Non si parla d’altro. Televisioni, quotidiani, manifesti pubblicitari, social network: i no vax hanno guadagnato le prime pagine, confermandosi la vera novità di questa fase, la nuova categoria con cui è giusto prendersela in ogni stagione. Effettivamente qualcuno dovrà pur assumersi la colpa di ciò che sta accadendo.

Ma facciamo un passo indietro.

Fin dall’inizio della pandemia lo Stato, tramite i suoi persuasivi (e pervasivi) canali d’informazione, ha posto il concetto di responsabilità al centro dei suoi discorsi. Responsabilità nei confronti di una comunità, la cui salute sembra dipendere dagli atteggiamenti individuali dei cittadini e che, guarda caso, non differisce dal rispetto di quelle che stanno divenendo vere e proprie leggi, sotto forma di obblighi. Inizialmente, prima della comparsa del vaccino, la responsabilità consisteva nel “non uscire di casa” per motivi che non fossero validi – in una valutazione della validità che coincideva con alcuni interessi economici: sì al lavoro in fabbrica, no alla passeggiata al parco, in montagna o al mare. Responsabilità che acquisiva valore laddove diveniva vera e propria delazione, in un clima di caccia all’untore in cui il controllo reciproco veniva stimolato in chiave poliziesca.

Ma veniamo ad oggi.
Attualmente stiamo assistendo ad una vera e propria gendarmerizzazione della società.
In che senso?
La novità concreta che il green pass ha introdotto mi sembra legata non tanto ad una stretta nel controllo sociale in salsa tecnologica bensì al fatto che ad assumersi la responsabilità del controllo non sia lo Stato, o almeno non solo. Il passaporto sanitario, che in parole povere significa dover avere sempre con sé un codice QR in tasca per poter usufruire degli spazi sociali, è indubbiamente uno strumento per tracciare e controllare in maniera più fitta gli abitanti di questo mondo, ma non è questa una novità – non per chi ha già deciso di avere in tasca uno smartphone, una carta d’identità elettronica, uno Spid e così via. È, piuttosto, una novità non di poco per chi ha un bar, per chi ha una bottega, un circolo, un negozietto qualsiasi. Per la prima volta viene chiesto, o meglio imposto, ad una fetta di popolazione di controllarne un’altra fetta. E non si tratta di grossi proprietari o di guardie giurate. Nelle scuole a dover scansionare il passaporto verde sono i bidelli, nei cinema sono i cassieri, nei bar sono i dipendenti e così via.
Questo tipo di controllo, che viene reso capillare, permette quindi allo Stato di scaricarsi di alcune responsabilità, trasferendo in basso l’onere di dover sorvegliare e di conseguenza di escludere.

Eppure, di tutto ciò non se ne parla, così come non si parla di tante altre responsabilità che lo Stato ha, ma che è riuscito a coprire con una messinscena di informazione orchestrata ad arte.
A cosa mi riferisco? Alla martellante ed incessante riproposizione dello scontro tra vaccinati e non vaccinati, in cui i primi vengono dipinti come paladini della sicurezza pubblica e i secondi come pericolosi criminali da perseguire. Sullo sfondo, intanto, sembrano sfumare gli argomenti a mio parere centrali in questa fase pandemica.

Mentre vaccinati e non vaccinati si scannano tra loro, lo Stato continua infatti a smantellare la sanità pubblica: in Sardegna la situazione è disastrosa. Al San Francesco di Nuoro i reparti fondamentali aprono e chiudono in continuazione in base alla disponibilità di personale e fuori dalla città non si trova un pronto soccorso attivo per decine di chilometri; a Desulo la guardia medica ha dovuto sospendere il servizio per indisponibilità del personale, così come quella di Aritzo; il punto nascite dell’ospedale di Lanusei è momentaneamente chiuso e nella struttura ci sono la metà dei medici di quelli previsti; al Cto di Iglesias mancano gli anestesisti e sono bloccate le operazioni chirurgiche; i Pronto Soccorso di Cagliari stanno collassando per carenza di personale e la lista non finisce qui. Tra il 2016 e il 2019, l’isola ha perso 103 medici ospedalieri e 102 medici di base a causa della lentezza burocratica nelle assunzioni (fonte: Indip).

Questi sono problemi concreti con i quali dobbiamo scontrarci e sui quali dobbiamo ragionare, senza dimenticare tutte le morti nelle corsie ospedaliere causate dalle carenze strutturali dovute ad anni di tagli e privatizzazioni nel settore. Tutte questioni di cui lo Stato è responsabile, sotto forma di ministri, presidenti della Regione, assessori e tecnici vari. Dimenticarsi di ciò che è accaduto e cadere nel tranello della lotta tra vaccinati e non, sarebbe un errore imperdonabile, che pagheremo con un conto salato alla prossima pandemia o alla prossima emergenza sanitaria.

Occuparsi della questione vuol dire avere cura del luogo in cui si vive. Vuol dire pretendere, con ogni mezzo necessario, che i medici vengano assunti e che i finanziamenti vengano dirottati sulle strutture ospedaliere pubbliche – e non private, così come non investiti in spese militari, energie rinnovabili e nocività varie. Vuol dire porsi il problema, nelle comunità in cui è possibile, di come autogestire la questione sanitaria, consapevoli che, specialmente nelle periferie, le istituzioni non muoveranno un dito e che si fa prima a fare da soli. Non si può pensare di affrontare e ridurre l’argomento ad un solo piano: la situazione delle metropoli o dei contesti urbanizzati è lontana anni luce dalla condizione delle piccole comunità dell’entroterra. Qualcuno ha già iniziato ad organizzarsi: nella zona del Nuorese negli ultimi mesi sono stati numerosissimi i presidi, permanenti o provvisori, per protestare contro lo smantellamento del nosocomio cittadino e dei presidi sanitari minori. A Novembre diecimila persone hanno manifestato nel capoluogo provinciale. Piccoli esempi – ma neanche troppo piccoli per i tempi che corrono – di occasioni per incontrarsi, discutere ed organizzarsi.

Occuparsi dei problemi del proprio territorio vuole dire rifiutare la propaganda di regime, senza farsi ammaliare da teorie complottiste o senza impantanarsi nelle prese di posizione dallo sguardo corto. Credere che bastino tre punture per dimenticarsi della pandemia e fare come se nulla fosse, è tanto miope quanto credere che non vaccinarsi sia di per sé una scelta rivoluzionaria. Allo stesso tempo vaccinarsi non vuol dire necessariamente essere complici e schiavi delle multinazionali farmaceutiche.

Che sia utile o meno – e questo non sono un medico né un esperto per poterlo dire – il vaccino è indubbiamente una toppa di breve durata, un provvedimento dalle gambe corte, uno strumento che serve a chi governa per mostrarsi buono e caritatevole. Non ci si può permettere di campare di vaccini: alla prossima emergenza sanitaria cosa accadrà se le strutture ospedaliere rimangono in questa condizione?

Non dimentichiamoci ciò che è accaduto, non dimentichiamoci di chi è la colpa.

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