Nei giorni scorsi si è sviluppata un’improvvisa mobilitazione in Euskadi, in particolare nell’Ipparalde, la parte francese del territorio basco.

La scintilla che ha innescato la mobilitazione è stato il congelamento da parte dello Stato francese (in particolare della prefettura dei Pirenei Atlantici) della liberazione di due prigionieri di ETA reclusi da 32 anni, più precisamente di Jakes Esnal e Ion Parot.

Alla notizia della mancata liberazione in tutta l’Ipparalde si sono diffusi blocchi stradali, manifestazioni e presidi, in particolare negli snodi della logistica e in altri punti nevralgici, ben presto le iniziative sono sfociate in scontri con la polizia.

La reazione dello Stato è stata celere e repressiva come al solito, nel giro di 24 ore sono state interdette tutte le manifestazioni pubbliche.

Le proteste sono andate a vanti e ieri i giornali francesi parlavano di 26 fermi.

Lo Stato francese continua la sua politica reazionaria e conservatrice, alla faccia di un presunto progressismo macroniano, specialmente nei confronti di chi lotta o ha lottato, a maggior ragione se lottando mette in discussione “l’unità nazionale”.

Abbiamo già riportato le vicende corse e della Martinica francese, luoghi trattati come colonie, con popolazioni duramente represse e prigionieri deportati. I baschi dell’Ipparalde nonostante siano sul continente non godono di miglior fortuna. Le ferite inferte agli stati francese e spagnolo dalla lotta per l’indipendenza basca non sono evidentemente ancora chiuse e la voglia di vendetta non è ancora saziata.

I prigionieri di ETA sono fra i prigionieri che in Europa hanno pagato e stanno pagando il prezzo più alto per le loro idee e le loro azioni. Imprigionati a migliaia di km dalla loro terra da più di trent’anni sono reclusi nonostante la smilitarizzazione di ETA e il cambio di direzione della lotta d’indipendenza.

A loro va tutta la nostra solidarietà, così come al popolo basco che li difende e non li lascia soli anche nel 2022.