Pubblichiamo di seguito una lettera arrivataci dal carcere di Uta, chiediamo aiuto per la diffusione.

I detenuti descrivono per l’enneisma volta le pesantissime condizioni di vita dentro il carcere cagliaritano, il ruolo di padrone assoluto ricoperto dal direttore e la connivenza di guardie e personale.

Uta 22-10-2020

Siamo un nutrito numero di detenuti che scrive dal carcere E. Scalas di Uta, per denunciare la nostra condizione di murati vivi in questo triste posto.

Una condizione di vita in catene che è/sta ulteriormente peggiorata/ando con il partire dell’epidemia da Covid 19.

Già prima del Covid 19 la nostra “libertà” interna era messa a dura prova dalle continue chiusure degli spazi di socialità, quali la biblioteca che da Agorà aperta, è stata chiusa a doppia mandata, impedendoci di relazionarci fra di noi.

Ormai è da più di un anno che l’opportunità di usufruire del servizio di biblioteca è compartimento da quando, sembrerebbe, che il comandante delle guardie è entrato insieme ad alcuni scherani, ed ha trovato una trentina di detenuti che con fare serafico giocavano a scacchi, a dama, giochi di società, a carte, oppure guardavano film, ascoltavano musica, sceglievano o leggevano un libro, oppure discutevano di tutto quello che può interessare la vita carceraria.

Ebbene troppa gente allegra, spensierata, questo non va per niente bene, perché il carcere non può, e non deve essere visto come luogo di penitenza e resurrezione, ma un luogo di punizione, sofferenza e coercizione, senza con questo poter vedere una benché minima, flebile luce di reinserimento.

Con questo tipo di atteggiamento, trattamento la vita in questo carcere è paurosamente degradata nel tempo, con la completa complicità del direttore, dell’area educativa nonché di quella sanitaria e psicologica.

La popolazione detenuta è superiore ai 560 detenuti/individui, “viviamo” in celle dove in origine erano presenti due brande, ed ora invece sono presenti tre ed anche quattro brande, senza che si siano allargate le celle (non più di 10m² di calpestabilità), pertanto la vivibilità è molto precaria e questo comporta purtroppo anche dei momenti di tensione all’interno delle celle.

Tensione che porta anche a momenti di attrito con gli agenti della Polizia Penitenziaria (P.P.), che non ci mettono un nonnulla nel contestare rapporti disciplinari che si recludono alla concessione di misure alternative al carcere, nonché all’accoglimento dei giorni di liberazione anticipata (45 giorni di liberazione anticipata ogni sei mesi di carcere scontati), questo succede anche perché nel tribunale di sorveglianza di Cagliari l’atteggiamento dei giudici nei nostri confronti è quello notarile, dove non entrano sulle motivazioni che ci fanno, ma si limitano a “leggere” gli atti (molto spesso artatamente falsi) redatti dagli agenti della P.P. e decidere su quello che hanno, cosa, tra l’altro, fatta propria anche dal direttore Marco Porcu che senza pudore afferma:- Quello che scrivono gli agenti per me è oro colato-.

Da questa malata complicità sono venuti e vengono fuori miserie umane, angherie e pestaggi nei confronti di noi detenuti:

  • nella primavera 2019 ci fu il pestaggio di un detenuto maliano da parte di tre agenti per una mera devianza razzista, il ragazzo chiedendosi del perché fosse stato pestato fece un atto di autolesionismo, e da questo atto (l’autolesionismo) tutti noi detenuti in un nonnulla ne venimmo a conoscenza, e pertanto aspettammo le eventuali punizioni per gli agenti, ebbene niente di tutto ciò avvenne, perché il “nostro” caro direttore chiamò a se il ragazzo maliano offrendogli un posto di lavoro, per evitare che potesse denunciare gli agenti de P.P.;
  • sempre nello stesso periodo nella sezione di isolamento fu pestato un detenuto sardo cardiopatico, quando arrivò un medico, che si rifiutò di fargli una visita medica, se ne andò via perché il detenuto chiedeva di essere visitato sul pestaggio che aveva subito.

Anche i rapporti disciplinari sono affibbiati con estrema disinvoltura, qua si può essere puniti perché in cella ti viene trovato un fornelletto da campeggio smontato per pezzi di ricambio, perché non ne puoi avere più di uno per detenuto, e quindi si conservano per far funzionare quello che abbiamo in dotazione, anche perché un fornelletto di tal fatta ci costa quasi 15 euro, quando fuori il suo costo è intorno ai 5 euro.

Tra l’altro con questi fornelli, numerosi detenuti si sono ustionati rovesciandosi addosso acqua bollente e/o cibi molto caldi, perché essendo molto piccoli sono alquanto instabili, ed a chiunque qui dentro capita almeno una volta all’anno di rovesciare pentole, tegami con dei cibi, bollenti dentro.

Nel mentre l’amministrazione ha stipati nei magazzini centinaia di fornelli elettrici più grandi e più stabili, e quindi più sicuri, però a noi non ce li danno e li lasciano a rovinarsi nell’umidità, anche perché non ci sono le prese nella cucina della cella, malgrado la struttura sia relativamente giovane.

Uno dei problemi che riscontriamo giornalmente, è il forte ricarico che viene fatto alle merci in vendita nel sopravvitto, che settimanalmente acquistiamo. Sovente inoltre ci capita di comprare confezioni (biscotti, caffè, merendine…) dove c’è scritto confezione non vendibile singolarmente oppure confezione omaggio, comunque si dica tutte o quasi le merci acquistate hanno un ricarico di prezzo del 100%, rispetto a quelli praticati in libertà.

Ora vista tutta questa “idilliaca” vita da carcerato nell’era pre Covid 19, potete immaginare come sia “evoluta” la nostra vita con l’arrivo dell’epidemia Covid 19.

A marzo scorso furono, dall’oggi al domani, in un men che non si dica eliminati i colloqui con i nostri parenti, a detta del direttore:- per tutelare la salute di tutti noi detenuti, in quanto il virus poteva entrare dentro il carcere tramite i colloqui con i nostri parenti-, tutto questo ce lo diceva senza nessun tipo di protezione (vedasi mascherina) insieme ad una decina di scherani in divisa, anche loro privi di mascherina, e quando qualcuno gli presentò il problema fece pure l’offeso.

Comunque tutto ad un tratto ci troviamo isolati dal resto del mondo, e dopo un po’ di giorni (bontà loro) furono attivate le videochiamate con notevoli difficoltà burocratiche per poterle fare, nonché iter farraginosi, infatti prima facevano un ora di colloquio visivo con i parenti, poi sostituito da una videochiamata di 15 minuti, senza tra l’altro poter decidere chi chiamare e tanto meno poter scegliere il giorno e l’ora.

Anche qui sono sorti dei problemi con una serie di agenti della P.P., in quanto qualcuno decideva di chiamare un numero invece che un altro (questo per chi aveva ed ha due numeri da chiamare: genitori col primo numero e mogli, fidanzate, conviventi e figli con l’altro), oppure pretendeva e ancora pretende di esser presente nella saletta ove è appeso e sigillato il videotelefono per ascoltare e/o vedere il tutto, alla faccia della privacy.

Ora con la seconda ondata Covid 19, che ha colpito anche il carcere di Uta con almeno 3 agenti contagiati, non sappiamo con certezza quanti detenuti lo siano stante il nostro stringente isolamento, ci viene imposto l’utilizzo obbligatorio della mascherina ogni volta che stiamo fuori dalle nostra celle, pena una sanzione disciplinare.

Il tutto come si può capire è una finzione, una farsa in quanto con la forzata convivenza fra di noi il virus avrà facile diffusione nel carcere, e non saranno delle mascherine anti polvere a prevenire il tutto, tra l’altro con l’aggravante delle decine e decine di detenuti che soffrono di gravi patologie medico-sanitarie, tra cui molti ultrasessantenni che vivendo con tutti noi sono a rischio della loro vita.

Diverso tempo fa in carcere è entrato un signore che avrebbe truffato sessanta milioni di euro, ebbene il tipo ha fatto 15 giorni di carcere ed è uscito ai domiciliari, se facciamo un po’ di conti fra tutti noi detenuti (un po’ meno di 600), in tutti noi siamo riusciti a fare tanti danni economici alla società, però nel mentre noi stiamo in carcere (il più delle volte per danni economici risibili, di pochi euro) mentre gli altri stanno fuori, pertanto, senza augurare il carcere a nessuno, ci chiediamo: o la legge non è uguale per tutti, e dunque ci sta bene stare chiusi a doppia mandata, oppure se la legge è uguale per tutti sarebbe auspicabile che chi ha diritto a misure alternativa al carcere fosse avviato senza se e senza ma a un piano di reinserimento nella società.

Per non parlare degli ergastolani che anche con quasi 40 anni di carcere scontato non riescono ad uscire da questo inferno.

Sia chiaro il carcere non rieduca mai, ed il carcere scontato in quel di Uta peggio che mai.

Di tanto in tanto fanno entrare qualcuno dall’esterno per visitare il carcere, però se queste visite sono vincolate all’accompagnamento del direttore o del comandante delle guardie, e tra l’altro non prevedono il passaggio nelle sezioni, il tutto diventa una gita nel carcere dove si visitano le “bellezze” e le parti pulite, ma qui c’è ben altro da vedere e da ascoltare, vero Monsignor Baturi? Oppure i giornalisti dell’Unione Sarda e di Videolina?

Se non altro una volta un parlamentare ha fatto visita al carcere, ed è pure entrato in sezione, in quel momento chiusa a doppia mandata, per visitare le “belve” chiuse in gabbi accompagnato dal direttore e dal comandante delle guardie.

Lui, il parlamentare, aveva anche il suo portaborse e non era certo venuto a chiederci come stavamo, ma faceva il tour in una delle cajenne sarde per dare solidarietà alle guardie.

Vero Signor Sasso Deidda?

Per sgombrare ad eventuali equivoci siamo consci che non tutti gli agenti di P.P. sono mele marce come teste descritti, però ci fa specie l’assordante silenzio degli altri agenti che passivamente girano lo sguardo davanti alla cose descritte prima, come ci fa sorridere l’atteggiamento dei sindacati e dei sindacalisti degli agenti, che urlano al lupo al lupo per ogni problema, violenza perpetrata ai loro assistiti, ed invece dolosamente zittiscono di fronte all’arroganza, l’arbitrio delle mele marce (che loro tutelano sindacalmente) che sono presenti dentro il loro corpo di polizia.

Chiudiamo con il non chiedere nulla, se non la difesa della nostra dignità difronte ai nostri soprusi, anche se di cose da dire e da chiedere ne avremo tante, siamo anche consapevoli che questo scritto solleverà un vespaio di polemiche, ma siamo anche consapevoli che se continuiamo a stare zitti le cose potrebbero precipitare velocemente.

Questo scritto potrà inoltre creare non pochi problemi ad alcuni di noi, visto che ogni volta che abbiamo intrapreso delle proteste pacifiche, siamo sempre stati minacciati di trasferimenti punitivi, di punizioni esemplari come l’isolamento sanzionatorio del 14bis ed altre amenità.

A chi arriverà questo scritto fate in modo che il nostro urlo alla luna non sia fine a se stesso.

In questo scritto ci sono decine di sottoscrittori, per ovvi motivi verranno spedite se richieste con un’altra lettera.