Noi non perdiamo tempo!

Due udienze sono state rinviate, ma lo Stato non dimentica, a volte è solamente un po’ distratto. Repressione e controllo anche in tempo di covid non si fermano.

Lo sa bene chi ha partecipato alle due principali lotte che nell’ultimo decennio hanno movimentato la Sardegna: la lotta antimilitarista e quella dei pastori.

Tra il 2014 e il 2017 la lotta contro l’occupazione militare della Sardegna ha raggiunto il suo picco, sia nel coinvolgimento popolare che nell’incisività dei momenti di rottura. Numerose iniziative, cortei, presidi, campeggi, sabotaggi, blocchi delle esercitazioni, hanno attraversato l’isola in lungo e in largo spesso creando dei reali danni all’apparato militare. Per questo motivo lo Stato adesso cerca di far pagare il conto a chi si è esposto di più in quei momenti. A Settembre del 2019 è stata notificata a 45 attivisti la chiusura indagini dell’Operazione Lince (centinaia di reati e migliaia di pagine di faldone), il processo inizierà il 27 Gennaio 2021. Cinque di loro sono stati accusati di associazione sovversiva con finalità di terrorismo e a loro carico pende una richiesta di sorveglianza speciale di 3 anni.

La protesta dei pastori è durata meno nel tempo, ma per un mese intero l’isola è stata travolta con una intensità rara di questi tempi. Nel giro di pochi giorni, a partire dagli inizi di Febbraio 2019 migliaia di persone bloccavano le principali strade sarde sversando a terra il loro latte e distruggendo tutti i prodotti derivati che venivano trovati nei mezzi di trasporto della grande e piccola distribuzione. La quantità di iniziative fu enorme, dai blocchi ai sabotaggi, passando per numerosissimi momenti di solidarietà che hanno mostrato quanto le attività agropastorali siano radicate nelle comunità. Poco prima il governo Salvini-Di Maio aveva emesso il “Decreto Sicurezza” che, tra le altre cose, aumentava le condanne nei confronti di chi organizza e partecipa ai blocchi stradali. Questa è la più diffusa imputazione rivolta verso le persone che in quei giorni sono scese in strada al fianco dei pastori, parliamo di un migliaio di denunce.

Ma perché parlare adesso di questi due fatti?

Ad inizio Ottobre, precisamente il 6 e il 12, si sarebbero dovute svolgere due importanti udienze legate a questi cicli di lotte. Il 6 Ottobre, presso il Tribunale di Cagliari, si sarebbe dovuta svolgere l’udienza per la sorveglianza speciale nei confronti dei cinque antimilitaristi, ma a causa di una mancata notifica l’udienza è stata rinviata al 17 Gennaio. Il 12 ottobre invece, presso il Tribunale di Nuoro, sarebbe dovuto partire il processo a quattro pastori accusati di aver partecipato al blocco del bivio di Lula, significativo per la durata (una ventina di ore) e per la partecipazione (si parla di duemila persone), ma l’ udienza è stata rinviata a causa della chiusura del tribunale in seguito ad un caso di Covid-19.

Quando si tratta di lotte o momenti di rottura che intaccano degli interessi così importanti, come le basi militari o il profitto degli industriali caseari, lo Stato mette in campo tutti i suoi mezzi. Perché? La questione non è strettamente pratica – i danni provocati dalle lotte sopracitate non sono comunque abbastanza ingenti per pensare di produrre un cambiamento radicale – bensì politica e sociale. Lo Stato non può permettersi che una parte della popolazione si metta di traverso ai suoi progetti, men che meno può permettere ad una minoranza “ribelle” o semplicemente dissidente di varcare la soglia della legalità senza pagarne le conseguenze.

Inoltre la repressione è un monito, non solo per chi viene colpito, ma anche per chi è solidale. Cercando di colpire alcuni lo Stato cerca di spaventare tutti coloro che sono o potrebbero essere complici della causa incriminata.

Detto ciò, dal momento che denunce, multe, perquisizioni e arresti sono sempre più frequenti, dovremo iniziare ad affrontare la repressione non come una sfiga che “potrebbe capitare” bensì come un momento integrato ad ogni ciclo di lotta. Entrare nell’ottica che è indifferente chi viene colpito e rendere reale il motto “si parte e si torna insieme” vuol dire proprio questo: non lasciare solo chi incappa nelle maglie repressive e stargli accanto proprio come lo si è stati nei momenti di lotta, per le strade e davanti alle reti. No lassai nishunu a solu davanti ai banchi dei tribunali è il miglior modo per continuare a lottare, creando una coscienza collettiva capace di non cedere davanti alle ondate repressive. Una coscienza basata sulla consapevolezza che la repressione arriverà sempre, ma che farà meno paura se la si affronta tutti assieme.

Questo potrebbe essere un proposito di riflessione rispetto a come porsi nel prossimo futuro davanti a queste due ondate repressive che potrebbero sembrare distanti ma che sono unite se si pensa al ricatto che subisce la Sardegna sia in termini di occupazione militare che di sfruttamento del lavoro.

E sono unite se ad accomunarle è un sentimento di liberazione legato al posto in cui si vive: liberarsi dei militari non è tanto diverso dal liberarsi dal Pinna o Podda di turno che impongono un prezzo del latte che produce solo sfruttamento.

Riuscire a non lasciare soli gli imputati oggi è il miglior modo per creare una buona base di partenza per i cicli di lotta che partiranno domani. Non lo dobbiamo solo a chi ha lottato al nostro fianco, ma anche a chi lotterà in futuro.

B.L.