Ieri dopo più di tre mesi di preparazione è arrivato il nostro giorno, il giorno che abbiamo scelto per rispondere agli attacchi repressivi della procura di Cagliari e per dare concretezza al rilancio delle lotte che dopo anni di difficoltà e anni di pandemia sembra finalmente affacciarsi.
Avevamo spolverato ricordi e tenaglie già il 1° novembre a Teulada, ieri siamo riusciti a bissare, e anzi a fare molto di più.
Nonostante i grandi dispositivi a disposizione delle questure isolane, quest’autunno non possiamo proprio lamentarci, due ingressi in zona militare su due cortei.
Che ieri sarebbe stata una lunga giornata lo sapevamo.
Il corteo a Capo Frasca è iniziato all’alba con un presidio nei pressi del cancello d’ingresso alla base.
Una trentina di persone ha montato un gazebo e imbastito una colazione, da lì a poco le pantomime poliziesche non si sono fatte attendere. Un gruppo di Digos, preso in contropiede da una presenza così mattutina, si è avvicinato sostenendo che la via autorizzata al corteo fosse una fantomatica inesistente: via Mar Lonio, e che dovessimo quindi andarcene.
Il presidio è rimasto lì, determinato ad attendere i pullman e tutto il corteo nonostante la poco efficace ma pressante diplomazia dei questurini.
Nel frattempo decine di sbirri di tutti i corpi e tutti i colori giungevano più o meno alla spicciolata all’interno del poligono militare, idrante ed elicottero compresi. In tutto tra militari e sbirri vari saranno stati qualche centinaio.
Alle undici e trenta circa il concentramento ha preso forma, e poco dopo anche il corteo, composto da circa 400 persone, partiva cercando di raggiungere il presidio – che nel frattempo era stato isolato da cordoni di sbirri e dalla laguna –  ma il dispiegamento di forze dell’ordine, decisamente imponente, ha sconsigliato che il tentativo prendesse forma e dopo un po’ di slogan e promesse di rivedersi, lo striscione ha fatto dietrofront scegliendo di prendere in contropiede il dispositivo sbirresco dirigendosi verso Pistis.
Superata l’ora di pranzo, il cielo terso era finalmente accompagnato da un piacevolissimo tepore autunnale, il corteo dopo circa un chilometro di strada asfaltata ha girato in una fangosa stradina di campagna alla cui fine sono finalmente apparse le reti.
Che avremo invaso il poligono lo avevamo dichiarato e così, mentre anche i compagni precedentemente bloccati al presidio riuscivano a raggiungere la manifestazione, tanti piedi affondavano nel fango con il cuore determinato e nelle mani le tenaglie facevano cadere decine di metri di rete permettendo un nuovo ingresso di massa dentro il poligono, alla faccia di sbirri e militari.
Mentre decine e decine di mani operose abbattevano le recinzioni militari è riapparso il fastidioso rumore dell’elicottero – misteriosamente scomparso in precedenza – in lontananza sono apparse le camionette e poi i caschi della celere, che insicuri di un attacco frontale in campo aperto hanno fatto partire un fitto lancio di lacrimogeni al quale è seguito un ben più fitto lancio di pietre, necessario a far finire i tagli e a permettere un agevole rientro verso la strada asfaltata, dove il corteo si è ben ricompattato e con il tramonto alle spalle è tornato verso i bus. Ancora una volta l’ostinazione di compagne e compagni ha prevalso. Con le pive nel sacco gli sbirri hanno preso atto di non servire a granché e nel frattempo qualcuno in questura di starà ancora chiedendo dove sia via Mar Lonio, noi di contro, sappiamo dove sta il nostro cuore, oltre le reti e contro i militari.

Voi basi, noi pietre, la storia si ripete.

Qui di seguito alcune foto della giornata:

Lo striscione d’apertura

Il taglio delle reti

L’invasione nel poligono

La polizia che difende le reti