Negli ultimi tempi è tornato alla ribalta nei quotidiani locali il tema dei detenuti in Sardegna e della loro provenienza. Non è una novità parlare della Sardegna come luogo di punizione per eccellenza: fisicamente isolato dalla penisola, impervio e scarsamente collegato nell’entroterra. L’isola si presta a un suo utilizzo punitivo e storicamente divenne il luogo adatto agli esili e alle carcerazioni di chi, per ideologia o temperamento, veniva ritenuto scomodo.

Così sin dal tempo dell’Impero Romano si ritiene la Sardegna luogo di esilio. Senza dover andare troppo indietro nel tempo, basti ricordare il ruolo di cui la rivestì l’Italia fascista: terra di confino per dissidenti e oppositori.

L’esempio più conosciuto e paradigmatico della funzione della Sardegna per lo Stato Italiano fu la costruzione del carcere dell’Asinara. Inizialmente destinato ai protagonisti della lotta armata che si sviluppò a partire dagli anni ’70, fu in seguito utilizzato per rinchiudere i boss mafiosi e allontanarli dai luoghi di origine. La chiusura del carcere dell’Asinara non determinò la fine della Sardegna come galera d’Italia.

E’ interessante notare come al giorno d’oggi ci sono numerosi esempi di detenuti sardi trasferiti fuori dall’isola. Nella storia recente, questo atteggiamento fu inaugurato con la lotta al banditismo che caratterizzò gli ultimi decenni del ‘900 e che mostrò i metodi brutali dello stato contro chi non si piega. Molti sardi passarono lungo tempo nelle galere fuori regione, isolati doppiamente: dai familiari che faticavano a raggiungerli per fare i colloqui e dagli amici e solidali. Tale scelta fu fatta nell’ottica di spezzare le catene di solidarietà che si mostravano tanto più forti nelle piccole comunità da cui venivano arrestati i presunti banditi.

Oggi, tra i prigionieri sardi fuori dall’isola, si trova l’anarchico Davide Delogu, sballottato nelle galere italiane per la sua insubordinazione e resistenza. Come se non bastasse questo trattamento, viene continuamente sottoposto a regimi restrittivi come il 14-bis.

Specularmente, la Sardegna rimane il luogo di eccellenza dove raccogliere gli ultimi del sistema carcerario: chi è solo, straniero o ribelle.

Riguardo la composizione dei detenuti in Sardegna non si hanno cifre certe, perciò si può definire la quantità di stranieri (senza tenere in conto chi ha acquisito la cittadinanza italiana) e di non residenti in Sardegna, pur non conoscendo la regione di nascita. Per i primi le stime parlano del 20% di detenuti stranieri, mentre per quanto riguarda i secondi si sale al 60% circa.

Viene dichiarato che un detenuto su quattro è straniero ed effettivamente solo con questi dati è possibile spiegare la sproporzione tra la quantità di galere nell’isola e il numero dei suoi abitanti.

Infatti l’ultimo piano carceri ha permesso la costruzione di 4 nuove carceri, oltre quelle già presenti. Quelli costruiti a Sassari e a Cagliari hanno sostituito i carceri cittadini, implementando al loro interno le sezioni di AS e di 41bis. Come si può notare, anche negli ultimi anni la Sardegna viene privilegiata per i detenuti appartenenti ai circuiti di massima sicurezza.

L’isolamento è acuito dall’atteggiamento della Magistratura di Sorveglianza che accetta raramente le pratiche di riavvicinamento familiare. Negli ultimi anni ci sono stati numerosi casi di detenuti e detenute che lamentano di non vedere le famiglie da anni, mentre le loro richieste scompaiono senza risposta. Alcuni di loro sono riusciti a rompere il muro del silenzio e finire sui giornali, solo in seguito alle loro azioni di autolesionismo o addirittura sciopero della fame.

Riguardo a questo, è noto che la Magistratura di Cagliari è quella che si distingue maggiormente nell’ignorare le richieste dei detenuti, negando spesso il riavvicinamento. Essi sono infinitamente più soggetti all’isolamento dovuto alla lingua, alla cultura e al razzismo diffuso.

Verso ottobre 2021 saltò agli onori della cronaca anche la protesta dei molti detenuti di Massama. Questo carcere ha la maggioranza dei suoi detenuti in AS o 41 bis e la sua gestione negli ultimi anni è stata più soggetta del solito ai capricci di un direttore tiranno. La protesta derivava proprio dalle condizioni quotidiane di detenzione, dove si vivevano maggiori restrinzioni rispetto a quelle previste dalla legge, grazie alla scusa dell’emergenza Covid. Tra le altre cose fu interrotta la scuola per i detenuti, determinando una forte penalizzazione per chi già vive in un isolamento pressochè totale.

Queste condizioni non sono eccezionali ma sono proprie di tutte le carceri e Istituti di pena dell’isola da cui emergono faticosamente i racconti delle condizioni di vita e degli abusi a cui i detenuti sono sottoposti.

Riflettere sul ruolo della Sardegna nell’isolamento dei detenuti e sul trattamento coloniale dello stato italiano è necessario per poter sostenere i detenuti e le detenute nelle loro lotte, sottolineando la specificità della condizione isolana.