Pubblichiamo qui di seguito un articolo uscito sul numero 6 della rivista Nurkuntra. In questi giorni in cui si parla tanto dei pestaggi di Santa Maria Capua Vetere è utile ricordare che questi casi non sono “isolati” né opera di “mele marce”. I pestaggi e le angherie delle guardie fanno parte della quotidianità carceraria, così come quotidiane sono le violenze, dirette o indirette, che i detenuti subiscono. Ritorniamo quindi indietro agli anni duemila per non dimenticare il duro pestaggio che ci fu nel carcere di Sassari e anche per ricordare i vari modi con i quali qualcuno cercò di farla pagare alle guardie.

ricordo che uno di questi doveva tenere una mela con la nuca pressata sul muro, mentre qualcuno gli strappava i peli del pube, se la faceva cadere lo massacravano di colpi ma naturalmente la mela cadeva puntuale e allora giù con i colpi.”

Da una lettere di un detenuto del carcere di San Sebastiano

Era il 3 aprile di vent’anni fa, il carcere era quello di Sassari, San Sebastiano, ora chiuso. Quel giorno si consumò un pestaggio violentissimo ai danni di una buona parte dei prigionieri, così pesante da essere chiamato il “pestaggio di San Sebastiano”. Una tale violenza fu “causata” da una protesta avvenuta nei giorni precedenti in risposta a uno sciopero dei direttori dei penitenziari, che aveva avuto la conseguenza di lasciare i prigionieri in condizioni di invivibilità. Dai racconti si è ricostruito che il tutto fu programmato, infatti furono le guardie stesse a incitare il giorno precedente i prigionieri a farsi sentire, a protestare per quanto stava accadendo. Sempre dalle ricostruzioni si può intuire che un ruolo importante in questa vicenda fu ricoperto dal comandante delle guardie Ettore Tomassi che poco prima di far iniziare la mattanza si rivolse così ai prigionieri: “Io sono il vostro Dio. In quindici giorni diventerete come degli agnellini. Il lager in confronto è un paradiso: qui comincia l’inferno”. Dopo di che diede l’ordine a trenta agenti – fatti arrivare appositamente con la scusa di gestire dei trasferimenti di prigionieri problematici – di dare una lezione esemplare a una parte dei detenuti. Il pestaggio fu terribile, i prigionieri vennero picchiati selvaggiamente, torturati, buttati giù per le scale, umiliati in ogni modo possibile, tutti gli oggetti nelle celle furono distrutti, ai risparmiati dalle botte fu imposto il silenzio con la minaccia di subire un trattamento anche peggiore di quello a cui stavano assistendo qualora avessero aperto bocca.

Probabilmente – visto ciò che accadde dopo – la situazione sfuggì di mano, fu un miracolo che tutti riuscirono a salvarsi. I giorni dopo con delle scuse vennero annullati i colloqui, per evitare che i parenti potessero vedere i loro cari nelle condizioni in cui erano stati ridotti. Questa mossa però non fu sufficiente, dopo una settimana lividi e fratture erano ancora assai evidenti sui corpi dei prigionieri. Scatto così la denuncia pubblica e legale dell’accaduto. Il 20 aprile fu organizzata dalle madri dei detenuti una fiaccolata a Sassari. Il 3 Maggio, un mese esatto dopo il pestaggio, il tribunale di Sassari emanò l’ordine di 82 custodie cautelari (21 arrestati 61 ai domiciliari) a danno di altrettanti appartenenti al corpo della polizia penitenziaria. Alcuni pensarono che giustizia era fatta. Lo Stato invece diede conferma di non voler e non poter condannare se stesso. Infatti il processo fu una grande farsa, tempi biblici, prescrizione, assoluzioni e qualche condanna di risarcimento danni, furono le sentenze emesse; nonostante le indagini fossero partite con parole forti dei pm sul pericolo di inquinamento delle prove, sulla gravità dell’accaduto e con le già citate misure cautelari.

Per non dimenticare e per non rischiare di trovarsi in situazioni spiacevoli con chi partecipò al pestaggio, questi sono i nomi di chi addirittura chiese il rimborso per ingiusta detenzione: Paolo Abis di Tempio Pausania, Antonio Maria Andria di Sassari, Giovanni Ara di Alghero, Sergio Aresu di Tempio Pausania, Serafino Caboni di Alghero, Mario Bichiri di Olmedo, Pier Vincenzo Scioni di Usini, Pietro Sanna di Olbia, Giovanni Pinna di Uri, Tommaso Pais di Padria, Diego Floris di Sindia, Bruno Fois di Alghero, Francesco Mura di Cossoine, Antonio Ortu di Alghero, Giovanni Pinna di Arbus, Antonio Cannas di Porto Torres, Salvatore Chirra di Alghero, Sergio Castellaccio di Alghero, Mario Derudas di Olmedo, Giuseppe Spanu di Ittiri e Gian Pietro Vargiu di Lanusei (le carte processuali si trovano su internet sul Dossier San Sebastiano).

Senza dimenticarsi il capo delle guardie, Ettore Tomassi, che nei racconti viene descritto così: “indossava uno spolverino bianco e si era messo in piedi sopra un tavolo dell’aula dei colloqui a urlare per incitare le guardie al pestaggio, e a noi detenuti diceva: sono il vostro dio!”.

A distanza di vent’anni le cose non sono cambiate, anzi, forse sono peggiorate.

A inizio marzo dopo la diffusione di una circolare del DAP che sospendeva i colloqui per il contenimento del Covid-19 in circa trenta carceri sono scoppiate violentissime rivolte.

L’esasperazione accumulata in anni di soprusi e condizioni inaccettabili ha fatto saltare il tappo tutto in una volta, a macchia d’olio le rivolte hanno distrutto intere sezioni, fatto milioni di euro di danni e ricordato ai secondini che ogni tanto la violenza torna al mittente.

Il carcere di Modena è stato dichiarato inagibile, e ora è chiuso.

A Foggia c’è stata un’evasione di massa di sessanta detenuti, più altre evasioni minori sparse qua e la.

Alla fine delle rivolte il conto per i rivoltosi è stato salatissimo. 15 morti.

Non si ricorda quasi, l’ultima volta che in Europa una rivolta nelle carceri avesse avuto un così alto numero di morti. I giornali hanno dichiarato che sono tutti deceduti per overdose da medicinali, non vale nemmeno la pena di commentare, visto che trattandosi per la maggior parte di maghrebbini nessuno ha visto i corpi e nessuno li vedrà mai. L’ennesima strage di Stato.

Dopo due giorni tutti hanno smesso di parlarne, così come nessuno ha più parlato dei colpi di pistola distintamente uditi dai parenti accorsi fuori dalle mura del carcere di Modena a rivolta in corso.

L’Iran che non ha certo fama di essere un paese “democratico” ha mandato agli arresti domiciliari 85.000 prigionieri, anche il regime turco di Erdogan ha mandato a casa migliaia di detenuti.

Lo Stato italiano invece – di fronte a sovraffollamento e epidemia – ha solo accelerato le pratiche di alcuni che erano già pronti a uscire, ma nella sostanza non fa nulla, anzi mette in atto piccole manovre dal senso incomprensibile. A Uta da poco è stata svuotata un’intera sezione ridistribuendo i prigionieri nelle altre già stracolme, creando un sovraffollamento inutile e assurdo delle celle, dove ora si ritrovano in 4 in 15mq di cui 10-12 calpestabili. Se qualcuno si stupisce basta ricordarsi in quale silenzio assordane è passato il DL sicurezza “di Salvini” tremendamente maleodorante di fascismo, o il trattamento riservato agli stranieri nelle altre carceri dello Stato italiano, i CPR.

Lo Stato anche nell’emergenza si mostra nella sua faccia più dura, prima Salvini ora Lamorgese, Bonafede è il trait d’union, dalle loro parole (vi ricordate il “dovrà marcire in galera fino alla fine dei suoi giorni”?) emerge cosa debba rappresentare il carcere per la popolazione, dev’essere paura, terrore, deterrenza. In carcere non si paga la sentenza cui si è stati condannati, si paga molto di più, e chi ci passa se ne accorge: ho commesso un reato! Sto scontando la mia pena! il carcere dovrebbe darmi la possibilità di capire che una volta fuori da queste mura dovrei vivere lavorando per poter avere un futuro! Ma se il carcere è vendetta e non giustizia! Se il carcere è repressione e non reinserimento! Se i primi a commettere reati sono coloro che si nascondono dietro le false istituzioni create da uno stato corrotto e imperialista! Che cosa diventerò quando finirò di scontare la mia pena… ?!” da un’altra lettera sul pestaggio di San Sebastiano.

Se il passato e il presente sono foschi, ricordiamoci di alcuni rari raggi di luce.

Tratti da “La Nuova Sardegna”.

Sabato 15 Aprile 2000 – S. Annibale

“forze dell’ordine ancora nel mirino degli attentatori in Ogliastra. Stavolta è stato preso di mira un sovrintendente della polizia penitenziaria del carcere di San Daniele a Lanusei. Davanti alla casa di Brunello Lecca, 40 anni, ad Ilbono. È stato collocato un rudimentale ordigno esplosivo innescato con una miccia, composto da più di un chilo di gelatina. E’ stata una delle figlie del sovrintendente a scoprire l’ordigno. Lecca ha pi denunciato l’accaduto ai carabinieri che hanno rimosso l’ordigno.”

Lunedì 17 aprile 2000 – S. Torquato

“Una bomba inesplosa, è stata trovata nella tarda notte nel parcheggio della rotonda a Tempio, dopo che la polizia era stata avvertita da una sedicente associazione dei detenuti di San Sebastiano. Per agire gli attentatori avevano scelto l’unico punto non controllato, un angolo del parcheggio non coperto dalle telecamere a circuito chiuso. La bomba confezionata con circa un chilo di gelatina e munita di detonatore collegato con due metri di miccia a lenta combustione, era sistemata sotto uno dei furgoni della polizia penitenziaria che era parcheggiato dotto il muro di cinta del reclusorio gallurese”.

Domenica 14 aprile 2000 – Sassari

“Poco prima della mezzanotte c’è stato un attentato contro l’auto di un agente di un agente di custodia che è stata data alle fiamme. Il veicolo era parcheggiato nel centro storico in via delle Muraglie. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco per spegnere le fiamme.”

Domenica 14 aprile 2000 – Sassari

“Volevano fare sul serio. E’ l’unica certezza in mano agli investigatori che stanno cercando di smascherare gli attentatori che alle prima ore di domenica hanno fatto saltare il portoncino d’ingresso della casa di un agente di polizia giudiziaria. Pietro Mura, di 35 anni, è uno degli agenti del San Sebastiano finiti agli arresti domiciliari per i pestaggi del 3 aprile. Da 19 anni in servizio nei penitenziari, l’assistente capo Pietro Mura è infatti uno dei 75 agenti accusati di aver procurato lesioni gravi ai detenuti del carcere di Sassari. Misteriosa lettera arrivata in questura a Oristano confermerebbe l’ipotesi della vendetta.”