Questi giorni nei giornali locali si è parlato, in maniera ironica e scherzosa, di un fatto che fa certamente sorridere ma che allo stesso tempo racconta con precisione una parte della storia sarda. Un pastore di Orgosolo, portato davanti a sa zustissia per essere fuggito dai carabinieri durante una perquisizione anti-droga, ha dichiarato: “Signor giudice, ho un trauma da quando ero piccolo: a 10 anni ero nell’ovile con mio fratello e mio padre e quando sono arrivati i carabinieri ci hanno buttato a terra, erano armati. Sì, da allora quando vedo le divise scappo. Sempre”. Ironia a parte, queste parole raccontano molto bene il rapporto che tanti sardi hanno cun is carabineris, e anche dove affonda le radici questo rapporto. Lo Stato italiano, sotto forma di militari, carabinieri e poliziotti, ha sempre usato le maniere forti con la popolazione sarda, in particolare in alcuni periodi e in alcune zone, Barbagia e Baronia per prime, ma non solo.

Per spezzare i legami di solidarietà e le forme di illegalismo – sviluppatesi anche come forme di resistenza alle varie imposizioni – gli uomini in divisa non si sono risparmiati nell’utilizzo di forze, armi e metodi brutali.

Gli episodi di violenza sono numerosi e se ne trova testimonianza anche da parte di chi aveva il coltello dalla parte del manico: nel libro Caccia grossa di Giulio Bechi, ufficiale dell’Esercito, viene raccontato come a cavallo tra l’800 e il ‘900 i militari eseguivano delle vere e proprie incursioni nelle campagne per stanare banditi e latitanti, perquisendo le abitazioni nei piccoli centri abitati e spesso uccidendo chi cercava di affrontarli, la scelta del titolo non è casuale, le operazioni di ricerca dei fuorilegge spesso assomigliavano a battute di caccia, e spesso il bandito faceva la fine del cinghiale, crivellato dieci contro uno e poi messo in posa per foto ricordo.

Anche nel secolo scorso possiamo trovare vari esempi di violenza statale, dagli eccidi dei minatori in sciopero – Buggerru 1904 e Iglesias 1920 – fino ai più recenti fatti di Osposidda (1985), o l’assurdo massacro di Pula del 2007.

Tutt’ora militari e carabinieri non perdono occasione per violentare abitazioni e campagne, spesso utilizzando motivazioni pretestuose, come ad esempio le centinaia di perquisizioni svolte nelle operazioni di ricerca di Graziano Mesina.

Sanno bene di essere odiati ed infatti non perdono occasione per pulirsi la faccia in modo subdolo e meschino: dalle notizie dei carabinieri che portano la spesa ai poveri anziani, ai militari che si presentano a Bitti per spalare il fango, ai soldati incaricati di eseguire i tamponi. Tutti metodi per pulire una coscienza che sappiamo bene quanto è sporca di sangue.

Per fortuna c’è chi continua a tenere bene a mente qual è il loro mestiere e che non ha paura di ricordarglielo: come chi, nella notte del 31 Ottobre ad Irgoli, ha posizionato un ordigno nel muro di cinta della caserma del paese.