E’ molto difficile scrivere qualcosa di interessante e non banale su quanto accaduto in questo weekend, eventi meteorologici dalle conseguenze tragiche sono sempre più frequenti, e l’impressione è quasi che ci si stia abituando.

L’utilizzo dell’emergenza perpetua, che nel caso del mal tempo prende il nome delle “allerte meteo”, rende la stessa ormai poco credibile, al punto che poi venendo sottovalutata è in grado di recare danni ancora maggiori per l’impreparazione nella quale ci si fa trovare.

Non so se a Bitti l’allerta fosse stata lanciata, e di che colore fosse, mi sembra ovvio però che non ci si può aspettare che un pastore non vada a badare al suo gregge, o che gli studenti non vadano a scuola, o gli operai in fabbrica, più facilmente l’opinione pubblica pretenderebbe – o viene indirizzata a farlo – che le persone non andassero al bar o a fare la spesa, ma questo è veramente realizzabile?

Sarà che l’aria di divieti e coprifuoco di questi mesi ci sta facendo dimenticare il sapore e la forma della libertà, però io non riesco ad accettare le facili condanne dei benpensanti che la sanno lunga su tutto, e trovano nella colpevolizzazione delle condotte degli individui la responsabilità delle tragedie.

Questo è il mantra che vogliono far passare le istituzioni, vi ricordate ad esempio i cartelloni di Truzzu della primavera scorsa? Ci vogliono far credere che il problema sia una nostra corsetta al parco e non lo sfascio della sanità pubblica, l’incuria e l’abbandono dei canali, la speculazione edilizia selvaggia che sbanca montagne, devia corsi d’acqua e non rispetta gli equilibri naturali.

Quali siano state le cause del disastro di Bitti ora non lo possiamo sapere, però da chi sta spalando incessantemente fango dai locali e dalle strade arrivano dei racconti che è importante condividere.

In mezzo a macerie, distruzione e disperazione, le istituzioni non stanno facendo altro che imbellettarsi per fare bella figura nelle foto dei giornali e nelle riprese dei Tg. Una vergognosa passerella, di Esercito Italiano, Carabinieri, Polizia, Corpo Forestale, politici di varia risma e altri figuri.

In questa situazione la protezione civile si permette di emanare dei comunicati in cui invita i volontari a non recarsi in loco per gli aiuti pratici, ma mette in grassetto l’IBAN a cui inviare denaro. Le campagne rimangono disastrate, la conta dei danni non si può neanche considerare iniziata, l’emergenza come al solito viene gestita, raccontata e difesa dallo Stato, che sottrae un pezzo di territorio alle comunità e alle persone che abitualmente lo vivono, infantilizzandoci tutti, come se non fossimo in grado di sostenere i nostri amici e vicini di casa o di paese.

Lo Stato si permette tutto questo, e lo fa utilizzando la forza delle armi, sotto forma di check point dell’esercito, e assurde regole d’emergenza che in alcuni casi sono arrivate ai divieti di assemblea fra gli sfollati (accadde nelle tendopoli degli sfollati del terremoto de L’Aquila), oggi ci dicono che l’aiuto dal basso non serve, domani lasceranno a Bitti le macerie e la distruzione per decenni, così come è avvenuto ovunque. In Irpinia, a 40 anni dal terremoto ancora non sono finiti i lavori di ricostruzione. Per calmare la diffusione di possibili tensioni continueranno (sul filone dell’emergenza covid) a dare sussidi, ma se credono che le nostre vite valgano qualche centinaio di euro e che in cambio di questi quattrini tutti ci dimenticheremo chi sono i veri responsabili di questi disastri si sbagliano.

La risposta dev’essere innanzitutto il non arrendersi a queste stupide imposizioni, poi organizzarsi dal basso, in massa, affinché le pratiche di solidarietà si impongano al posto dell’occupazione coatta dei territori colpiti da parte dei militari.

A seguire una serie di foto fatte tra domenica e lunedì a Bitti da alcuni volontari.