Sono passati dodici giorni dal giorno dell’aggressione subita da Yvan Colonna, e otto dalla grande manifestazione di Corti. Questi sono i due momenti chiave della rivolta che sta infuriando in Corsica, il primo è la spinta che ha risvegliato la rabbia di un popolo mai domo ma che da molti anni aveva perso la sua storica grinta dentro il baratro delle urne e delle poltrone, l’altro è la scintilla che ha innescato l’attacco diffuso verso i simboli dello Stato francese.

Ieri alle 15 ad Bastia si sono ritrovate in piazza diverse migliaia di persone, sette-otto mila. La settimana che ha preceduto il corteo di ieri è stata a dir poco esplosiva, da Calvi a Portivechju, passando per Ajacciu e Bastia, sono state attaccate e date alle fiamme caserme della Gendarmerie, palazzi di giustizia, tribunali, carceri, prefetture. Scontri di piazza ovunque con decine e decine di feriti da entrambe le parti.

Scuole e università da giorni sono chiuse o occupate, presidiate dagli studenti.

I giovani hanno preso in mano la situazione, mostrando tutta l’incapacità di una parte storica dell’indipendentismo corso che negli ultimi anni si è trasformato in classe politica dirigente, perdendo di fatto il contatto con la base pulsante del movimento di liberazione.

I giovani e giovanissimi, molti dei quali non inseriti in gruppi, partiti o sindacati (non si faccia un paragone con le nostre latitudini, in Corsica la vita politica e l’appartenenza alle organizzazioni giovanili dei partiti sono cose normali per i ragazzi e le ragazze), avevano solo bisogno di un avvenimento che facesse saltare il tappo dell’insofferenza con la politica autonomista, ma specialmente con lo Stato francese, da sempre ritenuto acerrimo nemico, ma non più sfidato in strada nell’ultimo decennio.

Ma torniamo al corteo di domenica.

Il clima viene scaldato il venerdì dalla notizia che Colonna, Ferrandi e Alessandri (i tre condannati per l’uccisione di Erignac nel ‘98) avrebbero ottenuto la declassificazione dello Stato francese dal circuito DPS: non sarebbero più prigionieri particolarmente pericolosi e potrebbero quindi rientrare in Corsica a finire la pena, e magari sperare in pene alternative.

In tutta la Corsica si leva un urlo di odio e disprezzo, l’ennesimo, verso lo Stato francese ritenuto ancora più vigliacco nel concedere solo ora, tardivamente, tale misura richiesta da anni. In ogni caso da più parti filtra il messaggio: la lotta paga.

Sabato 12 ci pensa invece uno dei leader di Core in fronte a scaldare gli animi, constatando pubblicamente che “hanno ottenuto di più i giovani in 7 giorni di violenza che la classe politica in 7 anni di governo”. Il piatto è servito.

Al corteo nonostante la pioggia si presentano migliaia di persone.

La polizia poche ore prima trova 300 molotov nascoste lungo il percorso.

Alle 15 e 30 il corteo parte, il serpentone non finisce più, l’unico coro che rompe con costanza il silenzio è: “Statu francese: assassinu”.

Arrivati davanti alla prefettura, completamente sigillata nelle varie vie d’accesso da grate uguali a quelle usate a Corti una settimana prima, il clima si fa caldo e i piani della giornata chiari.

Centinaia di persone si preparano agli scontri.

Da quel momento fino a sera inoltrata la rabbia corsa darà filo da torcere alla polizia francese.

Molotov contro granate, razzi contro flashball, pietre contro lacrimogeni.

Barricate in fiamme, fumi di ogni tipo dappertutto, selve di pietre lanciate.

Come a Corti i gruppi di persone incappucciate che attraversano il corteo per andare a scontrarsi con la polizia vengono applaudite da migliaia di persone che nonostante le centinaia di lacrimogeni sparati non va via, rimane nell’aria irrespirabile a poche decine di metri dalle barricate in fiamme a sostenere gli scontri.

I boati delle granate stordenti, sparate a altezza d’uomo, fanno indietreggiare il corteo e feriscono molte persone – alcune anche gravemente – ma non lo disperdono.

Perso un fronte d’attacco un gruppo si sposta verso il porto e attacca uno sguarnito palazzo delle imposte dello stato francese, in pochi minuti serrande e inferriate cedono, le persone entrano e i registri volano fuori, le vetrate crollano sotto i colpi delle mazze e il piano terra prende fuoco. Il corteo esulta.

Le cariche continuano. Le granate aumentano. Cala il buio.

Gli scontri continueranno fino alle 21 circa.

Decine di feriti da una parte e dall’altra, sotto le maschere e i passamontagna si intravedono tanti sorrisi, ma anche tanta rabbia.

Non è finita qua.

Nella giornata di lunedì la Ghjuventu Indipendentista annuncia tramite un comunicato che la lotta andrà avanti, e che chiederanno per i prossimi giorni che venga riproposta l’Isola morta, cioè il blocco dei porti.