Ecco come un sistema legalizza la distruzione del mare e di chi lo abita

Qualche settimana fa nell’Adriatico è stata effettuata quella che qualcuno ha osato definire una “pesca miracolosa”, in una sola notte sono state pescate ben due tonnellate di palombi.

Il palombo è uno squalo non pericoloso per l’uomo, distribuito in tutto il Mediterraneo e in buona parte dell’Atlantico orientale, lo si può incontrare dai dieci ai seicento metri. E’ un animale schivo, difficile da vedere che predilige la tranquillità delle grandi profondità.

Il fatto in questione rappresenta una delle classiche assurdità insostenibili di questo sistema, un prelievo di questa entità mette in pericolo l’esistenza dell’intera specie in tutto l’Adriatico, non solo perché la maggior parte dei palombi pescati non era ancora arrivato alla fase riproduttiva, ma anche perché probabilmente è stata distrutta una nursery (ossia una buca profonda dove migliaia di piccoli palombi crescono prima di affrontare la vita solitaria in mare aperto) che potrebbe essere una delle ultime se non l’ultima di tutto l’Adriatico, che di per se è già un mare sofferente e gravemente impoverito.

Come è potuta avvenire questa strage?

Con lo strascico, cioè l’uso di reti che raschiano il fondo del mare portandosi via tutto quello che trovano, arando letteralmente il fondale e distruggendolo. Il danno di questo tipo di pesca è doppio se non triplo, non vi è infatti soltanto il prelievo di enormi quantità di flora e fauna marina, ma anche la compromissione dei fondali dove questo è avvenuto, che quindi diventano praticamente sterili.

Lo strascico che molti ingenuamente credono sia un metodo di pesca fuorilegge è invece diffusissimo nei nostri mari, ma non è l’unico mezzo di distruzione di massa del pesce, il suo degno collega sono le reti da circuizione. Questi due metodi negli ultimi decenni sono diventati delle vere e proprie macchine della morte, con l’avvento di supporti tecnologici e meccanici sempre più avanzati e economici, i sistemi di pesca si sono dotati di attrezzatura quali sonar e trasduttori che fino a pochi decenni fa erano solo ad uso e consumo dei militari.

Con queste attrezzature è possibile individuare i branchi di pesce con assoluta precisione, e capire quindi dove e quando disporre le reti, che in un caso raschiano il fondo mentre nel caso del cianciolo (rete da circuizione) creano una gabbia di reti che poi vengono issate a bordo attraverso l’ausilio di potentissimi argani in grado di sollevare tonnellate e tonnellate di pesce.

La pesca miracolosa dei palombi celebrata dai quotidiani del centro Italia – che per gli armatori vale svariate migliaia di euro in una sola notte – non è certo la prima, due anni fa una pescata simile fu fatta in Liguria, migliaia e migliaia di orate furono pescate in una sola notte nel pieno del periodo riproduttivo, quando si avvicinano a riva e si raggruppano per deporre e fecondare le uova.

Come tante di queste vicende che ci circondano anche questa è caratterizzata dal nefasto senso di impotenza in cui ci lascia, il fatto che la legislazione permetta questo tipo di pesca è solo uno dei problemi, ma è ovvio che non ci si può accontentare di implorare un divieto, anche perché sappiamo bene che finirebbe con il celebre: fatta la legge trovato l’inganno.

E inoltre non ci interessa chiedere nulla allo Stato che non può che essere nemico, vista il suo funzionamento e la sua natura.

Quello da cui partire è una presa di coscienza che diventi l’inizio di un percorso di messa in discussione di tutto ciò che rende necessario e possibile questo tipo di attività.

Non sembrano sufficienti le risposte che propongono come via il veganesimo visto che come pratica non riesce a diventare pratica di attacco, così come sembrano troppo sterili forme di boicottaggio economico.

Non è facile dunque individuare delle pratiche incisive, e ancor meno renderle concrete, ma non possiamo per questo smettere di cercarle e mi sembra che la conoscenza sia il primo passo per trovarle.