengono spediti nelle carceri sarde, da una parte per sfruttare l’insularità che diventa un ostacolo ancora più grande per i familiari e dall’altra per creare una popolazione carceraria che non ha alcun legame con il mondo che c’è fuori. Il caso di Massama, in cui i prigionieri sardi sono un numero esiguo, è emblematico. Se ci pensiamo è molto più semplice che la gente che vive intorno si “dimentichi” di una struttura carceraria se all’interno non c’è nessuno che conosce. Inoltre storicamente è capitato molto spesso che i detenuti sardi venissero spediti in continente per scontare la pena, per spezzare quei legami di conoscenza e solidarietà con il mondo esterno. Negli anni novanta la questione generò delle proteste e si formò anche un “Comitato di Solidarietà con il Proletariato Prigioniero Sardo Deportato”.

Trasferimento

Il trasferimento è il passaggio da una struttura carceraria ad un’altra e può avvenire per diversi motivi. La prima distinzione importante è data da chi richiede il trasferimento, la domanda può avvenire sia da parte del detenuto sia dalla direzione del carcere. Il detenuto può farne domanda per motivi di vicinanza alla famiglia, di lavoro o di studio o per motivi di “sicurezza” e una volta presentata la domanda, il DAP o il PRAP (in base a quale carcere si richiede di essere trasferiti) dispongono di 60 giorni per rispondere.
Nel caso dei trasferimenti “disciplinari” è la direzione del carcere a formulare la richiesta. Formalmente la giustificazione è di “preservare la sicurezza interna alla struttura”, ma in realtà questa è più una carta che l’amministrazione utilizza per punire i detenuti più irrequieti o dopo degli episodi di insubordinazione. Di solito ha lo scopo di spezzare i legami che il detenuto ha creato all’interno del carcere per indebolire ed isolare, costringendo il prigioniero a riniziare il processo di integrazione in una nuova struttura. Per questo tipo di procedura non c’è una regolamentazione precisa, il contatto tra le direzioni di due prigioni rende immediato il trasferimento per cui il detenuto non ha nessuna possibilità di opporsi. Può capitare che il detenuto venga trasferito in un carcere molto lontano dal suo luogo di residenza rendendo complicate le visite ed i colloqui. Infatti il tema dei trasferimenti si scontra con quello della “territorialità della pena”, secondo il quale i detenuti hanno il diritto di scontare la pena in un luogo vicino alla propria famiglia.

Tribunale di sorveglianza

È l’organo collegiale, composto da: due magistrati ordinari (di sorveglianza) e due esperti (es. di psicologia, criminologia o servizi sociali). Le decisioni del tribunale di sorveglianza possono essere impugnate davanti alla corte di cassazione. Le funzione del tribunale di sorveglianza sono elencate nell’art. 70 o.p. alcune di queste sono: la concessione e la revoca delle misure o delle pene alternative alla detenzione in carcere (affidamento in prova, semilibertà, detenzione domiciliare etc.), concessione della liberazione condizionale e del rinvio facoltativo o obbligatorio dell’esecuzione della pena.

U

UEPE (Ufficio per l’esecuzione penale esterna)

Gli uffici per l’esecuzione penale esterna, sono Uffici periferici del Ministero della Giustizia, Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità.
Gli Uffici U.E.P.E. hanno il compito di gestire l’applicazione delle misure alternative concesse dai Tribunali di Sorveglianza ai condannati (con pene inferiori ai 4 anni e non utilizzabili più di una volta) che per i loro particolari requisiti possono espiare la pena nell’ambiente esterno, anziché negli Istituti penitenziari. Inoltre gli Uffici svolgono su richiesta dell’Autorità giudiziaria le “inchieste sociali” e le “indagini socio-familiari”, e prestano consulenza negli Istituti Penitenziari. Nell’attuare i propri compiti istituzionali l’Ufficio si coordina con Istituzioni pubbliche e private e Servizi Sociali presenti nel territorio.
La figura centrale è l’assistente sociale ma ci sono anche la Polizia Penitenziaria, gli psicologi, i criminologi e gli educatori che conducono le “indagini” per far uscire i detenuti dal carcere.

Queste indagini sono finalizzate alla predisposizione del programma di trattamento che dovrà contenere indicazioni circa le modalità di coinvolgimento dell’imputato e dei familiari nel processo di reinserimento sociale, le prescrizioni comportamentali, le attività di riparazione o di risarcimento del danno, e il lavoro di pubblica utilità. L’ufficio concorda il programma con l’imputato e chiede l’adesione degli Enti territoriali coinvolti.
Infine, trasmette al giudice l’indagine socio familiare, il programma di trattamento e le “considerazioni che lo sostengono”, comprensive delle notizie relative alla situazione economica e alla possibilità di svolgere l’attività riparativa o di mediazione.
Durante la fase di esecuzione della prova, l’UEPE:
– riferisce al giudice, con cadenza almeno trimestrale, l’andamento del programma, il comportamento tenuto, le proposte di modifica e le eventuali trasgressioni che potrebbero determinare la sospensione della prova.
– redige inoltre la relazione finale.
La misura decorre dal momento della sottoscrizione del verbale di messa alla prova da parte dell’imputato, presso l’UEPE.
Durante il periodo pandemico, il 2020, l’UEPE ha fatto moltissimi errori che hanno portato molti detenuti e detenute a restare in carcere più del dovuto, avendo la possibilità di ottenere misure alternative, durante un periodo di crisi sanitaria.

Udienza

E’ il momento in cui il giudice sente le parti in causa, gli avvocati dell’accusa e della difesa. Un processo può essere composto da diversi tipi di udienze che variano dall’ambito civile al penale.
Per chi sta in carcere le udienze, per quanto spesso temute, son un momento atteso che spezza la monotonia della reclusione. Quando sono a porte aperte vi può entrare chiunque ed è un’ottima occasione per vedere qualche viso amico, scambiare due chiacchiere e tirarsi su di morale. Inoltre le udienze permettono a chi non vede da tanto il proprio caro di accertarsi delle sue condizioni di salute, non è raro che i parenti si accorgano delle violenze dei secondini proprio grazie alla vista di quei segni.
Questo momento può essere anche utilizzato dal detenuto per rilasciare delle dichiarazioni, denunciare qualche abuso. Invece, proprio questo è reso impossibile dai processi in videoconferenza (vedi lettera V), in cui il giudice può silenziare a suo piacimento l’imputato.

V

Vaglia

E’ uno dei modi per spedire denaro ad un detenuto in carcere. Il vaglia postale va indirizzato all’indirizzo del carcere dove il detenuto si trova indicando nome e cognome, specificando, in caso di omonimia la sezione. L’amministrazione provvede poi a versare la somma sul conto corrente personale del detenuto. In ogni carcere è previsto l’Ufficio Conti Correnti dei distretti, la direzione del carcere può decidere se mettere delle limitazioni su chi può inviare il denaro ai detenuti.

Videochiamata

Sono apparse all’interno della vita carceraria da Marzo 2020, in alternativa ai colloqui, bloccati per le normative anti-contagio da Coronavirus. In realtà, già da gennaio 2019 girò una circolare del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per l’inserimento delle videochiamate come una delle modalità di colloquio, si parlava di 6 videochiamate al mese di massimo un’ora. La richiesta funziona come per le telefonate, attraverso la segnalazione della persona con cui si intende farle e il collegamento avviene in una stanza apposita, sotto il controllo dei secondini. L’inizio del lockdown ha rafforzato il loro utilizzo, come unica modalità possibile di contatto con i familiari, oltre le telefonate. Recentemente la Cassazione ha confermato l’autorizzazione all’uso delle videochiamate anche nei bracci del 41bis.

Videoconferenza

La videoconferenza è il metodo che l’amministrazione penitenziaria, in accordo con il Ministero della Giustizia, ha trovato per evitare le udienze in presenza del recluso. Da qualche anno viene utilizzata sempre più spesso all’interno delle carceri e il pericolo del contagio Covid ha incentivato ancor di più questa pratica. Inizialmente le motivazioni erano legate alla “pericolosità” del prigioniero o alla distanza tra il luogo di reclusione e tribunale nel quale si svolge il processo. Già prima del Covid il suo utilizzo si stava allargando, sostanzialmente perché in questo modo le guardie si evitano il viaggio e il giudice si evita la “scomodità” di avere un detenuto in aula. In questo modo le possibilità del detenuto di farsi sentire o esprimere un opinione sarà molto più debole: basta un click per spegnere la videocamera o per azzerare il volume. Oltre che in questo modo il detenuto viene privato della possibilità di incontrarsi con eventuali coimputati o semplicemente di viversi una giornata diversa da quella passata dietro le sbarre.
Durante il periodo della pandemia il metodo della videoconferenza è stato utilizzato anche per quanto riguarda la didattica penitenziaria o i rapporti con gli assistenti sociali, laddove queste cose non sono state bloccate del tutto.

Vitto

Il vitto all’interno del carcere è il cibo gratuito che viene distribuito ai detenuti, da non confondere con il sopravvitto che è invece il cibo acquistabile in aggiunta. È risaputo che la qualità del vitto lascia a desiderare e i numeri spiegano anche il motivo: secondo una ricerca nel 2010, in Italia, venivano spesi 3,92€ al giorno a detenuto per tutti e tre i pasti.
Di solito nelle sezioni femminili la qualità del vitto è migliore perché il numero delle recluse è minore. I pasti vengono cucinati dai carcerati della sezione lavoranti e, teoricamente, dall’art.9 sappiamo che “il relativo controllo (degli ingredienti) spetta anche ad una rappresentanza dei detenuti o degli internati, designata mensilmente per sorteggio”, ma che in realtà questa rappresentanza non viene quasi mai utilizzata.

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