Riceviamo e pubblichiamo un contributo anonimo sulla giornata di domenica 19 Dicembre 2021 a Capo Frasca.

  1. Il sorriso in pratz’e cresia saliva alle labbra per la soddisfazione di
    aver mantenuto una promessa e per averne fatta una nuova: abbiamo un nuovo spazio di esperienza. Le cifre contano relativamente. Relativamente a quanto ci si propone. Uno non basta. Non parla che a sé stesso. Si parte in almeno in due ma più di due è meglio. Un’esperienza complessa. I giornali esagerano. Mille non eravamo. Eravamo il tanto giusto per praticare quanto ci si era proposti. Fare è aprire a nuove condizioni di possibilità soprattutto per chi non c’è ancora.
  2. Una sassaiola mette in fuga qualche mimetica armata solo della video
    camera dello smartphone. Un varco nelle reti, poi uno squarcio di qualche decina di metri. Quanto ci si può spingere dentro per esplorare l’area interdetta senza perdere contatto sul dominio della nostra esperienza? Nel fare ci conosce. Non ci si scambia per altro. Non c’è un movimento. Chi sa se c’è mai stato. Non c’è un popolo… e chi sa se lo desideriamo davvero.
    Ogni popolo non è che un’eredità scomoda. Si forma sulle sofferenze
    imposte. Ci odiamo per quello che siamo perché desideriamo essere altro. È così che ciascuno inizia. È così che ci si conosce nella promessa di questo contatto: non esser più il popolo al di là delle reti. Non i colonizzati, non i percettori di indennizzi, non le popolazioni limitrofe, ammalate, immiserite, ricattate. Ci siamo scoperti in qualcosa che non c’era e siamo tesi, ora, perché non vogliamo ricondurre il regno dell’inesplorato al mondo conosciuto, pacificato nelle sofferenze del suo popolo.
  3. Sentiamo che non abbiamo da convincere nessuno. Una ragione governa le cose per come stanno. Regge il mondo sui suoi propri rapporti di forza:
    quello dello stato e della sua presenza, quello degli investitori nell’apparato militare e nell’apparato della natura infrastrutturata…
    riconveritita, turistificata e finanche bonificata. Così ci attraversa, ci
    cattura. Le siamo estranei e le apparteniamo allo stesso tempo. Nel
    rapporto che ci forma catturandoci e respingendoci si realizza la
    predazione della terra che calpestiamo, la sua occupazione e sfruttamento.
    Il nostro. Siamo i camerieri dei resort, i nipoti di chi venderà le terre
    al prossimo parco eolico, i figli dei pastori che pascolano nei poligoni.
    Non convinceremo nessuno che siamo noi stessi l’ingiustizia da abbattere per quanto questo sia il limite della realtà di fatto. Abbiamo prima di tutto solo da tenere aperto il campo dell’esperienza dell’estraneità insediata nel rapporto che ci rende quanto siamo e non vogliamo più essere: qui la promessa del dominio sulla nostra propria esperienza.
  4. … siamo stati dove non si aspettavano che fossimo. Fronteggiamo. Ci ritiriamo senza perdere contatto.