Sono passati esattamente sette anni, da una mattinata ventosa a metà della costa ovest.

Eravamo al poligono di Capo Frasca, 23 novembre 2016.

Solo un mese prima era finito l’infausto campeggio della Rete no basi né qui né altrove a Decimomannu/San Sperate, completamente militarizzato e neutralizzato dalla polizia, che dimostrava come stesse “finalmente “ prendendo le misure nei confronti delle pratiche messe in atto del movimento.

Il corteo del 23 novembre nasceva da volontà differenti, non facilmente sovrapponibili, ma che nonostante tutto riuscivano sempre – in quella fase – a trovare una quadra che rendesse possibile la partecipazione di tutto il movimento.

Uno sguardo in retrospettiva, forse, scorge in quel periodo una delle fasi di maggior maturità del movimento, per quanto riguarda le proprie potenzialità di coinvolgimento e azione.

L’organizzazione della giornata fu plurale, come usava fare in quella fase, lunghissime ed estenuanti assemblee alla ricerca della proposta che accontentasse tutti. Discussioni infinite sulla scelta del poligono, del giorno, dello slogan della chiamata.

Un’altra miriade di confronti a margine per organizzare logistica, trasporti, comunicazione esterna, presentazioni e via dicendo.

Decine di persone mobilitate in tutta la Sardegna.

Non ricordo sinceramente perché fu la scelta la data del 23, se ci fosse un motivo in particolare o se fosse solo una data che andava bene.

Capo Frasca fu scelta perché non vi si andava dal settembre 2014 e l’idea era di cercare di portare la mobilitazione in tutti i territori occupati dai poligoni (infatti nella primavera successiva si organizzò il corteo a Quirra del 28 aprile).

I mesi precedenti non erano stati particolarmente movimentati, due campeggi di fine estate (il primo di A’Foras a Lanusei e il già citato a Decimo/San Sperate) e poche altre iniziative.

La spinta conflittuale del movimento sembrava un po’ fiaccarsi nelle difficoltà delle ultime iniziative, in particolare nell’arrivare a tagliare le reti e entrare nei poligoni.

La giornata del 23 fu partecipata da circa 500 persone, forse di più, ben sei pullman dalle città più grandi e macchinate da po’ ovunque.

Prima del corteo ci fu un particolare siparietto con la questura di Cagliari, che riuscì a intercettare telematicamente un ordine di 50 kway da decathlon, successivamente l’intercettazione si concretizzò sulla ss131 a carico di una compagna che li stava trasportando verso Cagliari.

Disposto il sequestro la questura probabilmente pensò di aver messo un buon punto a segno, ma incredibilmente la richiesta di dissequestro avanzata dagli avvocati del movimento venne accolta e i kway tornarono indietro e furono consegnati a tutti coloro che li volevano al concentramento del corteo (di questo fatto parlarono diverse scritte murarie cagliaritane che la questura cercava inutilmente di cancellare. La più celebre fu: Questura, grazie per i k-way!)

La giornata era stata pensata per cercare di riprovare a fare un ingresso di massa dentro un poligono, sebbene quel giorno non fosse certo che ci fossero esercitazioni. La Rete no basi, a scanso di equivoci, si presentò al concentramento con un volantino intitolato: Oggi tagliamo le reti!

Il corteo riuscì a superare senza alcun intoppo il ponticello che conduce al cancello principale della base, la celere era schierata nei campi a destra e sinistra e ovviamente all’interno, assistita da decine di digos e militari, più l’immancabile elicottero.

Nella prima ora i manifestanti lentamente si sparpagliarono nei campi limitandosi a cori e battiture sui pali della recinzione, il passare del tempo aiutò a prender fiducia, a conoscere un po’ il territorio e a rendersi conto che la polizia si era schierata male e non sarebbe mai riuscita a controllare tutto il perimetro. Così un po’ all’improvviso iniziarono a comparire tronchesine e funi per tagliare e tirare le reti, i primi tentativi furono bloccati dagli sbirri ma in breve si moltiplicarono talmente tanto che dovettero arrendersi e contemporaneamente anche molti di quelli che erano rimasti al cancello iniziarono a prendere parte al taglio.

A quel punto entrò in scena il questore Rossi, che maniaco di protagonismo iniziò a comandare cariche qua e là, ottenendo di fatto solo un inasprirsi dello scontro che presto divenne campale, nel senso che la celere si schierò a difesa delle reti prendendosi una notevole dose di sassi lanciati da centinaia di persone.

Lo scontro durò diverso tempo, in quanto la questura era schierata veramente malissimo, fino a quando un cordone di sbirri non riuscì a schierarsi di fronte a dove saremmo dovuti passare per andare via, ma a quel punto la trattativa era impossibile, gli sbirri avevano fatto una figura di merda troppo grande e preso troppe pietre.

Ne seguirono violente cariche alla testa del corteo che si era ricomposto per andar via, difesa da uno striscione rinforzato. Furono lanciati lacrimogeni spazzati via dal maestrale.

Nella confusione per andar via tutti insieme dal prato il questore si prese pure un calcio nel culo, di cui fu fatta una memorabile GIF.

Il corteo riuscì a riportare tutti ai pullman e alle macchine, qualcuno acciaccato ma tutti sorridenti.

Alle spalle la recinzione sembrava una gruviera.

La lezione – dal punto di vista della strategia difensiva – di quel corteo la questura pare averla imparata, infatti nei cortei degli ultimi anni il ponticello non è mai stato più possibile superarlo, sebbene altri cortei come quello del dicembre 2021 hanno dimostrato che l’estensione enorme dei poligoni è anche una loro debolezza.

Indubbiamente la giornata del 23 novembre si colloca fra le più intense degli ultimi anni, non solo sul fronte della lotta alle basi, inserita a sua volta in uno dei periodi più vivi dal punto di vista della partecipazione in strada. Solo pochi giorni prima a Cagliari c’erano stati gli scontri in viale Diaz e l’irruzione alla Fiera in occasione della visita di Renzi e pochi dopo il celebre taglio delle reti “dal mare” sempre a Capo Frasca.

Il racconto si completa con due letture dei giorni immediatamente successivi: