Ieri si è svolto il primo corteo alle basi militari della nuova stagione autunnale, nato dalla collaborazione internazionalista tra A Foras e Core in Fronte (partito indipendentista corso) che ha portato a fuori dal poligono di Capo Frasca le consuete tre-quattrocento persone.

Dopo un estenuante comizio svoltosi nella piazzetta di Sant’Antonio di Santadi il corteo si è mosso in direzione di Pistis in quanto il cancello principale era presidiato da un esagerato numero di sbirri. Arrivati al parcheggio in riva al mare si sono subito notate diverse camionette e jeep all’interno del poligono. Quando il corteo si è avvicinato alle reti subito si è palesata la DIGOS per cercare di far desistere dal tentativo di tagliare le reti.

Poco dopo con l’ausilio di corde e ganci alcuni metri di rete sono caduti e ai primi tentativi di ingresso la polizia ha reagito con fitti lanci di lacrimogeni al CS, che non hanno comunque disperso ne spaventato i manifestanti, che anzi hanno riprovato in altre due zone del poligono l’avvicinamento e il taglio delle reti.

Il dispiegamento e il collocamento delle forze dell’ordine ha fatto capire che la lezione subita a dicembre ancora brucia, ma purtroppo è stata compresa. Due elicotteri, moltissima celere e moltissimi mezzi 4×4 per seguire i manifestanti ovunque. La giornata si può ritenere più che positiva inserita in un momento di rilancio della lotta, che non può ovviamente vivere di soli momenti esaltanti, ma anche di giornate apparentemente più anonime che però continuano a mettere pressioni sui militari e entusiasmo nelle persone.

Va ricordato che negli ultimi dodici mesi sono ben sei le iniziative di lotta fuori dalle basi militari, un dato che segna una reale vitalità della lotta contro l’occupazione militare.

Questi numeri però non devono ingannare ne tanto meno appagare: il movimento contro l’occupazione militare e le componenti che lo animano (l’antimilitarismo, il pacifismo, l’indipendentismo e via dicendo) devono riconoscere alcuni notevoli limiti di queste ultime mobilitazioni, e trovare assolutamente le energie per provare a superarli.

Prima però di passare a uno sguardo critico è giusto anche annotare gli aspetti positivi. La partecipazione, nonostante questo corteo non abbia avuto una grande spinta mediatica e pubblicitaria (ad esempio sono state fatte pochissime presentazioni), i numeri sono stati comunque buoni, probabilmente il lavoro dell’ultimo anno sta fruttando. La determinazione, seppur sia condiviso che la pratica del taglio delle reti vada superata o almeno affiancata da altre, è altrettanto vero che in assenza di alternative reali è sempre meglio tagliare che non farlo. Anche ieri moltissimi dei presenti si sono avvicinati alle reti per provare a tagliarle e varcarle, nonostante l’ingente presenza di celere e l’uso di lacrimogeni al CS. Il buon umore, un dato troppo spesso non valutato a sufficienza, ma che ha in se un’importanza fondamentale. In questi cortei si respira un’aria di entusiasmo e presa bene, tutti si danno una mano, non si litiga, non si lascia nessuno indietro, si avanza e arretra insieme. Il risultato lo si vede sulla strada del rientro verso i pullman dove in tantissimi hanno sempre ancora voglia di cantare e stare insieme. Il ricambio, generazionale e non, questo dato in se contiene anche una delle autocritiche che c’è da farsi. Se è vero che ci sono sempre un sacco di volti nuovi, molti dei quali giovani, è purtroppo vero che molte persone che fino a qualche anno fa erano presenti e attive non si riesce più a coinvolgerle. L’abitudine allo scontro, in un territorio come il nostro, fortemente militarizzato a tutti i livelli, sfruttato nelle risorse umane e naturali, depredato e devastato, è molto importate che una fiammella di conflitto “sociale” rimanga accesa, come simbolo e esempio a cui ispirarsi o come momento in cui fare pratica. Dal 2014 a oggi la lotta contro l’occupazione militare ha offerto molti momenti e molte pratiche di scontro e attacco, dove nuove e vecchie generazioni si sono trovate fianco a fianco contro gli sbirri, qualcuno nel fare grandi e piccoli sabotaggi e poi ancora molti ad affrontare la repressione.

Cosa non va?

Se le conferme danno sempre un senso di sicurezza, in alcuni casi avvicinano di più all’immobilismo. L’assenza di una crescita significativa di partecipazione alle iniziative deve diventare uno dei primi punti su cui lavorare. Quest’anno ci sono stati cortei di vario tipo, chiamati da sigle differenti, e tutti più o meno hanno avuto lo stesso risultato. I numeri in una lotta come questa sono fondamentali, poter triplicare o quadruplicare le forze che si mobilitano contro i militari è fondamentale. Non è facile capire come farlo, e non si vuole assolutamente banalizzare la questione, ma a nostro avviso questo è uno dei primi obbiettivi da porsi.

Le pratiche, il taglio delle reti che fu la novità del ciclo 2014-2017, diventato oggi simbolo della lotta contro le basi militari, ha bisogno di essere affiancato a nuove pratiche.

I campeggi negli anni scorsi hanno dimostrato limiti e pregi, ma non possono comunque essere ritenute vere e proprie pratiche, anche se il loro contributo lo daranno sempre.

Ci sembra che uno degli ambiti su cui focalizzare gli sforzi possa essere a vario titolo la pratica dell’occupazione di parti di territorio. Porzioni di territorio sottoposto a servitù (quindi non costantemente utilizzato dai militari), zone militari non recintate, zone antistanti ai punti nevralgici o altro ancora potrebbero essere occupate permanentemente o no, sia con messa a coltura delle stesse (dove possibile e logico, quindi non dove inquinato), sia come presidi di disturbo dell’attività militare. Negli anni abbiamo capito che una delle poche debolezze delle divise è quella dei protocolli di sicurezza e della segretezza del loro operato. Se in coincidenza di una grande esercitazione, ad esempio a Teulada, dovesse nascere un presidio permanente (per la durata dell’esercitazione) immediatamente al di fuori delle reti potrebbero aprirsi infinite nuove possibilità di pratiche, dal disturbo ai movimenti di mezzi all’esterno, l’interruzione delle attività addestrative, il disturbo del sonno notturno fuori dalle caserme e così via. Ora questa è solo una suggestione, ma probabilmente avere anche solo qualche decina di persone che notte e giorno possono in qualsiasi momento interrompere i giochi di guerra potrebbe creare molti problemi, o almeno preoccupazioni.

La comunicazione. Con la guerra in atto, e i rischi di escalation che comporta, è necessario provare nuove strade comunicative per sensibilizzare la popolazione sarda sul tema occupazione militare e della generale svolta bellica velocizzata dalla crescita di spese militari (il 2%del PIL).

Queste righe non vogliono essere una critica o un giudizio su qualcuno in particolare, ma solo uno stimolo al dibattito che troppo poco anima il movimento sardo contro l’occupazione militare, noi come redazione di Maistrali ci abbiamo provato sei mesi fa con un dibattito pubblico e ci riproviamo anche oggi con questo articolo.

La critica e il confronto sono momenti fondamentali nei percorsi di lotta, evitarli non serve a nulla, i problemi restano e anzi, spesso peggiorano. Partendo da questi presupposti e dalla voglia di tornare il prima possibile fuori da una base speriamo che questo articolo stimoli discussioni. Se qualcuno volesse scriverci per rispondere, contribuire o altro questa è la nostra mail: maistrali@autistici.org