È di questi giorni la notizia che la Sardegna probabilmente ritornerà in zona arancione, in un gioco di zone e di colori che ormai lascia il tempo che trova, dal sapore di comando e manipolazione da parte del governo centrale che fa e disfa a suo piacimento.

Ma facciamo un passo indietro.

Dall’inizio di Marzo l’isola è entrata nella fantomatica zona bianca, con gran schiamazzo di Solinas e soci, sempre pronti a prendersi tutti i meriti in caso di miglioramenti e a nascondersi quando si tratta di assumersi le responsabilità davanti ai morti e alle nefandezze. Tutt’ora il gran presidente continua a pavoneggiarsi davanti alle telecamere, proponendo la linea dura nei confronti della temuta immigrazione verso le famose “seconde case”: facile fare il galletto a Marzo, sarà curioso vedere come cambierà questa posizione quando l’industria turistica, tra pochi mesi, busserà alle porte dell’isola.

Estate 2020 docet.

E mentre il dibattito pubblico si sofferma sulla cantilena “seconde case sì, seconde case no” nessuno parla delle misure previste dalla zona bianca, o meglio, c’è grande attenzione a tutta la questione dei ristoranti aperti e alle lamentele dei commercianti ma poco viene detto su un fatto che reputo più importante degli altri: il coprifuoco non se ne va.

Ma facciamo un altro passo indietro.

Il gioco dei colori delle zone sembra un qualcosa da cui non si può sfuggire: con la scusa che ad un indice di contagio corrisponde un colore stanno “lentamente” imponendo questo schema logico, eliminando dalle possibilità quella dell’assenza di zona e perciò dell’assenza di restrizioni. E non dimentichiamoci che i calcoli vengono fatti anche in base ai posti disponibili in terapia intensiva, in un gioco che passa dalla mistificazione di quelle che sono le responsabilità della miseria del sistema sanitario, ad una imposizione sanitaria della terapia intensiva come unica possibilità, non tenendo in considerazione che la maggior parte dei contagiati é guarita in casa.

In tutto ciò il mito del “ritorno alla normalità” viene posto come un premio da guadagnarsi tutti assieme, un qualcosa che sarebbe bellissimo raggiungere, ma che ogni volta che ci si avvicina sfugge ancora un po’. Nel frattempo però i mesi passano, siamo ad ormai un anno di emergenza, e anche quando i contagi sono bassissimi le restrizioni restano.

Che con la scusa del Covid lo Stato abbia colto la palla al balzo per stringere la morsa della militarizzazione e del controllo sociale era già chiaro da tempo, ma quelle che prima potevano sembrare previsioni stanno ora diventando certezze, e pongono l’urgenza di una presa di coscienza collettiva. Che il coprifuoco sia una misura inutile per prevenire il contagio se ne rendono conto anche i bambini dell’asilo, eppure, tra la paura dell’epidemia e delle sanzioni, è stato perlopiù accettato. Il fatto che con la zona bianca non venga messo in discussione ma solamente posticipato di un ora e mezza ci può dare la misura di ciò che sta accadendo: non ci sarà alcun ritorno alla normalità proprio perché questa è la nuova normalità. Senza neanche rendercene conto siamo già nel mondo nuovo, quelle delle zone che cambieranno colore in base a dei numeri, della didattica a distanza, del telelavoro, degli ingressi contingentati e del tempo libero regolamentato in base al gusto del capo del governo di turno.

La sfacciataggine con cui ormai vengono presi alcuni provvedimenti, in ultimo quello di eleggere un generale NATO come “commissario alla gestione dell’emergenza”, dovrebbe farci riflettere, sia sul mondo che hanno apparecchiato, sia sull’indolenza nella quale affoghiamo.

Biccalinna