Riceviamo e pubblichiamo un contributo da una partecipante dell’assemblea contro il carcere e la repressione Kontra Is Presonis Nishunu est Solu.

“Ci è arrivata notizia della censura imposta dal direttore del carcere di Uta, a un detenuto in contatto con alcuni partecipanti della campagna Nishunu est solu.

Le motivazioni date dalla direzione sembrano proprio essere quelle dei contatti via lettera, che questa persona mantiene con “anarchici e organizzatori dei presidi sotto il carcere”. Ancora non abbiamo potuto leggere le carte e le motivazioni ufficiali della direzione, per cui dobbiamo accontentarci di quello che è stato detto all’avvocato. Questa riflessione quindi parte dal presupposto che una delle motivazioni che ha pesato maggiormente fosse proprio il contatto con la nostra campagna Nishunu Est Solu, ma anche se non fosse così, penso che questi ragionamenti si possano applicare a casi più generali e futuri.

Poco tempo fa è stato affrontato il tema delle rappresaglie della direzione sui detenuti che sostengono la campagna o i presidi sotto Uta. Non è una novità questa scelta della direzione e fino ad ora è la prima punizione di cui veniamo a conoscenza le cui motivazioni rimandano alla campagna.

Questo può significare due cose, che potrebbe essere interessante analizzare anche per il futuro.

Se vengono limitati i contatti con un nostro compagno, nonché appoggio necessario della campagna, nei rapporti dentro il carcere, questo vuol dire che forse ci stiamo avvicinando a toccare qualche punto dolente. In questi mesi siamo riusciti a intercettare qualche testimonianza delle violenze e prepotenze che avvengono là dentro, abbiamo cercato di darne diffusione. Cerchiamo di incontrare i parenti e gli amici di chi è rinchiuso, per sapere cosa succede dentro, denunciarlo e lottare assieme. Vogliamo che il carcere diventi un problema collettivo, in un periodo in cui i parenti non abbracciano i loro cari da mesi, dietro un plexiglass.

La campagna porta con sé però dei rischi e che avevamo tenuto in conto sin da subito, oltre quelli delle denunce e repressione varia, proprio per le azioni in sostegno alla campagna, chi potrebbe pagare il prezzo più salato son ovviamente i detenuti. Possiamo in parte caricarci di questo problema, cercando di essere seri e responsabili in tutte le azioni che facciamo, cercando di dare il nostro totale appoggio a chi si trova a combattere contro la galera, sia dentro che fuori. Non dobbiamo risparmiarci, sapendo che dentro qualcuno paga per molto poco.

Deve essere il nostro impegno, ma ricordando che le guardie e la direzione fanno sempre il bello e il cattivo tempo, non dipende solamente da noi e dalla nostra campagna. Anzi proprio la campagna o qualunque modalità che riesca a unire tutte quelle persone che si vivono il carcere direttamente o indirettamente, può andare in direzione contraria e fare sì che qualcosa inizi a muoversi, che chi comanda dentro non sia così tranquillo a cambiare le regole a suo piacimento, a proibire questo o quell’altro, a nascondere i pestaggi o gli abusi vari.

La scelta della direzione va a danneggiare profondamente una persona che grazie alle lettere trova un continuo scambio con chi è fuori, a rimarcare la solitudine a cui già è costretto, come tanti altri. Questo merita una giusta risposta, qualcosa che possa contrapporsi agli umori della direzione e soprattutto ci permette di riflettere sulla colpevolizzazione di chi lotta.

Questo è il punto centrale, su cui dobbiamo insistere, non è colpa di chi lotta se succedono queste cose, non bisogna cadere nei giochini della direzione e dei secondini. Loro che son così esperti nel distinguere i buoni dai cattivi, sempre pronti a separare le persone che potrebbero costituire una minaccia. Non possiamo farci intimorire e anzi questo può sottolineare che stiamo iniziando a percorrere una via interessante, lo dimostra quanto diamo fastidio e tutto quello che fanno per dissuaderci dal continuare.

Solidali a Paolo, cercheremo di stargli ancora più vicini.”

K.