Con l’arrivo dell’estate, Cagliari e tutta la Sardegna si preparano ad accogliere i numerosi turisti che giungono a passare le proprie vacanze nell’isola. Già da fine maggio, anticipando di qualche giorno il passaggio a zona bianca, le prime crociere hanno iniziato a sbarcare in città, agevolate dal lasciapassare sanitario dei controlli anti-covid.

E così, sempre più velocemente, le strade della città hanno iniziato a riempirsi di persone, tra i vacanzieri vogliosi di consumare i prodottitipicilocali (ichnusino e guttiau in busta)e i cagliaritani stanchi delle misure restrittive, pronti anch’essi a sperperare un po’ di quattrini, non tanto diversi da dei “crocieristi a casa propria”.

D’altronde quegli stessi bar, che durante l’estate si riempiono all’inverosimile, sono aperti tutto l’anno – a parte il periodo pandemico – e si può dire che non soffrono la stagionalità tipica delle strutture turistiche balneari. Come mai? Cos’è accaduto in città?

Da diversi anni il centro storico, a partire dalla Marina e proseguendo con Villanova e Castello e più lentamente Stampace, sta subendo una modificazione, inquadrabile in un processo di gentrificazione, non privo di contraddizioni.

“Riqualificazione e rinnovamento di zone o quartieri cittadini, con conseguente aumento del prezzo degli affitti e degli immobili e migrazione degli abitanti originari verso altre zone urbane”, questo si intende per gentrificazione.

A Cagliari questo processo, comune a numerose città europee, è avvenuto indubbiamente sotto il segno dell’economia turistica, con tutte le sue specificità. Cagliari è infatti per sua natura una città di passaggio, consumata in tempi rapidissimi dai crocieristi (più di 300mila) o utilizzata come base per gli spostamenti balneari. Senza il mare a portata di mano Cagliari non sarebbe certamente una meta turistica così ambita.

Per questo motivo le attività commerciali della zona centrale si sono omologate nella vendita di prodotti di veloce consumazione, i baretti da aperitivo sono spuntati come funghi, affiancati da decine di ristoranti pronti a spennare i turisti con l’attrazione del pesce fresco (con tutto ciò che questo comporta in tema di sfruttamento ittico).

Le giunte comunali hanno ampiamente appoggiato e incentivato questo  trend con ordinanze e permessi speciali. La concessione agevolata  di maggiore suolo pubblico per i locali con i tavolini – passata con la scusa della pandemia – è perfettamente in linea con l’ordinanza che vieta la vendita e il consumo di alcolici d’asporto. La movida che viene favorita è solo quella seduta al tavolo e a pagarne le spese non sono solo i giovani che vogliono passare il tempo seduti su scalette e panchine ma anche chi utilizzava il quartiere per scopi ludici e ricreativi, come nel caso di piazza San Sepolcro in cui alcune madri avevano provato a reclamare uno spazio per i figli che lì giocavano a palla.

Anche il mercato immobiliare ha registrato le sue modificazioni, dovute principalmente alla sempre più frequente conversione degli appartamenti in airB&b. A parte i pochi residenti locali a vivere ancora alla Marina sono dei gruppi di immigrati, disposti a dividere in tanti appartamenti minuscoli, ma non c’è da stupirsi se ne prossimi anni anche loro saranno costretti a fuggire, a causa di prezzi troppo alti o di ordinanze comunali che ne limitano i lavoro ai margini.

La questione è che questa impostazione turistica funziona perché è stata accettata e sostenuta dagli abitanti della città: gli stessi baretti che d’estate sono gremiti di gente anche durante l’inverno registrano alti numeri di consumatori. L’economia turistica, con la cultura che si porta dietro, è stata completamente assimilata da tantissimi cagliaritani, giovani e meno giovani, da chi se la può permettere a chi fa dei sacrifici per sedersi una volta a settimana in quel tavolino che simboleggia uno status. Ne risulta che in città la tanto ricercata destagionalizzazione turistica è compiuta anche grazie all’assimilazione culturale di modelli di socialità consumistici.

In questo modo i quartieri storici si stanno lentamente trasformando in luoghi sempre più simili a numerosi luoghi d’oltremare: lo spritz in Piazza Deffenu, affianco al McDonald, non è poi così diverso dallo spritz sui Navigli a Milano.

Non stupisce che la stessa dinamica si stia estendendo anche attorno alla zona universitaria del Magistero, giungendo fino alle porte di Is Mirrionis. Affianco alla rotonda di via Cadello spuntano i primi baretti alla moda, tanto ambiti dagli studenti quanto dai “gaggi” che devono “sciorare“. I primi, non devono più spostarsi sino al centro storico per il loro aperitivo, mentre i secondi probabilmente trovano in quella tipologia di locale la novità rispetto alla socialità a cui erano abituati, oltre che un inconscio sentimento di imitazione e dimostrazione di “poterselo permettere” .

Non dovremo stupirci se in futuro di questi posti ne apriranno altri, vista soprattutto la grande richiesta giovanile.

Queste dinamiche e questi modelli creano un solco nella società tra chi può e  chi non può o non vuole accedere ad alcune forme di divertimento. Questo solco, che spesso non è facilmente riconoscibile, implica una responsabilità nella scelta dei luoghi che si decide di frequentare. Non è una questione strettamente economica né ideologica, ma di lettura dei fenomeni che attraversano la città e delle conseguenze che potrebbero avere (o hanno?).

Pång ràss & Biccalinna