In questi giorni si fa un gran parlare su tutti i media regionali dell’invasione delle cavallette in alcune zone del centro Sardegna. Miliardi di insetti hanno invaso per il quarto anno di fila le campagne distruggendo le coltivazioni e arrecando un ennesimo grave danno al comparto agricolo sardo che di certo non gode di piena salute. Il ministro delle politiche agricole, Patuanelli, ha immediatamente chiarito che lo Stato non interverrà in sostegno delle aziende colpite, in quanto questo tipo di danno non rientra nei parametri di sostegno.

Ma andiamo con calma.

Le cavallette sono degli insetti ortotteri, la varietà in questione si chiama Locusta del marocco, dociostaurus marrocanus, è diffusa in tutto il nord Africa e la si ritrova in Sardegna da almeno due secoli.

Si ricordano grandi invasioni nel 1915-16, nel ‘29, nel ‘33 e la più celebre nel ‘46. Nel secolo scorso sono state combattute con fortune alterne con metodi di dubbia sostenibilità, anzi in alcuni casi alcuni pesticidi sono stati poi vietati, come il caso della crusca trattata con l’arsenico.

Le prime cavallette sono state avvistate a fine maggio, ma solo negli ultimi giorni il fenomeno si è intensificato, fino a diventare una vera e propria emergenza. Si calcola che le cavallette presenti ora in Sardegna siano in grado di mangiare circa 250 tonnellate di vegetali al giorno.

L’invasione terminerà in modo naturale verso la fine di agosto, con la morte di moltissimi degli esemplari e la deposizione di milioni di uova, pronte a schiudersi l’anno prossimo.

Secondo un professore di entomologia dell’università di Sassari questo potrebbe essere l’anno del picco di questa ondata, che andrà quindi a scendere nei prossimi due o tre fino a sparire. Questi fenomeni, sempre secondo il professor Floris, sono ciclici e in qualche modo inevitabili, sarebbe però possibile fare molto per arginarli, rendendoli quasi innocui alle coltivazioni.

I metodi più efficaci e sostenibili per combattere la piaga delle cavallette in Sardegna ci riportano a dei discorsi e delle proposte già fatte su altri temi e già trattate su questo sito, in particolare per la questione degli incendi.

La causa principale di un’invasione così massiccia è l’abbandono della campagna, nei campi incolti le cavallette trovano il luogo ideale per deporre le loro uova sotto qualche centimetro di terra, basterebbe un’aratura, neanche troppo profonda per scalzarle e iniziare a ridimensionare notevolmente il problema in quanto molte morirebbero a contatto con gli agenti atmosferici e molte verrebbero mangiate da altri animali.

Ma l’abbandono della campagna pesa anche anche dal punto di vista dell’estinzione delle conoscenze del territorio, un occhio attento sa riconoscere attraverso dei piccoli fori nel suolo i terreni dove sono state deposte le uova, e dove quindi si può intervenire in anticipo, prevenendo il problema dalla base.

Ma purtroppo le persone che vivono e conoscono la campagna sono sempre meno, lo spopolamento dei piccoli centri, la lenta desertificazione di ampie zone di Sardegna e il mancato passaggio di saperi fra le generazioni spianano il terreno a problemi come l’invasione delle cavallette, ma anche degli incendi, degli alluvioni e via dicendo.

Le istituzioni da parte loro fanno sempre le vittime, ma è evidente che siano i veri colpevoli, le sciagurate politiche statali che non mirano mai alla prevenzione ma sempre e solo alla cura, per motivi economici e speculativi, sono la causa di questi disastri ambientali, sociali e economici.

Politici ignoranti si appellano alla malasorte parlando di fenomeni che storicamente hanno sempre colpito i territori, lo fanno con gli incendi, con le piene dei fiumi e ora con le cavallette, quando la sfortuna non basta allora entra in gioco la scienza, anche qui sempre piegata però a difesa del potere e  della sua innocenza, quando la situazione è ancora peggiore ecco che lo stato usa la carta dei sussidi, dei risarcimenti.

Ogni volta viene promessa la luna e poi ciò che le persone ricevono sono misere briciole.

Sarebbe questo uno dei momenti in cui ricordarsi che in piena crisi economica, con la recessione dietro l’angolo e il costo della vita in continuo aumento il governo Draghi ha pensato bene di aumentare le spese militari al 2% del PIL annuo, cioè da 25 miliardi di euro a 38.

Cifre che se venissero redistribuite permetterebbero a moltissime persone di poter vivere meglio, di non dover emigrare o farsi sfruttare, o alla sanità pubblica di ritornare ad essere efficiente.

Vivendo nella periferia dell’Europa e dello Stato italiano non ci stupiamo più di nulla, abbiamo visto già di tutto, però non dobbiamo neanche rassegnarci. Le istituzioni promettono ma non fanno nulla, e allora tocca a noi.

Così come a Bitti per l’alluvione, a Santu Lussurgiu per l’incendio e in tanti altri posti per questioni gravi o meno gravi, abbiamo vissuto l’esempio di pratiche di solidarietà dal basso che ci permettono di fare a meno delle istituzioni o comunque di non essere totalmente dipendenti da loro.

Non sappiamo se sarà possibile, se riusciremo a organizzarci, ma se in questi giorni vogliamo imparare una lezione dobbiamo allora ricordarci di andare nei terreni incolti della piana di Ottana quest’autunno e capire dove sono state deposte le uova, per organizzarci con gli agricoltori locali per zappare, arare o trattare quei terreni distruggendo milioni di uova e creando insieme il presupposto per cui l’anno prossimo la situazione migliori.