I militari dichiarano di voler bonificare la Penisola Delta: una penisola etichettata come imbonificabile qualche anno fa.

Questa è una storia che va’ collocata nel tempo e nello spazio. Risale a diversi anni fa, più precisamente al 1952, anno in cui sono iniziate le esercitazioni navali e i bombardamenti contro una delle più belle coste della Sardegna, Capo Teulada.

Capo Teulada si trova nel sud Sardegna, nel bel mezzo del mar Mediterraneo, ed è proprio in questo territorio che nel 1956 è stato istituito uno dei due poligoni militari più grandi d’Europa, dividendo il primato col Poligono di Quirra, anche questo collocato sul territorio sardo. Il poligono di Capo Teulada, vasto 7.425 ettari a terra, a cui si sommano i 75.000 ettari per “zone di restrizione dello spazio aereo e le zone interdette alla navigazione”, è stato per più di 70 anni teatro di scene di guerra, con bombe vere, i cui protagonisti dalle grandi interpretazioni sono stati i militari dell’Esercito italiano, assieme a Marina e Aeronautica, affiancati anche dagli eserciti di altri stati Nato.

All’interno del poligono vi sono diverse aree di addestramento: una di queste, quella più a sud di tutte, viene soprannominata “Penisola Delta”. Quest’area, che dalle carte sembrerebbe essere una zona naturalistica protetta, possiede anche un altro nome. Viene chiamata “zona arrivo colpi”, perché le navi, gli aerei e gli elicotteri l’hanno utilizzata per sparare, gettare le loro bombe e sperimentare missili di ogni tipo. Dal primo bando della marina militare, trovato negli archivi del comune, risalente al 1952, si evince che quest’area è stata bombardata per 65 anni ininterrottamente.

Le esercitazioni delle forze armate di tutto il mondo avvenute in questa zona sono state interrotte nel 2017, solo in seguito ad un’inchiesta della procura di Cagliari, che ha portato all’imputazione dei vertici militari per disastro ambientale. La penisola Delta è la rappresentazione della devastazione che le esercitazioni militari creano sull’ambiente e su chi dell’ambiente fa parte. A causa dell’inquinamento e dei residui presenti nel suolo e per il pericolo per la pubblica incolumità, riferito alla presenza di bombe inesplose e al pericolo di incendio, questa zona fu definita “imbonificabile” e interdetta al passaggio e alla navigazione.

E così, i continui e incessanti bombardamenti avvenuti per quasi un secolo, adesso ritenuti illegali dalla procura di Cagliari, hanno portato al danneggiamento di un’intera area, rendendola talmente compromessa da non permettere a nessuno, persino ai militari, di potervi accedere a causa dell’estrema pericolosità della zona per i numerosi rifiuti bellici inesplosi e tossici.

Tutto ciò sembra in contrasto con quello che nel 2016 il Sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito, Giovan Battista Borrini, ha dichiarato in occasione della firma di un protocollo sulla tutela dell’ambiente con l’ISPRA [Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale]. Egli riferendosi proprio alle attività militari nella zona di Capo Teulada affermò “tutti questi danni, sono sicuro, noi non li facciamo”, sostenendo che i militari si esercitano avendo il massimo rispetto dell’ambiente e che tengono sotto controllo le aree che impiegano. Questa non è altro che una bugia bella e buona se si tiene conto anche solo del fatto che quella zona non è mai stata bonificata interamente.

L’operazione “Pasubio” è di fatto l’unico intervento fatto sulla Penisola Delta, risalente al 2014 e terminato nel 2021, in collaborazione con l’ISPRA e l’ARPAS [Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Sardegna]. L’intervento, che ha coinvolto 90 militari, era finalizzato alla creazione di corridoi per poter almeno accedere all’area e prelevare dei campioni di suolo per poi analizzarli. Se si scende nel dettaglio, dalle carte si evince che la superficie che è stata ripulita è dell’1,4% della zona e questo significa che solo un settantesimo della Penisola Delta è stato bonificato. In questa piccola porzione di territorio sono stati rinvenuti 235 ordigni inesplosi e i campionamenti di terra fatti hanno mostrato grandi eccessi di arsenico e piombo, nocivi alla salute.

Un’altra operazione, forse ancora in corso, è nominata “Poseidone”, che secondo il Rapporto dell’Esercito del 2018, ha coinvolto 20 militari nello studio dello stato ambientale e alle esigenze di bonifica da residuati nei fondali marini, con uso di sommozzatori e sotto l’attenzione dell’ISPRA.

Si sa poco e nulla di queste operazioni e in generale di cosa succede nelle basi, perché i militari si tengono ben strette tutte le informazioni e le istituzioni, quando gli viene richiesto, non sembrano molto collaboranti.

Adesso, da qualche settimana un documento del ministero della Difesa parla dell’attuazione di un piano per la bonifica della discarica di bombe e missili nella Penisola Delta. Sembra proprio che la parola bonifica venga utilizzata per convenienza. Infatti, parrebbe più una pulizia superficiale dell’area che un vero e proprio recupero, il quale dovrebbe prevedere un progetto strutturato che parta da dati certi. L’unica cosa che viene esplicitata è che verrà ripulito il terreno in superficie (sino ad un metro di profondità): da questo già emerge che tutti gli ordigni e i residui presenti al di sotto dei limiti, ovvero sommersi dalla sabbia o sotto il livello del mare dopo tanti anni di abbandono, non verranno presi in considerazione. Inoltre, questa “bonifica” sembra debba essere svolta dai militari senza alcuna supervisione esterna di tecnici degli organi amministrativi regionali, come appunto l’ISPRA o l’ARPAS. Come se non bastasse la poca attenzione all’ambiente circostante che hanno avuto in tutti questi anni, questo intervento dovrebbe essere svolto senza interruzioni di alcun tipo nel periodo estivo, ad alto rischio di incendi, e nei periodi di nidificazione delle specie protette dell’area. Infine, per chiarire ancora una volta quanto l’impianto di riqualificazione della penisola Delta sia inconsistente, basta guardare il piano di ripulita delle zone fitte di ginepri, per il quale si è disposto un mero recintaggio dell’area che non ne prevede nessun miglioramento.

Come si evince da un articolo dell’Unione Sarda, sulla carta viene dichiarato che verranno rimossi tutti gli ordigni abbandonati. «Non si dispone di un elenco del materiale impiegato in loco a partire dal 1959». Ossia da quando si è iniziato a sparare sulla Penisola Delta, l’area “maledetta” del Poligono di Capo Teulada.

E quindi cosa troveranno? Le carte fanno riferimento solo a una “media” di ciò che si è sparato tra il 2009 e il 2015, ma per il periodo precedente non si hanno notizie certe, se non che dovrebbero essere presenti residui di granate di piccolo calibro e artiglieria, di bombe da mortaio e d’aereo, di razzi e di missili Spike e Tow. Un altro dato si ricava dall’inchiesta della procura di Cagliari del 2017 che ha accertato che fra il 2008 e il 2016, il sito sia stato bersaglio di 860mila colpi con un peso di residui di armamenti pari a circa 556 tonnellate, compresi almeno 11.785 missili M.I.L.an (missili con sistema di tracciamento al Torio 232, un materiale radioattivo).

Dove andranno a finire i residui bellici trovati nella penisola? Nel progetto si indica chiaramente che, come riporta INDIP, “tutto ciò che non è esploso verrà fatto brillare oppure sottoposte a deflagrazione controllata o combustione, in loco in altre aree del poligono. In altre parole, una bonifica ad alto impatto ambientale”1. L’opzione dei centri di demilitarizzazione presenti in Italia, in grado di differenziare le componenti dei sistemi d’arma, smaltire tramite forni bonificatori l’esplosivo e recuperare metalli pregiati, non viene presa in considerazione. Perché? Semplice: troppo costosa.

Nello stesso articolo vengono riportate alcune note dei tecnici militari nel documento di Valutazione di incidenza ambientale che sostengono che l’esercito italiano è tra i principali datori di lavoro del Sulcis-Iglesiente e dunque che il Poligono di Teulada risulta essere un’importante “risorsa economica locale”. Un chiaro tentativo, già fatto in passato, di arrampicarsi sugli specchi, provando a calcare il dito su una cosa che in Sardegna è scarsa e problematica: il lavoro.

I posti di lavoro che il poligono offre come possono essere messi sullo stesso piano di un problema all’incolumità pubblica causata dal poligono stesso?

Non pensiamo che i posti di lavoro che il poligono offre potranno mai ripagare i danni alla flora e fauna di zone protette, quelle che ora provano a bonificare, perché non torneranno mai più come prima. I danni che hanno fatto in tutti questi anni, senza controlli e senza averli scritti nero su bianco, sono irreparabili.

E poi, quanto vale un posto di lavoro rispetto alla vita delle persone delle comunità vicino ai poligoni? Per essere più chiari, come afferma l’avv. Sollai, l’inchiesta sull’inquinamento del suolo e sul pericolo alla pubblica incolumità è circoscritto al solo territorio della base e non viene menzionato il pericolo all’esposizione di sostanze tossiche o radioattive che se inalate portano a contrarre malattie tumorali che non danno nessuna speranza di vita. Queste sostanze si depositano nel suolo, disperdendosi nell’ambiente e andando oltre i confini della base, vengono assorbite dal terreno brucato dagli animali, e con le piogge inquinano le falde acquifere. Di tutti questi fenomeni la procura della Repubblica non ne fa menzione nei capi di imputazione. La presenza di materiali nocivi nella terra tra l’altro, oltre a inquinare profondamente il territorio, presenta ovviamente un problema per i militari stessi, soprattutto quelli intenti a “bonificare” la zona. In Sardegna i precedenti non fanno ben sperare, poiché ci sono diversi processi aperti e mille altre storie di paese note: storie di militari mandati a raccogliere detriti nocivi senza vedersi fornire alcuna protezione, finendo per ammalarsi e morire, nei più dei casi di leucemia.

Come se non bastasse, oltre il danno, la beffa: dalle carte di evince che questa fantomatica bonifica avrà come scopo quello di ripulire la zona per poi poterla riutilizzare come zona bersaglio. Dalle carte: “Ripristinare le condizioni del Poligono “Delta” per consentire il normale transito in sicurezza e l’ utilizzo futuro dello stesso quale zona bersaglio per arrivo colpi”. In sostanza quello che si vuole fare è bonificare l’area delta per continuare a sparare “regolarmente”. Il loro intento, quindi, non è quello di preservare il territorio e provare a liberarlo da tutti i danni che hanno causato ma bensì di ripulirlo e continuare a bombardare.

Tutto questo stupisce? Non tanto, perché rientra purtroppo nella prassi che Difesa e forze Nato hanno avuto in Sardegna da quel famoso 1952: sequestrano parti di terra, la recintano, la spremono fino all’ultimo e poi l’abbandonano. A prova di ciò sono le innumerevoli strutture militari abbandonate, mai bonificate: polveriere, depositi, alloggi fino ad arrivare ad un’intera base, quella in cima al Monte Limbara, di proprietà USA.

Il movimento contro l’occupazione militare in Sardegna ha provato a rivendicare la bonifica della terra, e continua a farlo. Tra chi proponeva l’istituzione di corsi magistrali in materia all’Università, per formare dei tecnici sardi che si impegnassero per la salute della terra, a chi spingeva perché fossero i militari e la Regione a pagare immediatamente per tutti i danni, a chi ha provato, con qualche piccola azione, di ripulire da sé le zone abbandonate e poi consegnare i rifiuti alla caserma più vicina.

Non sorprende che il Pubblico Ministero che ha chiesto ben due volte l’archiviazione del caso Teulada in Tribunale a Cagliari, è lo stesso che adesso ha deciso di aprire un’indagine con accuse di terrorismo verso chi contro le basi ha lottato e lotta, con perquisizioni a casa e intimidazioni in Questura.

Ed è da qui che dobbiamo ripartire, perché la lotta contro l’occupazione militare della Sardegna rimanga viva e presente. Dimostriamo ancora una volta che i tentativi di bloccarla, con repressione e intimidazioni, sono nulli e che questi portano ancora di più rabbia, forza e voglia di lottare.

La prossima occasione per esprimere questa rabbia sarà al corteo all’Aeroporto militare di Decimomannu, il 28 Aprile.

1               https://indip.it/il-progetto-dellesercito-per-teulada-bonificare-per-riprendere-a-bombardare/