Sono quasi le 22. Poche ore prima tutta l’area di sa Duchessa formicolava di matricole. Una situazione insolita per un polo svuotato negli anni e ora riabitato da giovanissimi in fuga dalla didattica a distanza. Il tonfo sordo dell’aula magna di Lingue, nello storico edificio di Geologia, richiama per primi gli inquilini della fatiscente residenza di via Trentino e gli ultimi ritardatari della mensa. Orientati dalla provenienza del crollo salgono le scalette che portano a piazza d’Armi. Da quel palco si scopre, tra Geologia e le segreterie del Magistero, l’aula magna collassata su sé stessa, come sfondata dal suo stesso tetto. Lo spazio era stato di recente attribuito alle attività didattiche della facoltà di Lingue, parzialmente evacuata dalla clinica Aresu. I vigili del fuoco già illuminano l’area in mezzo a un silenzio surreale per non compromettere la ricezione di segnali di soccorso da sotto le macerie. Si inizia a metabolizzare il fatto come una tragedia sventata grazie al caso. È dietro al caso e invocando la buona sorte che ha risparmiato vittime che si inizia a nascondere il rettore Mola e a ruota il sindaco Truzzu. La probabilità calcola il caso ma il caso sfida la probabilità che tende a prevederlo: il caso avrebbe potuto determinare il crollo qualche ora prima o in ogni momento e in qualsiasi struttura dell’ateneo.
Non molto più tardi, in serata, si ha conferma che nessuno si trova sotto le macerie.

Un messaggio o qualche sigla studentesca, poco conta, convoca in mattinata un appuntamento davanti al rettorato: Mola deve esprimersi davanti agli studenti. Una confusa emotività che tutto rimescola nella retorica sembra consegnare alla fatalità del caso anche la presenza di centinaia di studenti che dalle dieci si riversano in via Università: qualche rappresentante di facoltà sostiene che si tratti solo di un problema degli studenti e delle studentesse di lingue… viene proclamato un minuto di silenzio (!), ma, nello sbigottimento generale nessuno capisce bene per chi e per cosa ci si raccolga. Il rettore inizia a paventare per gli studenti di Lingue e forse non solo il ritorno alla didattica a distanza per poter procedere ai controlli di tutti gli edifici che ospitano le attività di UniCa. Il presidio cresce: centocinquanta, duecento e più. Una delegazione di rappresentanti si rintana nel frattempo per conferire con Mola e nessuno ben coglie perché non sia sceso lui a parlare a tutti. Via Università è stretta, la folla cresce e un corteo si muove verso sa Duchessa. Al magistero prima e a psicologia poi le aule vengono svuotate dalle lezioni in corso. Molti docenti si rifiutano di interromperle ma le aule vengono comunque disertate. L’atrio del corpo centrale è colmo. Si improvvisa un’assemblea: «Mola deve venire qui, né rappresentanti, né Dad, né tasse». L’aula magna del corpo aggiunto, a vista sul cratere, è presa da trecento e più persone nonostante le resistenze di una professoressa che invoca la democrazia perché interrotta e violata nella sua autorità: «democrazia è che non ti vuol sentire nessuno e abbiamo da parlare di altro». Inizia un’assemblea al termine della quale l’aula Capitini viene occupata con il proposito di restare a oltranza.

Per stato limite, tecnicamente parlando, si intende una condizione entro la quale i sistemi costruttivi possono soddisfare le esigenze per cui sono progettati. L’analisi delle sollecitazioni considera fattori tra cui la resistenza meccanica della materia soggetta alle azioni, quindi le forze agenti sulla materia e la probabilità che questa resista. Il crollo all’università di Cagliari segnala gli stati limite di resistenza alle tensioni che attraversano oggi un’istituzione che ancora prende in carico, come compito pubblico, la vita in formazione di migliaia di giovani e giovanissimi per i fini sociali ai quali si è obbligati ma entro i quali ciascuno comunque cerca una propria esperienza di emancipazione relativa. L’assemblea è disinibita: la grande narrazione sul valore del sapere e delle mura sacre della sua istituzione è assente; chiunque si esprime assumendo fattualmente la propria condizione di utente di un servizio: «è la seconda volta che mi iscrivo all’università. Mi mantengo da solo. La prima volta è scoppiato il covid. Evabbé, poi non ce l’ho più fatta con la dad. Già lì mi avrebbero dovuto rimborsare le tasse, perché non ho percepito nessun servizio mai. Ora ho appena finito la stagione, son riuscito a prendere casa a Cagliari e dopo due settimane ora mi rimettono in dad: no!».
La formazione resta per tutti un investimento su sé stessi: ma è caro, comporta sofferenza, rinunce e rischi enormi… e di libertà futura non ne garantisce abbastanza. Quest’università prende più di quanto dà compiendo la sua ristrutturazione: «UniCa ha investito in immagine, ma non in strutture e servizi. I soldi delle mie tasse non capisco dove vadano».

Dopo un crollo lo stato di tensione si azzera perché si ripristina lo stato di equilibrio… a meno che le forze che hanno innescato il crollo iniziale non liberino altre tensioni nelle strutture comunicanti.