A partire dalle rivolte di Marzo 2020 si son susseguiti numerosi saluti a varie carceri d’Italia e anche a Cagliari si è tentato di portare un po’ di calore sotto le mura di Uta. Uno dei tanti modi che abbiamo per stare al fianco dei detenuti che dal marzo scorso hanno subito ancora più privazioni di quelle che già conoscevano. Le scelte politiche che hanno cercato di gestire la pandemia son ricadute sugli ultimi: lo Stato, davanti alle rivolte e alle richieste di domiciliari per tutti, ha risposto confermando il blocco dei colloqui. Le richieste dei prigionieri di maggiori garanzie sanitarie non sono servite a niente, in moltissime carceri il virus è riuscito ad entrare, andando a peggiorare il numero dei morti dentro il carcere. Non dimentichiamoci che esclusivamente nel periodo delle rivolte all’interno delle carceri sono morte 14 persone: una strage inaccettabile.

I presidi hanno avuto una funzione importante per le rivolte, i parenti e gli amici che si trovavano fuori hanno cercato in ogni modo di capire cosa succedeva, non lasciando solo chi dentro ribolliva di rabbia. Evidentemente le manifestazioni di solidarietà fuori dalle mura non fanno piacere a chi in carcere comanda: negli ultimi mesi l’amministrazione di Uta ha deciso di impedire la presenza fuori dalle mura, anche i volantinaggi non son ben accetti. Si è addirittura arrivato ad accusare di istigazione a delinquere a chi dà volantini in solidarietà con chi è dentro! Ciò nonostante il silenzio a cui ci hanno abituati si è incrinato e arrivano sempre più testimonianze sullo schifo che si vive chi è in cella.

Una circolare da Gabrielli

Mentre continuano ad aumentare le accuse di tortura, diventate pubbliche grazie all’esposto dei 5 testimoni dell’assassinio di Salvatore Piscitelli nel carcere di Modena, il capo della polizia Gabrielli ha diffuso un piano per evitare ulteriori sommosse. Il piano distingue tra minaccia esterna (presidi di solidarietà) e interna (la rabbia dei prigionieri), la prima da impedire e reprimere, la seconda da bloccare con ogni mezzo necessario, nel vero senso della parola. Ovviamente la polizia penitenziaria si è detta pubblicamente soddisfatta da tali misure, i loro piagnucolii sembrano aver trovato risposta. Infatti per dare una mano ai “poveri” secondini si legittima l’intervento, se necessario, di polizia, finanzieri, carabinieri e addirittura dell’esercito utilizzato nell’operazione Strade Sicure, da affiancare all’immancabile Gruppo Operativo Mobile.

Se tutto questo non bastasse, pur di sedare le rivolte, verranno chiamati i corpi speciali (N.O.C.S e G.I.S), gli stessi corpi utilizzati in Afghanistan e per sventare i sequestri di persona all’estero, che hanno a loro disposizione, in meno di 24 ore, qualunque mezzo aeronavale. Possiamo immaginare quanto sarà dura la risposta dello Stato contro i detenuti che protestano?

Per quanto riguarda le proteste all’esterno del carcere, potranno essere utilizzati idranti, elicotteri e il reparto mobile. Nel piano viene poi segnalato il rischio particolare dei presidi organizzati da gruppi anarchici, come molti di quelli che hanno sostenuto i detenuti a Marzo, in linea con la campagna mediatica che ha accostato la Mafia e gli anarchici come “istigatori e colpevoli delle rivolte”. Come se le condizioni carcerarie non bastassero a suggerire ai detenuti che quella di rivoltarsi è l’unica possibilità che rimane.

L’importanza dei presidi: il 6 marzo 2021 sotto il carcere di Uta

E’ ovvio che tutto questo renda molto più difficile la vicinanza ai propri cari, ancora di più in momenti di tensione. Nonostante il clima che si prospetta e che in questi mesi ci vieta sempre di più, per ultimo i baci e gli abbracci proibiti dal plexiglass durante i colloqui, ritengo che bisogni andare sotto quelle mura e cercare di stare vicino, con ogni mezzo, a chi è rinchiuso. Lettere, cartoline, spedizioni di pacchi, saluti e manifestazioni di solidarietà non fanno mai male.

Non serve per forza un motivo, una ricorrenza precisa, basta anche solo quello di poter sentire chi è dentro e fargli passare qualche ora diversa.     
Per questo motivo sabato 6 Marzo un gruppo di persone è andato sotto il carcere di Uta per ricordare i 14 morti ad un anno dalle rivolte, e ha colto l’occasione per mettere un po’ di musica e accendere qualche fuoco artificiale. Nonostante l’atteggiamento dei secondini in altre occasioni, minaccioso e di totale controllo per impedire dei volantinaggi, il presidio si è svolto tranquillamente. La polizia ha controllato da lontano, in controtendenza con le dichiarazioni di Gabrielli. Non son mancate le urla e i fischi dei detenuti che per circa una mezz’ora hanno pure fatto una battitura, mentre le casse da fuori mandavano canzoni e dediche da parte di qualche parente.

Da un anno a questa parte ci hanno tolto tanto, sia nella vita di tutti i giorni, sia nei rapporti con chi è dentro e son proprio i detenuti a dover ingoiare i risvolti peggiori di questa situazione. Non possiamo abituarci a questa nuova normalità senza lottare e senza mostrare la nostra vicinanza a chi se la passa peggio, sperando di dare un po’ di quella forza che serve per reagire ai soprusi delle guardie e della direzione.

Pång ràss