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La lezione che non stiamo imparando

By 18 Dicembre 2020Giugno 13th, 2021No Comments

Un compagno e amico di un paese vicino a Bitti mi raccontava che da chiacchiere con gli anziani di zona era emerso che negli ultimi 80 – 90 anni i disastri causati dalle piogge erano stati due, forse tre, tra l’altro di entità minore a quello del 28 novembre, praticamente lo stesso numero dal 2013 in poi.

Quasi ogni stagione che passa batte dei record, il novembre più caldo di sempre, l’estate più arida dal 19…,l’autunno più piovoso del decennio e così via, un continuo aggiornamento dei record, che ci colloca in un costante rischio di disastri. A questi record possiamo anche affiancare una lunghissima serie di previsioni particolarmente pessimiste (e non perché gli scienziati siano dei corvacci), che ci parlano di scioglimento dei ghiacci polari con conseguente innalzamento del livello del mare, aumento smisurato delle polveri sottili, riduzione costante dei territori boschivi a favore della agricoltura intensiva e così via.

Senza essere dei fini studiosi possiamo accontentarci di dire che ciò avviene in un rapporto di pieno determinismo in cui il responsabile è il capitalismo e la conseguenza è il cambiamento climatico, e con esso i fenomeni che lo caratterizzano.

Credo che ognuno di noi possa attingere alle sue fonti privilegiate che trova dietro ogni porta, sono gli anziani, ma anche chi è meno anziano non fa fatica – nonostante la suggestione del “una volta”- a riconoscere una notevole discontinuità tra i suoi ricordi adolescenziali e le esperienze del presente.

Il clima è cambiato, l’avidità umana è arrivata ovunque.

Forse gli scienziati saprebbero dirci se c’è stato un decennio in cui l’accelerazione di queste mutazioni sia stata più significativa che gli altri, ma anche questo ai fini del discorso che la rubrica segue potrebbe risultare marginale.

La questione fondamentale è che il cambiamento è in atto, la china è presa, le conseguenze le viviamo già, ogni giorno, ogni mese, ogni anno.

La domanda da porsi è come al solito, cosa fare?

Ovviamente io non ho risposte pronte, però vedo che qualcuno le ha eccome, e purtroppo sono preoccupanti.

La maggioranza in consiglio regionale sta spingendo in ogni modo per l’approvazione del nuovo PPR (piano paesaggistico regionale), l’obiettivo è quello di demolire il Salva coste di Soru e poter riprendere a costruire selvaggiamente lungo le coste, o forse meglio dire le rive. A parte i dettagli vergognosi in pieno stile berlusconiano, di come il nuovo PPR voglia incentivare i grandi proprietari e investitori a fare vere e proprie colate di cemento, è evidente il tipo di politica entro cui si inserisce questa scelta politica e ambientale. Prima il profitto, poi l’ambiente.

Sembrerà assurdo ma le lacrime di coccodrillo spese da istituzioni e cittadini negli ultimi decenni, davanti ai disastri fatti dagli speculatori edilizi grandi o piccoli che fossero, sono come al solito inutili. I mille casi che si potrebbero citare, di boschi tagliati, dune dragate, zone umide prosciugate, scarichi a mare eccetera, non sono stati una lezione sufficiente: il dio denaro bussa, e la Sardegna risponde.

L’aspetto che rende ancora più triste questa vicenda è che lo sapevamo tutti che Solinas avrebbe spinto in questa direzione, e lo sappiamo tuttora che il Ppr non è ancora stato approvato. Ma come al solito siamo a casa davanti al pc (proprio come me ora) a preparare altre litrate di lacrime di coccodrillo.

Questo è l’esempio più lampante di come le istituzioni sia le prime responsabili di una politica di piena insostenibilità ambientale, che porta poi i privati (aziende e cittadini) a inserirsi in questo solco, distruggendo e costruendo senza rispetto né logica.

Ma non solo, le istituzioni hanno anche la responsabilità di non saper gestire la manutenzione delle grandi opere che questi eventi climatici eccezionali mettono a durissima prova, parlando di acqua l’esempio non possono essere che le dighe, vedi cosa accadde a Torpè, e cosa poteva riaccadere due settimane fa se solo avesse piovuto un altro giorno.

Le grandi opere spesso sono i cavalli di battaglia dei governi che si succedono, e sono uno dei simboli di questo rapporto irrispettoso e sempre votato al denaro nei confronti dell’ambiente. Ponti, dighe, porti, strade, ferrovie, metanodotti e via dicendo, spesso devastano intere zone, che vengono letteralmente ribaltate diventando nel corso dei decenni spesso dei potenziali luoghi del disastro. Pensiamo a quanti fiumi sono stati deviati, o quanti boschi tagliati togliendo dai versanti delle montagne la forza con cui le radici trattengono compatta la terra.

La nostra responsabilità come individui è quella di non imparare abbastanza in fretta dalle pesantissime lezioni che la natura provocata e stuprata ci impartisce, ci facciamo abbindolare dai sussidi per la ricostruzione, o dalla promessa che “il nuovo ponte sarà più robusto di prima”, o peggio ancora dai militari che ripuliscono le nostre strade.

Ovviamente non è con l’azione di pochi che si può riuscire ad arginare il fenomeno del riscaldamento globale che genera questa altissima frequenza di fenomeni metereologici devastanti, però è l’azione di pochi da cui si può iniziare per non esserlo più.

La cultura capitalista ci ha permeato più di quanto vogliamo ammetterci, da poco sentivo qualcuno che sosteneva che la sua scelta radicale nella vita fosse stata quella di abbandonare l’auto a diesel per passare all’ibrida, senza analizzare dove e come viene prodotta, e specialmente che non tutti se la possono permettere.

Dobbiamo ritrovare il modo di prenderci cura con un occhio di quello che ci sta vicino, e con l’altro degli aspetti più generali, è tutto il sistema che va messo in discussione.

I cambiamenti climatici sono anche la base a cui moltissimi scienziati riconducono la nascita e diffusione di virus come quello che ci sta mettendo in ginocchio da quasi un anno.

In molti scelgono la via del vaccino, o dell’appartamento al terzo piano, o del depuratore dell’acqua del rubinetto e così via, siamo davvero convinti che con le toppe andremo lontano? E poi, non ci sembra che queste toppe come al solito abbiamo un tremendo sapore classista?