Il 6 Dicembre si è tenuta la prima udienza del processo per l’Operazione Lince che vede imputate 39 persone che negli anni hanno lottato, insieme a tante altre, contro l’occupazione militare in Sardegna. Questo processo non deve spaventarci o disgregarci, ma farci tenere a mente quanto forte sia l’oppressione dello Stato italiano su questo territorio e su chi lotta per liberarlo.Riconosciamo quella contro le basi militari come parte di una lotta più ampia.Quello che la militarizzazione del territorio sardo ha portato è ciò che potremmo facilmente leggere come paradigma di altri sfruttamenti. Così come le basi militari sottraggono chilometri di terra e mare, rendendo i propri confini invalicabili, inquinando ai limiti dell’imbonificabile, imponendo alle persone che abitano questi luoghi una vita di ricatti e senza possibilità di autodeterminarsi, così fanno, ad esempio, la monocoltura turistica o i nuovi progetti “green” di transizione energetica.Allargando il nostro sguardo, ci rendiamo conto che, come un poligono sfrutta i nostri territori per preparare e poi esportare la guerra, così fa un campo fotovoltaico installato per estrarre energia da consumare altrove per difendere il profitto dei soliti padroni. Queste diverse forme di sfruttamento non solo creano inquinamento e devastazione ambientale che minacciano la nostra salute, in più alterano il rapporto tra persone e territorio, impedendoci di scegliere come viverlo. Crediamo che queste imposizioni siano tutte figlie di uno stesso sistema che vede nella Sardegna un territorio subalterno dove collocare discariche, industrie e cemento sulle coste, scelte “necessarie” al mantenimento del presunto benessere di quelle aree dove si concentra il profitto.La Sardegna è sempre più costellata di strutture volte a esportare ricchezza altrove : ci sembra quindi evidente che questo sfruttamento sia di stampo coloniale, che sia strutturale e sia il filo conduttore delle diverse forme di oppressione contro cui ci troveremo a lottare. Le nostre lotte non dovrebbero quindi esaurirsi nella semplice opposizione a singole realtà o specifici progetti, ma anzi esprimersi nella costruzione di una prospettiva comune di autodeterminazione.Se il 19 Dicembre è giusto trovarci a Capo Frasca per tagliare le reti e disturbare l’attività militare, domani vorremmo difendere insieme i terreni delle comunità minacciate dalla costruzione di un campo eolico o ancora impedire le colate di cemento sulle nostre coste per il turismo. Con queste pratiche vorremmo trovare insieme le forze per immaginare, progettare e lottare per la liberazione della nostra terra da questo sistema di devastazione.

Ci vediamo il 19 dicembre a Capo Frasca

Kontra is sfruttadoris e is meris torraus arestis

Sardinnia Aresti