Per quanto tempo i governi ci hanno abituato al mantra “c’è la crisi” per giustificare i tagli alla sanità, all’istruzione o per aumentare le tasse?

Eppure a vedere la generosa distribuzione di denaro che c’è stata nel periodo lockdown – e che continua tutt’ora – non sembra proprio che lo Stato sia in carenza di fondi. Sarà forse che la favoletta della crisi era una buona menzogna per spremere ancor di più le tasche della gente? E perché ora lo Stato ci tiene a regalare sussidi a tutti, o quasi tutti?

Sicuramente l’elargizione di denaro in favore dei cittadini è il miglior modo per cercare di comprarsi l’obbedienza e per evitare che la sfera della pace sociale si rompa, ma questa non è una novità. In un certo senso l’introduzione del “Reddito di Cittadinanza” (gennaio 2019) ha anticipato questo momento e ingrossato le fila dei sussidiati. Con questo non si vuol dire che lo Stato sapesse della pandemia e l’ha anticipata introducendo l’ R.d.C., probabilmente i problemi che il governo si aspettava di dover affrontare erano altri: licenziamenti e mancanza di assunzioni e via dicendo.

Tra Marzo e Maggio, periodo di lockdown, questa tattica ha funzionato, probabilmente anche perché la paura del virus era forte e ancora c’erano molti dubbi su come funzionasse il contagio. Senza dimenticarci la forte campagna mediatica basata sul terrore a cui eravamo sottoposti: dai meschini cartelli di Truzzu all’immagine delle bare trasportate dai camion mimetici a Bergamo, passando per il continuo “siamo in guerra”.

Adesso però sembra che qualcosa si sia rotto.

Subito dopo l’annuncio di un nuovo Dpcm in molte città d’Italia è esplosa la rabbia: Napoli, Torino, Milano, Firenze e Roma sono state le piazze più calde, seguite da molte altre manifestazioni in giro per la penisola. Era da tanto tempo che non si vedeva una rabbia di questo tipo nelle piazze e non ci si può fermare al fatto che alcune chiamate fossero partite da qualche commerciante o da qualche fascistello. La composizione della gente in piazza, rabbiosa e vogliosa di scontrarsi con la polizia, ha dimostrato che esiste ancora qualcosa sotto la coltre della rassegnazione e che non tutti si sono dimenticati quali sono i nemici della classe oppressa: le pietre sulle vetrate di Gucci sono solo l’esempio che ha avuto più risalto.

Uno degli slogan più comuni nelle piazze italiane, ripreso anche qui in Sardegna in alcune manifestazioni, è stato “tu ci chiudi, tu ci paghi”, ed è su questo che vorremmo riflettere.

Siamo sicuri che bastino i soldi a farci accettare la nuova chiusura?

A cosa ci può condurre una richiesta di questo tipo?

Lo Stato ha capito che pagare è l’unico modo per cercare di far calmare le acque: già dal giorno dopo l’annuncio del nuovo Dpcm, nel sito dell’Inps, era presente un nuovo sussidio di 1000 euro per una buona parte dei lavoratori (stagionali, a chiamata, agricoli ecc.).

Ma quanto vale la nostra libertà? Possiamo accontentarci di 1000 euro una volta ogni tanto? E cosa siamo disposti a barattare?

L’errore nel quale non dovremo cascare è quello di accettare le misure acriticamente solo in base a quanto il governo è disposto a pagare. In poche parole domandarci, a prescindere da ciò che lo Stato ci regala: a cosa serve il coprifuoco alle 22 per arginare il contagio?

Se l’accettazione delle misure passa per l’elargizione di qualche bonus piano piano ci abitueremo ad uno stile di vita completamente modificato per poi rimanere delusi che lo Stato ci toglierà anche quei pochi spiccioli che oggi regala. O pensiamo forse che i regali di oggi non li pagheremo domani sotto altra forma? Cosa che tra l’altro già accade attraverso chi paga le multe legate alle violazioni delle misure anti-Covid (se le nostre strade dopo le 22 sono popolate solo da poliziotti non è solo perché vogliono insegnarci l’obbedienza con le maniere pesanti ma anche perché vogliono assicurarsi qualche multa per guadagnare).

Eppure se oggi le rivendicazioni sono queste un motivo ci sarà: non sarà forse la disabitudine a lottare che fa generalmente abbassare l’ambiziosità di ciò per cui ci si batte? La mancanza di momenti di rottura con le istituzioni, che va a braccetto con il dilagante senso di isolamento a difesa del proprio “orticello”, sono forse le principali cause di questa situazione. Nelle città, più che nelle campagne, si è perso il senso di solidarietà tra vicini e la paura si è spesso mostrata sotto forma di delazione.

Ciò che in altri periodi risultava inaccettabile ora riesce a passare senza che nessuno dica nulla, il senso di emergenza perpetuo nel quale siamo immersi non ci fa più ragionare lucidamente sulle conseguenze di ciò che accettiamo.

Ripartire da quei momenti di rabbia collettiva è importantissimo, così come è fondamentale riniziare ad immaginarsi una vita senza lo Stato.

B.L.