Condividiamo qui di seguito il testo pubblicato da alcuni compagni di
Bolzano che la mattina del 19 Dicembre si sono presentati davanti alla
sede dell’Iveco Defence Vehicles in concomitanza alla manifestazione di
Capo Frasca, per esprimere solidarietà a chi è sotto processo per
l’Operazione Lince e per ricordare le responsabilità dell’Iveco, una
delle principali aziende che produce mezzi militari in Italia.
L’Operazione Lince, non a caso, prende il nome proprio da un tentato
sabotaggio ad uno di questi mezzi militari Iveco, nello specifico un
LMV, più comunemente chiamato “Lince”, avvenuto nei pressi di Cagliari.
L’industria bellica non è fatta solo di basi militari, si regge anche su
un vasto comparto industriale, oltre che su un ampio ramo di ricerca –
universitario e non.
Conoscere le sue diramazioni e i suoi complici è fondamentale per chi ha
deciso di non lasciare in pace chi vive di guerra.

Da Bolzano alla Sardegna nessuna pace per chi vive di guerra
Alcuni compagni sono andati di fronte allo stabilimento
industriale-militare Iveco Defence Vehicles di Bolzano per portare
solidarietà agli antimilitaristi sardi inquisiti nell’ambito
dell’operazione repressiva Lince, per sostenere la manifestazione contro
i poligoni militari che si tiene oggi, 19 dicembre 2021, a Capo Frasca
in Sardegna, contro l’occupazione militare dell’isola e per denunciare
le responsabilità di chi, come Iveco e altre aziende belliche, fa
profitti sulla guerra e sui progetti predatori neocoloniali che
devastano e saccheggiano i paesi più poveri lì dove il capitale lo
richiede.
Negli ultimi due anni la narrazione mediatica e politica della pandemia
come un conflitto contro il virus ha rilanciato il mito della guerra
come una mobilitazione positiva, in cui il sostegno al Governo, composto
anche da militari, è strettamente legato all’emarginazione e alla
criminalizzazione di opinioni e critiche dissonanti dalla retorica
ufficiale. Ogni protesta che viene dal basso viene criminalizzata e
spesso mistificata ma nessuno ricorda come fu Confindustria – il cui
presidente Bonomi è sempre in prima pagina ad attaccare chi sciopera e
protesta – ad opporsi alla chiusura delle fabbriche nel periodo peggiore
dell’epidemia, determinando conseguenze devastanti per la salute di
migliaia di lavoratori.
Lo stato d’emergenza permanente (prima del Covid, c’era il terrorismo
islamico e poi l’emergenza immigrazione) e la relativa costruzione
continua di miti, eroi e traditori, permette a chi governa di
semplificare la realtà e ridurla a propaganda, evitando dunque il
confronto con le cause strutturali della pandemia ovvero la sistematica
distruzione dell’ambiente in nome del profitto economico di pochi così
come i pesanti tagli alla Sanità pubblica operati negli ultimi anni da
tutti i membri attuali del Governo Draghi.
Nonostante il bollettino di morti giornaliero e la tragica situazione
del pianeta, nel Paese ci sono diverse agghiaccianti continuità con le
politiche economiche prepandemiche; una di queste è il costante aumento
di spese militari con l’Italia che, come gli altri membri della NATO, si
è impegnata ad arrivare a spendere il 2% del proprio PIL per l’apparato
bellico.
Mentre crescono povertà e disuguaglianze, secondo l’osservatorio Milex
per il 2022 le spese militari italiane previste saliranno quindi oltre i
25 miliardi di euro con un aumento del 3,4% rispetto al 2021 e un
aumento di circa il 20% in 3 anni, destinato all’acquisto di tecnologie
militari sempre più letali. La produzione di armi, la ricerca e sviluppo
di armamenti, le fiere internazionali cui hanno partecipato i principali
mercanti di morte fra cui Iveco non hanno conosciuto alcun lockdown.
“Curioso” come nel bel mezzo di una pandemia mondiale il pensiero di
pressochè tutti i governi sia  indirizzato alla continua corsa agli
armamenti in vista di un futuro prossimo in cui evidentemente le
politiche predatorie del capitale – alla costante ricerca di territori
ed esseri umani da sfruttare – si inaspriranno scavando un abisso sempre
più profondo fra la parte ricca e privilegiata del pianeta, che produce
e commercializza armi e tecnologie militari, e la sempre crescente
popolazione di sfruttati e colonizzati che paga sulla propria pelle il
profitto di tali industrie.
In molte parti del mondo, per decine di milioni di uomini e donne, la
guerra non è solo retorica giornalistica o politica ma significa bombe,
prigionia, torture, lager, stupri, morte, sangue, carne strappata,
menomazioni, distruzione e disperazione materiale. Uomini e donne che
negli ultimi 20 anni sono stati espulsi dalle politiche guerrafondaie
occidentali e dei suoi alleati, responsabili della devastazione di paesi
come Afghanistan, Palestina, Iraq, Libia, Yemen, Siria, Kurdistan e di
aver portato alla destabilizzazione intere aree geografiche, in stato di
guerra permanente.
La guerra per continuare a uccidere e devastare ha bisogno di politici e
giornalisti che la giustifichino e la promuovano (mentre chi come Julian
Assange svela crimini di guerra e le menzogne di Stato sui cui sono
state promosse e condotte le guerre in Iraq e Afghanistan viene
incarcerato), di basi militari e poligoni in cui esercitare le truppe,
centri di ricerca in cui elaborare armi sempre più letali e fabbriche
che costruiscano armi e mezzi per uccidere.
Soltanto la solidarietà internazionalista dal basso può riuscire a
fermare gli ingranaggi della guerra. Due anni fa a Genova, i portuali
hanno scioperato, rifiutandosi di lavorare su una nave dell’Arabia
Saudita che trasportava armi, denunciando così i crimini di guerra di
cui il regime saudita è responsabile in Yemen. In Sardegna da anni è in
corso una mobilitazione antimilitarista contro poligoni e basi in cui
l’Esercito italiano, insieme ad altri fra cui quello israeliano,
sperimenta armi e tattiche militari da utilizzare poi contro chi si
oppone alle politiche di occupazione e sfruttamento occidentali. Per
queste mobilitazioni le Procure di Genova e Cagliari hanno imbastito
pesanti operazioni repressive in cui decine di compagni/e sono sotto
processo per reati associativi, colpevoli di non aver lasciato in pace
chi vive di guerra.
La guerra ha bisogno anche di fabbriche e stabilimenti il cui profitto
aumenta in proporzione diretta con la diffusione di conflitti armati e
massacri, spesso fomentati dall’esterno e da chi ha interesse a vendere
armi. Sempre in Sardegna, a Domusnovas, la fabbrica RWM produce le bombe
che vengono poi sganciate sulla popolazione yemenita mentre a Bolzano,
all’interno dello stabilimento Iveco in via Volta, vengono prodotti
mezzi militari – fra gli altri il Lince – destinati agli eserciti di
tutto il mondo, fra cui anche i Marines dell’Esercito degli Stati uniti,
e impiegati poi per difendere i privilegi occidentali nei teatri di
guerra del Medio Oriente e in Africa.
La guerra è anche qui, nelle banche che speculano sulla disperazione e
lo sfruttamento dei proletari e nelle fabbriche che non esitano a
guadagnare e macinare profitti sul sangue degli oppressi. Spezziamo il
silenzio e l’indifferenza. La guerra inizia qui.
Massima solidarietà a chi si batte contro la guerra e il sistema
economico che la permette. A fianco dei compagni e delle compagne
inquisiti nell’operazione Lince.
Non lasciamo in pace chi vive di guerra.
Guerra alla guerra!