Questo opuscolo è il primo di una serie di pubblicazioni portate avanti come Immoi, aventi come obiettivo lo stimolare le discussioni tra compagni e compagne intorno alle questioni legate all’Autonomia, al rinverdimento di teoria e prassi rivoluzionaria e all’immaginario collettivo. Tratteremo testi di analisi provenienti da zone diverse del mondo perché crediamo che stia a noi fare tesoro di quello che altrove succede e viene analizzato, non trasponendolo in toto come un calco, ma applicando un filtro territoriale e specifico, per arricchire i nostri percorsi di lotta e le nostre prospettive di vita.

Inhabit – Istruzioni per l’Autonomia è la traduzione, ancora inedita in italiano, della proposta di lancio della piattaforma Inhabit (inhabit.global). Si tratta di una proposta di costruzione di autonomie, non diversa forse da altre fatte nel corso della storia rivoluzionaria, ma che mantiene una specificità a parer nostro intrigante. È un testo visionario, legato al sentimento di vertigine davanti alla fine del mondo. Si vuole combattere il disfattismo del “è troppo tardi” con delle proposte d’immaginario chiare e concise, che riportano sul piano pratico le forme di vita possibili.

Questo testo è da leggere, a parer nostro, in due modi.
Il primo è immaginandoselo rivolto ad un comune lettore, proiettandogli davanti immagini e istruzioni chiare su come portare avanti piccole iniziative personali, che facciano rotolare giù il primo sassolino di una frana. La spinta interessante è quella, scontata ma quanto mai difficile, di mettere la propria vita, intesa come soddisfazione dei beni primari e rapporto con gli altri, al centro dell’attenzione rivoluzionaria, attraverso pratiche conviviali semplici ed efficaci che rompano le frontiere dell’atomizzazione. Il secondo è più rivolto all’interno dell’ambiente antagonista/rivoluzionario e riguarda le forme che prendono le nostre progettualità. Tra le righe degli esempi catastrofisti vediamo la forza
dei gruppi organizzati sui bisogni, gruppi nascenti da urgenze concrete come un’alluvione, una carestia o anche proteste, in cui la forma di vita auto-organizzata spinge al massimo l’efficacia collettiva e la sua strutturazione rende più resilienti e solidali le comunità. Così come vediamo l’attitudine spuria verso la tecnologia, non atta ad un rifiuto aprioristico, ma ad una comprensione dei suoi funzionamenti, fino ad immaginarci maniere di riappropriazione degli strumenti: che sia per il
supporto comune, così come per l’attacco frontale. Infine l’intenzione centrale è quella di fare rete, di connettere concretamente le vite
sparse sul territorio per aumentare il grado d’intensità dell’Autonomia.

Riportandolo alla nostra realtà sarda, vorremmo fare esplicito riferimento a percorsi nati negli ultimi anni nel cagliaritano, come la Rete di Mercato Autogestita, il Mutuo Soccorso, le Brigate di Solidarietà e il Gruppo di Autodifesa Digitale, o agli spazi come l’Officina Autogestita, ai percorsi, collettivi o individuali, e ai luoghi che per noi intessono queste fila e sviluppano un potenziale d’autonomia.
Come possono le nostre progettualità collettive intersecare queste strutturazioni e la soddisfazione dei bisogni, nostri e della comunità che ci circonda? Lasceremo al tempo decidere o lavoreremo d’anticipo?