Durante la primavera 2020 in pieno lockdown, sfidando l’interpretabilità delle regole imposteci mi sono avventurato in una passeggiata più lunga del solito, che dal quartiere in cui vivo mi ha condotto fino al porto di Cagliari.
La calma dovuta all’assenza di navi passeggeri, crociere, partenze e arrivi, era rotta solo dallo sbuffare di numerosi camion militari che velocemente sbarcavano dal ventre di una nave e altrettanto velocemente si incolonnavano verso l’uscita del porto. Poco dopo la colonna è partita in direzione della s.s. 130, la strada che conduce al poligono di Teulada.

In quel momento ho trovato una conferma di cui non avevo bisogno: le attività militari erano ovviamente fra quelle considerate strategiche e quindi non avevano subito alcuna riduzione o ridimensionamento.
Mentre le misure di contenimento costringevano la gran parte della popolazione all’isolamento domiciliare, il comparto bellico marciava ai soliti ritmi. Non solo, alcuni settori apparentemente in crisi sono riusciti a prendere la rincorsa per rilanciarsi con nuove attività.

Il caso più emblematico è l’aeroporto di Decimomannu che, dopo la crisi causata dalla fuga della Luftwaffe nel 2016 (grazie anche al vigore delle lotte di quel periodo), è destinato ad ospitare l’IFTS, un centro di addestramento di volo per i piloti militari di tutto il mondo, nato dalla collaborazione tra l’ Aeronautica Militare e Leonardo, la cui apertura è prevista nel 2022. Questa novità avrà con tutta probabilità delle ripercussioni anche sul poligono di Capo Frasca dal momento che rimane il poligono più utilizzato per le esercitazioni aeree, destinazione degli aerei che partono da Decimomannu.

Ma non solo, anche il poligono di Teulada non ha minimamente subito l’ibernazione sociale causata dalla pandemia, anzi è riuscito a intraprendere un evidente percorso di green washing, culminato nel Rally green di qualche settimana fa in cui ha partecipato nientemeno che Lewis Hamilton. Esattamente qualche giorno dopo la chiusura dell’enorme esercitazione della Marina militare “Mare Aperto” che ha visto la partecipazione di 4000 soldati e la collaborazione tra 8 armate provenienti da tutto il globo.

Spostandoci ad est, all’interno del PISQ, possiamo invece notare lo sviluppo militare in campo tecnologico e nello specifico nel settore dell’aerospazio. All’interno del poligono è stato inaugurato il progetto Space Propulsion Test Facility (Sptf), che prevede la costruzione di un campo di sperimentazione tecnologico per motori di razzi, finanziato da Avio e dal costo di 26 milioni di euro, di cui circa 800.000 sborsati dalla Regione Sardegna, con la collaborazione del DASS (Dipartimento AeroSpaziale Sardo), legato a doppio filo con l’Università di Cagliari. Avio pare che avrà anche una nuova sede nel centro abitato di Villaputzu.

Questo tipo di differenziazione tra i poligoni, con le sue novità, rende bene l’idea dello stato di salute del Ministero della Difesa e dovrebbe prepararci agli anni che verranno. I militari non si fermeranno, continueranno a preparare la guerra in tutti i suoi aspetti, e continueranno a farlo nella nostra terra. Capire come si esercitano, come si strutturano e che tipo di complicità si stanno attirando attorno è una questione dirimente per chi non vuole lasciarli in pace.

Quello che ci sembra sia accaduto è che alcuni dei poteri forti isolani abbiano trovato un periodo e un momento nel quali rinforzarsi e rendere più solida la loro presenza sul territorio.
Rinforzare la presenza sul territorio non vuol dire solo aprire una nuova sede o caserma, vuol dire anche farlo senza opposizione, vuol dire farlo sfruttando l’ulteriore giro di vite del disagio economico della Sardegna che – così come per il turismo – induce i sardi e le sarde ad accettare qualsiasi cosa pur di immaginare degli stipendi, oltre che approfittare di un periodo di confinamento in cui l’organizzazione delle lotte ha subito dei pesanti rallentamenti e difficoltà.

E’ difficile, se non impossibile, valutare quanto possa essere avanzato il processo di militarizzazione della società e del territorio sardo in un periodo come quello del covid. Sicuramente qui nell’isola alcuni aspetti non sono di certo una novità. Se in tante città dell’Italia ci si è accorti di un effettivo cambio nella gestione militare dell’emergenza sanitaria lo stesso non si può dire per la Sardegna. In che senso? Se i militari che pattugliano le strade deserte o i camion mimetici che trasportano le bare sono evidentemente una novità su cui riflettere, lo stesso non si può dire che sia avvenuto in Sardegna. I convogli militari che passeggiano per le strade extraurbane, i caccia che sfrecciano nei cieli e i bar pieni di divise qua ci sono da decenni, perché la presenza militare è ben più gravosa che nel resto dello Stato italiano – il 60 % del demanio militare è nell’isola, il restante 40 % è diviso in altre 20 regioni. E con questo non si vuol di certo fare le vittime – anche perché leggiamo una chiara logica coloniale in questa dinamica – bensì sottolineare come qui un certo livello di militarizzazione sociale non è certo una novità emergenziale. Così come non sono una novità i tentativi di inserire i soldati nella quotidianità lontana dal campo di battaglia, i militari che eseguono i tamponi sono gli stessi che a Bitti spalavano il fango e si facevano fotografare con gli attrezzi in mano.

Indubbiamente non bisogna sottovalutare la gestione militare dell’emergenza che lo Stato sta attuando, che sia essa legata ad una presenza militare sempre più costante – il generale NATO Figliuolo (lo stesso che ha guidato le missioni in Afghanistan e Kosovo) nominato Commissario straordinario alla gestione dell’emergenza ne è l’esempio più eclatante – o all’utilizzo di un linguaggio tipicamente legato ai conflitti – dal “siamo in guerra”, “guerra al virus”, alle trincee, ai disertori.

È proprio il termine “emergenza” e l’utilizzo che lo Stato ne fa che la dice lunga sulla gestione sempre più autoritaria e liberticida della società in cui viviamo. In nome dello stato d’emergenza, ormai perenne, tutto è giustificato e tutto è perseguibile, e tutti sono chiamati ai ranghi dell’obbedienza. In questo scenario ai militari è riservato un posto d’eccezione. Ad allontanarli dalle nostre vite e dalle nostre comunità dovrebbe essere un moto di resistenza e liberazione. Qui, da noi, non mancano certo gli stimoli per incominciare.

due penne di maistrali