Il 16 Giugno tra le 12 e le 19 ci sarebbe stata una rivolta nel carcere ”P.Pittalis” di Tempio Pausania(località Nuchis). Alcuni detenuti,”per futili motivi” dicono i giornali avrebbero preso in ostaggio due guardie carcerarie minacciandole con dei coltelli, impossessandosi delle chiavi e incitando alla rivolta gli altri prigionieri. L’intervento delle guardie non si è fatto attendere e dopo una mediazione la situazione sarebbe tornata alla normalità.

Come l’intervento delle guardie anche le dichiarazioni dei sindacati di polizia non si sono fatte attendere. Alessandro de Pasquale, presidente del Sippe, rilancia con la situazione critica delle carceri italiane e con la necessità di creare dei gruppi di pronto intervento. Niente di nuovo potremmo dire ma nel discorso del sindacalista le parole pesano. De Pasquale sostiene che dopo le rivolte del periodo Covid e i fatti di santa Maria Capua Vetere assistiamo ad una escalation di disordini ed episodi di violenza all’interno delle carceri. Da che esiste il carcere le rivolte sono sempre esistite e il paragone tra i due episodi citati dal sindacalista non sono paragonabili. La tortura dei prigionieri da parte dei secondini e le rivolte in un momento critico all’interno delle carceri non sono la stessa cosa. Le restrizioni all’esterno, dovute alla pandemia, sono amplificate all’interno delle carceri rendendo l’isolamento ancora più gravoso ed intollerabile, quelle rivolte furono giuste e motivate dall’esistenza stessa del carcere. Le torture avvenute nel carcere campano da parte dei secondini e riprese dalle telecamere sono solo la manifestazione del potere e della sua vena punitiva, i forti contro i deboli, la mano armata dello Stato. Il Sippe aggiunge inoltre che, come la legge dice, bisognerebbe introdurre un altro gruppo di pronto intervento oltre a quelli già previsti (GOM) da usare come deterrente per le rivolte.

Il carcere di Tempio Pausania inaugurato nel 2012 ha sostituito il precedente “la Rotonda” per essere utilizzato per detenuti in regime di Alta Sorveglianza di livello 3 e nonostante le solite vocazioni rieducative langue del reale intento punitivo e vendicativo che hanno le galere. Già durante il periodo Covid le restrizioni pandemiche hanno creato non pochi disagi ai prigionieri che si trovano in gran parte a centinaia di Km lontani dalle loro famiglie e dagli affetti, dimostrando come la Sardegna si riveli ancora una terra di confino, un’isola comodissima per le velleità punitive dello Stato.

Le strutture costruite negli ultimi dieci anni hanno ampliato ed , in parte sostituito, il numero delle carceri, solo nell’isola sarebbero circa 11 in totale, ed hanno allontanato gli istituti dai centri abitati isolando maggiormente i prigionieri togliendo loro anche quelle poche occasioni di contatto con l’esterno. Isolamento nell’isolamento, a maggior ragione se lo Stato può contare su un’isola da usare come una discarica per i “cattivi” non ultimo il trasferimento del compagno anarchico Cospito trasferito recentemente al carcere di Bancali.

Il carcere è andato di pari passo con il Capitalismo, trasformando le vittime di una società di sfruttati in nemici da rinchiudere, consentendo in alcuni stati occidentali addirittura la privatizzazione delle galere per trarre profitto dalla prigionia e creare forza lavoro a costo quasi azzerato.

L’opposizione al carcere resta quindi una necessità per incrinare un pilastro di questo sistema, sopratutto in momenti in cui il disagio sociale aumenta per i giochi dei potenti. Ben vengano, quindi le rivolte, anche le più piccole e ricordiamoci che i “futili motivi”non esistono in luoghi in cui ogni piccolo diritto è stato conquistato negli anni, dai prigionieri, con lotte, sangue e anni di galera.

I sindacati possono far le vittime quanto vogliono, ma noi restiamo, con orgoglio, dalla parte dei detenuti.

J.