E’ uscito il quinto numero della rivista di approfondimenti Nc’At Murigu, il numero si concentra sulla rivolta corsa della primavera scorsa e sul trentennale del fallimento dell’operazione coloniale Forza Paris.

Per chi volesse ordinare delle copie o organizzare una presentazione scriva alla mail: ncatmurigu@gamil.com

Sono disponibili ancora copie dei numeri precedenti.

In anteprima l’editoriale:

Il filo conduttore delle analisi degli ultimi tempi – alcune delle quali pubblicate anche qui su Nc’at Murigu – quest’anno si è rinforzato.

Alcune piacevoli – e per certi versi inaspettate – conferme hanno scandito i mesi di questo 2022, offrendo interessanti spunti e imponendo ulteriori slanci di approfondimento e studio, col fine di capire veramente di cosa stiamo parlando, cosa abbiamo e avremo di fronte. 

Il riferimento per nulla celato è il ritorno sempre più forte e diffuso dell’interesse verso le questioni nazionali e locali, che va di pari passo con l’emersione di sentimenti identitari, confusi ma evidentemente slegati da presupposti ideologici classici.

Ciò che pare stia accadendo infatti è una forte messa in discussione di metodi organizzativi dei confini ideologici, accompagnata da una persistenza di pratiche che innegabilmente conferma punti di saldatura e continuità con il passato recente.

La risultante di questa fase – perlomeno qui in Sardegna – è una diffusa curiosità verso se stessi, attraverso un’attrazione in certi momenti quasi magnetica verso la scoperta del noi sardo. Ma anche verso il piacere di riconoscersi in un territorio, nelle e con le persone che lo abitano, sentendo e gustando quel profondo cambio di marcia e di spinta di quando si lotta per la propria terra, quella in cui si è nati o quella che ci siamo scelti.

Non pensiamo che dire che alcuni fatti “diano forza a questa tensione” sia una forzatura della realtà.

La rivolta corsa, dall’innesco casuale e imprevedibile, covava da un decennio sotto uno strato evidentemente molto sottile di sopportazione. Molto più nel piccolo qui in Sardegna, il desiderio di ritornare, cesoie in tasca, fuori dalle reti militari anche.

Ma non solo, c’è veramente molto altro chi stari coendi.

Due numeri fa su queste pagine ragionavamo su se e quanto la questione coloniale fosse ancora o di nuovo attuale in Sardegna, se le forme di sfruttamento di persone e territorio e le pratiche di mantenimento e difesa dello status quo avessero ancora quella violenza tipica del colonialismo. 

Due anni sono bastati per dire che è così.

Se sarà pur vero che tutte le produzioni teoriche di postcolonialismo, decolonizzazione e via dicendo che continuano ad uscire dagli studi dei ricercatori universitari hanno indubbiamente rispolverato e diffuso l’uso e il ritorno di una certa terminologia, è altrettanto vero che le parole si usano perché le persone vi si riconoscono.

Voci dubbiose sostengono che il ritorno alle questioni nazionali o locali, il rilancio delle identità territoriali sia un ripiegamento di convenienza su posizioni più semplici e anche pericolose: il sempreverde mostro dell’interclassismo, il sovranismo e un generico orizzonte troppo vicino che rischia di sfociare in un gigantesco effetto nimby.

Dubbi leciti.

Ma non così forti – a nostro parere – da dover mettere in discussione questo percorso. Dubbi che devono essere costantemente presi in considerazione senza che si tramutino però in freni.

Il fatto stesso che l’analisi di partenza sia un’analisi anticolonialista dovrebbe preservare da tutta una serie di scivolosi terreni su quali effettivamente non è il caso di avventurarsi.

L’ispirazione e l’ammirazione per le vicende corse nasce e cresce a partire da una rivolta di un mese, dove migliaia di persone si sono scontrate con la polizia, dove sono state attaccate caserme, prefetture, tribunali e simboli del colonialismo francese, non di sicuro da un trionfo elettorale come quello di Femu a Corsica di qualche anno fa, che nessuno considerò come ispirazione o riferimento.

La complessità della questione, il nucleo della “scivolosità”, non è quindi da individuare nell’approccio a questa rinnovata tensione che sta attraversando buona parte delle lotte in Sardegna, ma nel consenso che sta avendo.

Il consenso (e la ricerca di esso) è un’arma pericolosissima, specialmente quando arriva per presupposti teorici e non per momenti pratici. Ancor di più nell’attuale era social dove i principali indicatori di consenso di analisi e proposte sono i like o i followers, quanto di più immateriale e inaffidabile ci possa essere intorno a noi.

Un esempio lampante di questo aspetto lo si può individuare all’interno del movimento di opposizione alla transizione energetica in Sardegna, dove le proposte di blocco dei cantieri stanno ripiegando su rivendicazioni sovraniste nemmeno troppo celate. Dove la fiducia nella via istituzionale dei ricorsi a TAR e simili sta sottraendo il terreno alla tensione dell’azione diretta.

Da dentro i comitati di base fino al consiglio regionale (per bocca del M5S), la transizione viene riconosciuta come imposizione coloniale e la soluzione non è fermarla con la lotta, ma governarla.

“Padroni a casa nostra”, storico slogan leghista, quando serve viene rispolverato e assume purtroppo un notevole fascino, un senso di rivalsa e di slancio che anima contesti solitamente sonnacchiosi e indolenti.

Il problema di fondo però non è “la difesa della propria terra”, ma la comprensione del perché vi è bisogno di difenderla, da cosa e come. 

Basta infatti grattare debolmente la superficie per scorgere che i consiglieri Cinque stelle, pur rivendicando la loro origine movimentista, cavalcano queste retoriche per difendere le necessità delle lobby del turismo. Analogamente sindaci, amministratori e imprenditori locali contrari non si muovono certamente su base etica, ma strettamente di interessi, alcuni chiari altri più difficili da comprendere.

Ciononostante stare in mezzo a queste contraddizioni, anche con parole simili, ma con fini e mezzi completamente diversi, pensiamo che possa essere una delle sfide più interessanti per chi vuole aizzare una lotta di liberazione dalle oppressioni di questa terra.

Certo non è facile, manca quasi tutto quello che serve per evitare di essere schiacciati, usati, masticati e sputati da queste manovre multimilionarie che della Sardegna e dei sardi se ne fottono letteralmente.

Però è tra le pieghe della paura del cambiamento, del fascino per il sovranismo, della rabbia per l’ennesimo esproprio, dell’insofferenza per le ingerenze esterne che potremo trovare i nuovi complici e nuova determinazione per far si che in questa terra si riprenda a lottare.

La nostra isola è attraversata da fortissimi conflitti che non riescono a tramutarsi in lotte, questa è una delle condizioni più stimolanti che come compagni abbiamo la possibilità di vivere. Perché se non riprenderemo a lottare al più presto, non troppo tardi ci toglieranno tutto.

30 anni fa, nel luglio del ‘92, veniva varata l’Operazione Forza Paris: migliaia di soldati dell’esercito italiano sbarcarono in Sardegna con la scusa del sequestro Kassam, in realtà l’obiettivo era quello di stroncare la resistenzialità ancora esistente e far vedere i muscoli dello Stato. Quella volta gli andò male. A suon di cazzotti, bombe, incendi e sabotaggi i militari andarono via con la coda tra le gambe dopo appena due mesi.

I modi per lottare sono tanti, la resistenza con l’operazione Forza Paris ne racconta uno, costruiamone insieme altri.