La migliore costituzione per qualsivoglia potere, si comprende facilmente a partire dal fine dello stato civile: che non è niente altro che la pace e la sicurezza della vita.
Baruch Spinoza

Poco prima di Capodanno il sindaco Truzzu insieme ai suoi fedelissimi Edoardo Tocco e Marcello Pollastri rispolvera il tema della sicurezza con una proposta quantomeno controversa.
Alle destre cagliaritane la sicurezza ed il decoro urbano sono sempre state a cuore. Il sindaco Delogu, (Sindaco tra il 1994 e il 2001) ricordato come un “grande sindaco”, in quota AN, lanciò la campagna “centro sicuro” facendo letteralmente la guerra a chi viveva per strada o agli assembramenti di giovani da lui considerati stravaganti. Incentivato da vari episodi di aggressioni in alcune parti della città, iniziò letteralmente a fare terra bruciata attorno ai clochard ed ai gruppi di ragazzi che si riunivano nelle zone centrali, nello specifico il Bastione di Saint-Remy e il largo Carlo Felice, controlli dei vigili e della polizia che non lesinarono le maniere forti, specie nei confronti di migranti, che provavano a sbarcare il lunario vendendo qualche borsa e con i clochard che videro drasticamente cambiare le loro abitudini e i rapporti riusciti a costruire negli anni. La scusa della sicurezza fu un ottimo escamotage per la giunta di allora per spostare l’attenzione dallo stato di abbandono dei monumenti cagliaritani, come il Bastione appunto o l’Anfiteatro romano, che diventò una specie di legnaia cittadina, imputando la mancanza di decoro a “barboni” e punk piuttosto che fare le dovute manutenzioni. Truzzu dal canto suo non vorrebbe essere da meno e pone così delle regole legate al decoro ed alla sicurezza su tutto il territorio comunale, riservando ovviamente maggiori attenzioni alle zone centrali più turistiche e frequentate. Il regolamento va dal divieto di legare le biciclette ai pali, alla proibizione di stendere i panni fuori dalle abitazioni, al divieto di consumare bevande e cibarie fuori dai locali, al più autoritario divieto di bivacco e accattonaggio per le strade cittadine.

Dice il sindaco che le strade non possono diventare luogo di dimora e bivacco, ed invita le persone a non fare l’elemosina perché ci sarebbero già strutture di assistenza, ed inoltre si rischia che quei soldi siano usati per acquistare bevande alcoliche o stupefacenti. Introduce inoltre il Daspo urbano per chi si dimostra colpevole di questi attentati al decoro.

A seguito di questo regolamento privati cittadini ed associazioni hanno lanciato una campagna di protesta tramite manifesti come ad esempio “Essere poveri non è un crimine – No al Daspo Urbano” e si sono levate in alto le voci della sinistra tra le stanze del comune cagliaritano.

Ormai da tempo sicurezza e decoro sono diventate parole d’ordine per giustificare provvedimenti di controllo e repressione. Sulla scia della sicurezza le giunte comunali cagliaritane hanno implementato telecamere, polizia e controllo sul territorio. Sulla scia del decoro hanno notevolmente incentivato il processo di gentrificazione dei quartieri storici e l’attacco alle occupazioni abitative (lo stesso Pollastri ha definito le occupazioni come sinonimo di degrado), riservando attenzioni speciali ai turisti ed alla loro capacità di spesa alla faccia di chi vive la città ogni giorno e spesso in mezzo a mille difficoltà.

Il regolamento in questione pone indubbiamente un accento su una questione di classe e di divisione della città in aree tutelabili o meno in base al tipo di frequentazioni ed in base al profitto che queste generano. L’istituzione di “zone rosse” in cui alcuni comportamenti non saranno tollerati costruisce delle vetrine splendenti in cui turisti e borghesi, o aspiranti tali, possono trovare il loro spazio “safe” senza il fastidio di dover vedere che la povertà esiste, indirizzandoli verso un tipo di economia di bar e ristorantini che ormai coprono la gran parte del terreno calpestabile tra Marina, Stampace e parti di Villanova. Se poi aggiungiamo i “consigli” del sindaco sul non fare l’elemosina è evidente che una parte della popolazione non è gradita e deve essere allontanata o indirizzata alla catena capitalista dell’assistenza ,magari tramite la chiesa che ne detiene quasi il monopolio.

Mentre la sinistra ha invogliato la trasformazione del centro in un’attrazione per l’economia dell’intrattenimento alcolico per trentenni benestanti e della movida pseudo culturale, la destra ne raccoglie lo spunto ponendo però dei recinti al di fuori dei quali si diventa un problema. In quest’ottica affrontare la questione come una lotta del binomio destra-sinistra diventa riduttivo, dire che la povertà non è un crimine in realtà non pone il centro sulla questione vera e propria ma la devia verso un approccio di scontro tra la destra cattiva ed la sinistra buona che è quantomeno falso. La povertà è un aspetto inconfutabile di questo sistema economico, non a caso in tutte le capitali o nei maxi agglomerati urbani la presenza di senzatetto e indigenti è una costante in continuo aumento e non è raro vedere situazioni di disagio proprio a due passi dal centro imbellettato. Le destre e le sinistre hanno eguali responsabilità in questo aspetto, cambia solo l’approccio di una che li identifica come un problema da eliminare e l’altra che li vede come fanciulli da seguire, assistere e proteggere. Alzare la voce ora che si minaccia l’allargamento del Daspo urbano ai cosiddetti “barboni” non assolve dal fatto che il nostro stile di vita favorisce la divisione in classi, non ci assolve dall’essere parte di questo tipo di economia e ancora non ci assolve dal fatto che la povertà non solo esiste, ma aumenterà in maniera esponenziale se rifiuteremo di crearci anche piccoli spazi di autogestione a partire dai piccoli aspetti del quotidiano e ovviamente con tutte le nostre umane contraddizioni. La creazione di momenti di socialità diversa, la possibilità di creare solidarietà reciproca al di fuori dei percorsi fasulli dell’assistenzialismo, sviluppare delle forme di acquisto autorganizzate, piccole pratiche di azione diretta quando necessaria, sono alcuni dei passi che seppur con fatica si stanno muovendo e sono perfetto esempio di un modo diverso di vivere la città.
Porre ulteriori barriere e limiti come vorrebbero Sindaco e lacchè non crea altro che ulteriore disagio ed ulteriore divisione sociale.
Purtroppo questo regolamento è lo specchio della città e di come si sia evoluta, non possiamo assolverci dal passato e dall’esserci assuefatti a tutto questo, ma possiamo provare, nel nostro piccolo a spezzare questo meccanismo. Il vero degrado è l’abitudine di vivere diceva qualcuno.

J.