Da Marzo sino ad oggi il modo in cui affrontiamo la quotidianità è cambiato e tante delle azioni che prima facevamo di persona son state trasferite su delle piattaforme digitali. Per due lunghi mesi il tempo libero e il divertimento son stati mediati quasi solamente dalla tecnologia (per chi ne era in possesso) e la passeggiata con gli amici è diventata, senza troppo rumore, una videochiamata di gruppo.

La scuola si è adeguata a questo stato di cose, lasciando solo chi non riusciva a stare al passo, non cercando soluzioni diverse da quella imposta come l’unica possibilità. Son stati numerosi i problemi degli ultimi sei mesi relativi all’istruzione: la qualità dell’apprendimento e dei rapporti sociali, la mancanza di strumentazione adeguata, l’esclusione di chiunque non avesse le condizioni adatte a seguire le lezioni.

Più di tutte salta all’attenzione la solitudine, una solitudine generalizzata nei mesi di chiusura totale, che non si è risolta con l’apertura di Maggio e anzi è sfociata, tra i più giovani e non solo, nella dipendenza da strumenti elettronici, mostrando proprio tra le fasce più giovani l’assenza di prospettive alternative. L’istituto superiore di Sanità ha segnalato un aumento di stress, ansia e sintomi depressivi che hanno investito persone di tutte le età, compresi i bambini che si approcciano ai primi anni scolastici.

Le lezioni a Settembre son ripartite, tra mascherine e distanze di sicurezza, regole ridicole simili a quelle in atto nei ristoranti per mantenere una facciata di tutela della salute, mentre le corse dei mezzi pubblici son diminuite e continuano ad essere stipate di studenti e lavoratori.

La scorsa settimana una protesta studentesca ha animato le strade di Cagliari chiedendo più mezzi pubblici per poter andare a scuola in sicurezza. La mancanza di mezzi adeguati non è nata negli ultimi mesi, anzi è presente da svariati anni. Al di là delle misure utili per il contenimento del contagio e della richiesta che esse vengano attuate con severità, fino ad ora non ci son state soluzioni alternative per mettere al primo posto la vita delle persone considerando la necessità delle relazioni fisiche, senza uno schermo. Chi vive la scuola non è ancora riuscito a bloccare lo smantellamento dell’istruzione che in questi mesi è stato messo in atto con una velocità allarmante.

L’Università di Cagliari ha colto al balzo il Dpcm datato 24 ottobre spostando tutte le lezioni online, nonostante la maggior parte degli studenti fossero già in questa condizione. Infatti sin dalle prime settimane di ottobre la linea della rettrice è stata quella di favorire la didattica a distanza, imponendo regole assurde e difficilmente rispettabili, per cui la scelta studentesca è stata fortemente dettata da questo disagio. Le lezioni online non presentano minori criticità, non fosse altro che spesso è impossibile seguirle per intero a causa dei problemi tecnici, mentre le tasse universitarie restano invariate.

A questo si aggiunge la mancanza di uno scambio diretto con il professore che può ostacolare notevolmente l’apprendimento, l’inesistenza di un rapporto con i colleghi, arrivando all’assurdo per cui molte matricole potrebbero non conoscere nemmeno il volto delle persone con cui fanno lezione ogni giorno.

Le biblioteche possono essere frequentate solo su prenotazione attraverso un’app e con regole ferree. Come se non bastasse il proliferare di applicazioni, a inizio ottobre, prima ancora che si sapesse come sarebbe andato il semestre, è arrivata a tutti gli studenti una mail che invitava allo scaricamento della famosa Immuni-app. Sembra che tutte le mancanze accumulate negli ultimi anni siano risolvibili con i nostri cellulari e di fatto le proposte delle associazioni studentesche, in corsa per le elezioni universitarie a Novembre, non fanno altro che cercare una conciliazione, tralasciando completamente le responsabilità di chi sta impedendo lo svolgersi normali delle lezioni.

Questo mese sono uscite le graduatorie per i posti alloggio: su 1006 domande erano 676 gli idonei non beneficiari, come si poteva immaginare dalla decisione presa a Giugno di trasformare tutte le stanze doppie in singole a cui vanno aggiunti i numerosi problemi strutturali delle case. Molti di questi hanno dovuto pagare un affitto che ora si rivela inutilmente dispendioso date le nuove disposizioni, bisogna aggiungere che molti studenti delle case non hanno una rete internet fissa perché spesso rotta o non abbastanza potente per tutte le lezioni online.

Tutto sembra significare che puoi avere accesso all’insegnamento universitario solo se paghi e hai un computer o un telefono in grado di supportare le piattaforme, con la conseguenza che l’apertura delle lezioni al pubblico non esiste più e l’istruzione diventa ancora più un lusso.

Suona normale alle orecchie di chi come noi si è abituato ai cambiamenti veloci, ai Dpcm dell’ultimo minuto, alla polizia che multava per una passeggiata, ma come si spiegano tutte queste misure se nemmeno i tirocini dei futuri medici e professionisti sanitari son stati fatti in presenza?

Come si può difendere un operato simile quando nella realtà nemmeno la formazione dei tanto decantati eroi è importante? Ora più di prima ciò che conta è il pezzo di carta della laurea per scappare da un’università a misura di cameretta in cui è difficile anche solo immaginare la creazione di nuovi rapporti. Le prime settimane di questo semestre sembrano voler dimostrare che la Del Zompo non ha adottato delle misure eccezionali, ma anzi ha imposto una nuova normalità.

Non serve pensare che prima o poi torneremo alla vita di un anno fa, la svolta verso un mondo a misura digitale è spinta anche dal governo in tutti gli altri settori per l’implementazione dello smart-working.

Accetteremo ancora queste contraddizioni per un’istruzione inesistente? Non aperta al pubblico, ma sempre più legata a dei fattori classisti, finalizzata alla produttività e passando anni di studio dietro a un computer.

Una parte di colpe di questa situazione va presa da noi studenti, non stiamo riuscendo a difendere un diritto che scivola via come se niente fosse.

Avremmo potuto fare qualcosa in questi mesi, ma quello che potremmo fare ora è ancora più importante: costruire dei modi per imparare e studiare assieme, per discutere, riprenderci gli spazi che ci son stati tolti e ciò che ci serve per studiare (le case dello studente, la mensa, le biblioteche) e non mediare i nostri rapporti con uno schermo.

Pång ràss