Sabato 13 Novembre nel pomeriggio si è svolta a Bauladu un’assemblea chiamata da alcuni individui, comitati, associazioni e collettivi sardi, sulla questione della transizione energetica in Sardegna (qui la chiamata: https://www.facebook.com/events/478138886779423/?active_tab=discussion ).

Per la tanto sbandierata transizione ecologica lo Stato italiano, al pari degli altri del vecchio continente, prevede lo stanziamento di decine di miliardi di euro tramite il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Si stanno quindi ponendo le basi per una nuova enorme frontiera di investimenti, di fondi a cascata con le abituali conseguenze di corruzione, speculazione e sfruttamento.

Il meridione italiano e le isole maggiori, sembrano destinati ad essere trasformati nella batteria del Nord Italia, secondo un non celato ragionamento per cui le zone d’Europa che possono produrre più energia la dovranno produrre per quelle che ne consumano di più.

Qui nell’isola, dove sono già aperte le discussioni sia su metanodotto che sull’installazione di campi eolici e fotovoltaici, le grosse multinazionali energetiche – come Terna o Snam – si stanno sfregando le mani, bramose di spartirsi un territorio da cui estrarre più profitto possibile.

La retorica dei media e delle istituzioni insiste solo sul mito dell’energia pulita che poi pulita non è, ma a parte questo nessuno parla chiaramente di quali e quanti danni irreversibili subirà il territorio sardo se questa mega manovra economico-energetica dovesse veramente completarsi. Centinaia di pale eoliche enormi sulle nostre montagne vorrebbe dire centinaia di km di strade nuove, sbancamenti, deforestazione, enormi fondamenta in cemento armato e via dicendo, tutte opere che dopo al massimo trent’anni rimarrebbero lì a ricordo della transizione energetica degli anni ‘20, perché come abbiamo già visto chi viene in Sardegna a sfruttare il territorio quando se ne va lascia solo macerie. Maddalena&Limbara docet. Per non parlare delle decine di kmq di campi fotovoltaici che diverrebbero come l’ex centrale di Nasca a Carloforte.

Durante l’assemblea gli interventi si sono pronunciati sulla necessità di opporsi a questa ennesima imposizione che porterebbe devastazione ambientale per interessi privati, senza lasciare nulla di buono a chi questa terra la vive, smascherando i progetti che vengono definiti “green” ma che non sono altro che inutili speculazioni nelle mani di grossi imprenditori.

La variegata provenienza geografica dei partecipanti fa ben sperare anche per quanti riguarda la presenza e il monitoraggio sul territorio sardo.

Inoltre ci si è pronunciati in maniera positiva sull’importanza di unire le lotte e i momenti di opposizione alle varie forme di sfruttamento che gravano sulla Sardegna, prendendo come esempio la lotta contro le basi militari, questa è probabilmente la sfida più ambiziosa che ci si pone davanti.

Momenti come questi sono molto importanti per incontrarsi, confrontarsi tra individualità provenienti da luoghi differenti, e per costruire pezzo per pezzo un’opposizione popolare a quelle che sono le nuove frontiere dello sfruttamento ambientale.

Vi terremo informati sui prossimi appuntamenti.

Qui di seguito un volantino distribuito a Bauladu:

Perché dobbiamo creare una resistenza contro l’impianto di energie green in Sardegna?

Quella che più o meno recentemente ha preso il nome di transizione energetica, che è stata poi ispirazione per il nome del nuovo ministero, di transizione ecologica, altro non è che una nuova enorme bufala con cui le istituzioni vogliono lavarsi di verde coscienza e intenzioni, e aziende private intascare affari milionari.

La green energy, che più correttamente andrebbe chiamata green economy, è la fase attuale, in cui il capitalismo avanzato attraverso istituzioni e privati si sta coordinando per cercare da una parte di mostrare un cambio di direzione rispetto alla produzione di energia con i combustibili fossili, dall’altra di spartirsi una torta di affari di dimensioni enormi. Il tutto viene condito con l’intento – falso – di salvare il pianeta dal collasso climatico-ecologico, e la prospettiva come al solito è che i ricchi saranno sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Il nostro pianeta è stato portato al limite di questo collasso dal sistema di produzione capitalistico, e sarà solo combattendo esso che riusciremo a fermare questa deriva. In questo caso combattere il capitalismo vuol dire evitare che esso si rigeneri per l’ennesima volta attraverso il green washing di questa gigantesca transizione energetica-ecologica, rifiutando la filosofia del meno peggio e dicendo un no fermo a qualsiasi progetto che preveda lo sfruttamento della nostra terra per la produzione di energia.

La Sardegna in questo momento è più che autosufficiente in materia energetica, ha due centrali a carbone che dovrebbero chiudere nel 2025 (ma chi ci crede? Il consumo di carbone è in aumento in tutto il mondo, altro che decarbonizzazione…) e numerosissime centrali medie e piccole di energie cosiddette alternative. Il problema è che l’energia non la gestiamo noi, così come non gestiremo tutta la produzione che da qui a qualche anno vorrebbero imporci.

Ciò che noi abbiamo sono le montagne, il mare, il vento, il sole, sono nostri e non possiamo accettare che logiche di mercato, dall’acre sapore coloniale, vogliano sfruttarle contro il nostro volere, trasformandoci in una gigantesca batteria in mezzo al mediterraneo.

E’ ora di iniziare a schierarsi con decisione, senza mezzi termini contro le speculazioni – in questo caso energetiche – che ci vengono calate sulla testa.

No al nuovo cavo sottomarino Sardegna-Sicilia-Campania, no ai campi eolici di Terna&Co, no alla cessione di migliaia di ettari per il fotovoltaico.

Troppe volte nell’ultimo secolo non abbiamo colto il momento in cui opporci con fermezza a un piano prestabilito per la nostra isola (basti pensare a come ci hanno reso un’enorme base militare e quanto ora sia difficile liberarsi da quell’occupazione).

Le decisioni si prendono dal basso, gli interessi milionari non ci interessano, vogliamo una Sardegna libera, dove si viva bene, senza inquinamenti o materiali da smaltire, senza militari e multinazionali.

Siamo pronti a occupare i cantieri, a fermare i tir, a lottare per l’autodeterminazione individuale e collettiva.

Kontra is sfruttadoris e is meris, torraus arestis

Sardinnia aresti