Oggi come ogni 18 Novembre ricorre la commemorazione di quattro secondini uccisi nel carcere di Alghero nel 1945. Quattro carceri della Sardegna vennero dedicate a loro: Giovanni Bachiddu (Bancali); Ettore Scalas (Uta); Salvatore Soro (Massama); Paolo Pittalis (Tempio).

Chi sono questi personaggi? Sono quattro guardie morte nel lontano 1945, pochi mesi dopo l’uccisione di Mussolini, nel carcere di Alghero. Erano le ore 3.42 del 18 Novembre quando alcuni detenuti, armati di coltelli rudimentali, uscirono dalle celle scontrandosi violentemente con le guardie. Sei prigionieri rubarono le chiavi, scavalcarono le mura di cinta ed evasero, lasciandosi alle spalle l’ergastolo che li aspettava. Altri detenuti rimasero feriti nello scontro e non riuscirono a fuggire. Morirono invece le quattro guardie.

Che cosa accomuna queste quattro carceri?

Il sovraffolamento delle carceri è sempre stato un grosso problema da controllare. Nel 2010 lo Stato italiano ha approvato il “Piano Carceri” che consisteva nella realizzazione di 11.573 nuovi posti letto attraverso la costruzione di nuove strutture carcerarie ed all’ammodernamento ed ampliamento di quelle esistenti.

La Sardegna si rivelò perfettamente funzionale a questo Piano. Vennero costruite quattro nuove carceri di massima sicurezza: una nei pressi di Cagliari, a Uta; una in provicia di Oristano, a Massama; una in provincia di Olbia, a Tempio; una vicina a Sassari, a Bancali. Il carcere di Nuoro invece rimane lo stesso, sempre di massima sicurezza, dal 1970.

Molto importante da notare è che tutte queste nuove carceri si trovano fuori dalla città, lontane dal centro abitato. Questo perchè? I politici ci diranno che sono poco estetiche, non “decorose”, che siamo meno al sicuro con un carcere a due passi da casa ma la realtà è che i terreni edificabili nelle zone rurali costano meno, i detenuti sono maggiormente isolati e allontanati dalla comunità.

Gli anni passati hanno insegnato ai tecnici della repressione che conviene allontanare quelle figure che possono creare scompiglio, ribellarsi al sistema imposto e soprattutto che la lontananza da parenti, amici, solidali li rende molto più vulnerabili. Inoltre allontanare la struttura penitenziaria dal centro abitato serve a rimuoverla dalla quotidianità cittadina. Vedere ogni giorno dei rinchiusi dietro le sbarre aiuta a non dimenticarsi di loro.

Ma come mai proprio in Sardegna vennero costruite 4 carceri di massima sicurezza?

L’insularità è sempre stato un punto a favore per chi sfrutta questo territorio. La maggior capacità di controllo, i confini ben definiti dal mare, le specificità della Sardegna (come il fatto che non è zona sismica o che ha una densità abitativa molto bassa) ha permesso allo Stato di costruirci numerose infrastrutture di controllo: basi militari, carceri e caserme. In questo momento nell’isola esistono quattro Case Circondariali, un carcere minorile e sei Case di Reclusione. Una così forte presenza carceraria a fronte di una popolazione di un milione e mezzo di persone denota un disegno e una volontà da parte dello Stato ben precisa.

Gran parte della popolazione carceraria presente nell’isola (circa il 40 %) è composta da detenuti che arrivano della penisola. L’insularità viene quindi utilizzata per isolare maggiormente i detenuti e spezzare ancor di più il legame con le comunità in cui sono cresciuti o in cui vivono. Colloqui e visite sono più complicati perciò la solidarietà e la vicinanza si fa più scarsa.

Ai sardi spesso succede il contrario: la vendetta dello Stato è trasferirli nelle carceri in continente in modo tale che si perda qualsiasi legame con la propria terra.

Ma non c’è solo questo: il carcere non ha solo una funzione punitiva bensì funge anche da prevenzione nei confronti di tutti coloro che potrebbero o vorrebbero commettere dei reati. Essere circondati da strutture carcerarie, alcune anche molto dure, è un buon deterrente in una terra che lo Stato ha sempre considerato “pericolosa” e in cui la repressione non è quasi mai stata “lieve”.

Mentre lo Stato continua a ricordare le morti dei suoi “eroi”, che in quel periodo vestivano la camicia nera, il carcere continua ad uccidere e a pagarne le spese sono sempre i reclusi.

Nel solo marzo 2020 nelle carceri dello Stato Italiano sono morti ben 14 detenuti durante le rivolte nel periodo precedente al lockdown.

Chi si ricorderà di loro?

Z.