Un film sull’equivoco egoismo umano davanti al colonialismo energetico degli impianti eolici.

Galizia, ogni cresta di questa regione montuosa è invasa dalle pale eoliche. In un villaggio ritirato una coppia di francesi recentemente trasferitasi si oppone alla costruzione di un nuovo impianto. Due fratelli vaccari, nati e cresciuti nel posto e interessati a vendere le proprie terre, fanno terra bruciata attorno ad Antoine e Olga. As Bestas è un tentativo di mostrare la complessità dei rapporti che attraversano una comunità. Il film è tratto dalla storia vera di Martin Verfondern e Margo Pool, una coppia olandese che nel 1997 si trasferì dai Paesi Bassi in un villaggio spagnolo ed i cui fatti si consumarono tra 2010 e 2014, per altro già documentata nel film Santoalla.

As Bestas scava lentamente fino alle radici di opportunità, rabbia, invidia, scherzo e scherno che animano il rapporto tra gli egoismi umani e la terra quando questa è investita da processi di valorizzazione capitalistica. I punti di vista sono variabili, molteplici ed intrecciati, e mostrano caratteri tutti complessi e contradditori, partendo dal presupposto che la fragilità e l’inospitabilità non sia tanto nella natura dei luoghi quanto nella natura degli uomini, nell’impossibilità di far coincidere, anche nello stesso individuo, interessi contrapposti in seno a uno stesso luogo. Come in un western il colono è chi si sente erede della terra e pretende di trarne i giusti frutti come è al contempo chi del fardello della terra non ne può proprio più e la compra, la vende o muove verso ovest in cerca di un El Dorado qualunque: tra i bianchi queste figure esprimono lo stesso rapporto alla terra, fatto di uso e saccheggio; gli indiani però son spariti… nessuno sa sentirla più questa terra senza ab-usarla perché il vortice di forze che rende la terra abitata nella forma della civiltà ha rimosso ogni intimità che permette con la terra di confondersi.

E tuttavia tra gli abitanti di una terra ci si può ritrovare nell’isolamento della montagna. Ci si incontra in una comunità forzosa. Tra loro allora si contrappongono tra chi non ne può più delle fatiche del lavoro abitudinario in campagna e tra quelli delle “grandi dimissioni” che si reinventano in campagna, cioè gli ultimi arrivati, borghesi e studiati, in fin dei conti. I fatti si snodano sotto il segno di uno scontro esplicito tra chi ricerca una nuova identità e chi farebbe di tutto per liberarsene, perché, conoscendo le effettive possibilità storiche di riproduzione di quella vita in quella terra, cioè in difetto dello sviluppo a venire, non ha mai potuto riscuotere da essa la soddisfazione desiderata. Dunque anche il ritorno alla terra è una fuga dalla “civiltà” verso una “civiltà-aumentata”: in ogni caso, anche alle condizioni della riconciliazione con la terra, resta l’invariante regola sociale di un rapporto di sfruttamento che non esenta nessuno dall’irriducibilità del suo punto di vista costruito sull’esigenza di soffrire quanto meno possibile e guadagnar quanto più possibile dalle opportunità concesse. Nessuno è più nel giusto di un altro: chi vuole l’impianto eolico o chi lo combatte tornando alla terra sono governati dallo stesso egoismo, cioè quello di ricostruirsi una vita alle condizioni offerte da questa realtà fatta di commercio e lavoro.

La coppia, o meglio Antoine, ex-professore e marito di Olga è subito lo straniero in quel tempio della socialità del villaggio, ossia il bar, dove non solo si beve, si mangia e si gioca, ma si discute degli interessi, delle opportunità, della frustrazione e della fatica nelle vite di ognuno. Il senso di estraneità che lui sente in questo posto, è un macigno che intralcia i suoi sogni. Questo punto di vista per metà film è espresso dalla visione di Antoine e per la seconda metà dal punto di vista femminile di Olga complicandosi con l’arrivo della giovane figlia dalla città la quale introduce a un’altra serie di egoismi: la fittizia libertà di ogni scelta nel rapporto di amore, nel rapporto di amore filiale o di coppia.

L’antitesi di Antoine e Olga è rappresentata dai due fratelli Xan e Loren Anta. Xan, risulta più intelligente e reattivo, Loren si presenta stupido e più mansueto, forse a causa della cicatrice che si intravede sulla testa frutto della Rapa das Bestas, la tradizione galiziana, risalente all’VIII secolo che consiste nell’assalto da parte degli uomini (“aloitadores”, “lottatori”) sui cavalli, per curare eventuali ferite, tagliargli la criniera e marchiarli. L’assalto avviene a mani nude, in uno spazio ben limitato. È proprio questa la scena iniziale, magica e decontestualizzata, che diventa la metafora su cui si basa l’intero film, ossia il dominare e farsi dominare in un ambiente angusto ed ostile da parte di forze non riconosciute. Ogni forza esterna è non riconosciuta, tra lo scalpitare imbizzarrito e l’addomesticamento la lotta.

Forza esterna è tanto il forestiero quanto l’impresa che vorrebbe impiantare le pale. Al bar Xan esordisce con queste parole mentre gioca a domino con Antoine: “Lo sapevi che i francesi secoli fa sono venuti a conquistarci? Vennero a conquistarci perché pensavano che noi eravamo degli idioti di merda. Napoleone ha detto proprio così: sono degli idioti di merda, idioti di merda. Lo pensate ancora francese?”. L’appartenenza in questo dialogo si afferma come conflitto interiore: nel rifiuto dello straniero c’è la mancata opportunità di godere della propria terra valorizzata dalla colonizzazione eolica, cioè pur sempre da una forza esterna. Nulla collima: la presenza dello straniero come intruso è un aspetto conseguente allo stesso movimento che porta l’opportunità nuova. Antoine raggiunge la Galizia come polo opposto e complementare alla multinazionale norvegese che vorrebbe tirar su le pale eoliche. È un paradosso di cui lo stesso forestiero è vittima: “Tu pensi che per me questo sia un capriccio?” – dice Antoine – “No Xan questo è tutto per me. Coltivare e vivere qui è il mio progetto di vita”.

Il fulcro dei conflitti si amplia. La forza esterna è forza estranea. Contro Antoine c’è anche e soprattutto l’odio di classe verso i borghesi che si riconvertono ad agricoltori perché gli Anta non possono che essere quello sono, loro non hanno opportunità di scegliere: “noi puzziamo di merda, la merda delle bestie, e questo odore ci resta addosso”. Antoine coltiva perché sa che alla terra si deve dare e non solo prendere, non perché non può non farlo. Antoine è contro le pale perché conosce l’ingiusta rapina che sottendono non perché di quella rapina non può goderne. Antoine sa. È il borghese governato da una ragione apparentemente aliena al proprio interesse, che si vorrebbe equa, giusta e universale, ma che nello scontro finisce per essere solo la forma mascherata del proprio egoismo di classe.

Il film non si risolve in una conciliazione. La morte violenta che chiude i conflitti apre non a una pacificazione ma solo alla tregua sancita dalle donne che sopravvivono alla faida, simbolicamente fuori dalla logica che aveva governato fino a quel punto lo scontro tra egoismi irriducibili e la terra contesa. Infine e in fondo, a guerra conclusa, non può che restare l’offerta di un patto tra donne per una sopravvivenza in comune.