A seguito dell’attacco a Israele del 7 ottobre che per la prima volta ha fatto assaggiare la libertà a migliaia di palestinesi, milioni di persone nel mondo si sono mobilitate per sostenere quello che era tutti gli effetti un atto di resistenza e che sin da subito è stato represso brutalmente da Israele attuando un vero e proprio genocidio che oggi conta 20.000 morti.

La connivenza occidentale con lo stato sionista si è mostrata in varie declinazioni, dalla vendita di armamenti fino ad arrivare a una narrazione filosionista e razzista verso la lotta palestinese. Tra le altre modalità di collaborazione e riconoscimento di Israele, sono centrali gli accordi di collaborazione tra università italiane e israeliane, sia nell’ambito della ricerca che in quello militare.

Le mobilitazioni contro gli accordi universitari sono vive da molti anni, ma da due mesi hanno ripreso vigore in numerosi paesi, tra cui ovviamente anche l’Italia.

A Cagliari si sono susseguiti negli anni coordinamenti, assemblee e mobilitazioni molto intense che univano la lotta contro le basi militari a quella contro Israele.

Negli ultimi mesi vari studenti hanno deciso di riprendere la modalità della mozione che richiede al Rettore e agli organi universitari di esprimersi sul genocidio in atto, per l’interruzione e il disinvestimento di qualunque tipologia di accordo con le università israeliane, nonché per un cessate il fuoco immediato e duraturo.

Gli studenti attraverso la lettera sono riusciti a lanciare una vera e propria campagna, che aveva tra i fini il divulgare la lettera e la raccolta delle firme, ma soprattutto il riprendere a parlare della complicità universitaria con il sionismo e il militarismo.

La partecipazione è cresciuto con il proseguire delle settimane e si è notato durante i vari volantinaggi un forte interesse sull’argomento, nonché una grande curiosità.

Approfittando della chiamata dei Giovani Palestinesi d’Italia per una mobilitazione nazionale nelle università il 29 novembre, in cui si promuoveva un disturbo delle lezioni, la presentazione della mozione agli organi universitari e le proteste nei rettorati, il gruppo di Cagliari ha deciso di occupare per riprendersi degli spazi di discussione e informazione, impossibili da avere altrimenti. La ripresa degli spazi ha voluto anche sottolineare come l’occupazione, seppur breve, possa essere un gesto forte contro le politiche di connivenza universitarie. Erano passati molti anni da un occupazione largamente condivisa e vissuta dagli studenti, con degli spazi informativi, in cui era possibile per i palestinesi avere una voce pubblica, negata dal dibattito mainstream.

Questa necessità informativa si era sentita tra i partecipanti all’assemblea, che si era chiamata da quel momento Unica per la Palestina, ed è stata riscontrata anche da chi vive l’università, con una grande e inaspettata partecipazione ai dibattiti.

L’esperienza di occupazione, che ha coinvolto più di quanto era avvenuto negli anni passati, ha portato alla necessità di presentare pubblicamente agli organi universitari la lettera, perché si esprimano sulle richieste.

Questo è avvenuto il 19 dicembre con un sit-in sotto il rettorato che pretendeva che il Rettore e il Senato Accademico (riunitosi quel giorno) si pronunciassero sulle richieste di cessazione degli accordi e boicottaggio presentate nella lettera. Il Rettore ha deciso di accettare la richiesta di scendere fuori dal rettorato per confrontarsi con gli studenti presenti e ha mostrato alcune posizioni cautamente aperte verso le richieste, mentre ha chiaramente affermato che non saranno fatti altri accordi con le università israeliane. Non è così importante che queste affermazioni siano vere o meno, quanto il fatto che è possibile far prendere al rettore la responsabilità di quello che ha detto, per la prima volta senza scontrarsi con un muro di silenzio, come invece accadde ai tempi della Del Zompo. Il sit-in era solo un primo passo per fare pressioni agli organi universitari per una presa di posizione chiara e netta e non finisce sicuramente grazie a vaghe rassicurazioni.

L’occupazione è riuscita a coinvolgere nell’organizzazione e nella partecipazione persone eterogenee per età ed esperienza. Dato che questo non avveniva da un po’ di tempo, a memoria di chi scrive, è stata una buona occasione per cercare di approfondire un po’ di più cosa ha mosso alcuni e alcune studenti all’avvicinarsi al tema. Un’intervista sembrava la maniera più corretta di lasciare a loro la parola.

Cosa ti ha portato ad avvicinarti al gruppo di studenti solidali alla Palestina?

P. -Ho iniziato ad interessarmi della questione palestinese già qualche anno fa, e quando sono venuto a studiare a Cagliari ho trovato un’iniziativa della quale condividevo in toto i principi, e ciò mi ha reso piuttosto semplice avvicinarmi alla causa.

M. – Monica Minardi, presidente di Medici senza Frontiere Italia, esprime lo scempio compiuto sul popolo e sulla terra Palestinese con delle parole che risuonano nei cuori di tutti noi: “L’umanità è morta a Gaza, assieme ai bambini”. La storia della persecuzione del popolo palestinese e della devastazione della sua terra, non inizia il 7 ottobre. Va avanti da almeno 75 anni. Quello che Israele sta attuando ora è solo il piano finale di un progetto di genocidio lento che prevede l’ annientamento del popolo palestinese, e insieme ad esso, delle speranze, dei sogni e della libertà del mondo intero.

Nel momento in cui permettiamo la vittoria della violenza incondizionata,  non siamo più vivi.

Non siamo disposti ad accettare il silenzio delle nostre istituzioni universitarie, che continuano a portare avanti i loro accordi con le università israeliane.

Non vogliamo che i fondi che dovrebbero essere destinati all’istruzione e alla sanità vengano utilizzati per finanziare il militarismo.

Vogliamo che l’università si prenda cura dei suoi studenti e smetta di prenderli in giro. Vogliamo prenderci gli spazi che ci sono stati negati  e smettere di venir considerati numeri, meri pezzi di una catena di montaggio rivolta al profitto.

Non vogliamo far parte di uno stato che continua a essere complice di un genocidio e che maltratta anche i propri cittadini.

Nel comitato UnicaperlaPalestina, ho trovato una comunità. Ho trovato uno spazio che di rispetto, gentilezza e umanità. Siamo un grido di libertà, di resistenza, perché il mondo smetta di essere un teatro degli orrori.

E. – Ero vicina alla causa Palestinese anche prima di conoscere il gruppo ma non avevo mai avuto la possibilità di parlarne con miei coetanei e soprattutto non avevo mai avuto l’occasione di partecipare ad azioni solidali alla causa. La scoperta di questo collettivo mi ha portato a conoscere degli studenti che condividono il mio stesso interesse e a comprendere che, unendo le forze, è la questione palestinese può essere portata all’interno dell’Università.

Avevi già esperienza di partecipazioni a proteste simili (per la Palestina, contro la guerra, contro le basi militari o altro)? Se sì quali?

P. – Sì, ho già avuto occasione di partecipare ad altre proteste, principalmente per il diritto allo studio, quando ero alle scuole superiori.

M. – La causa antimilitarista mi sta a cuore da tempo e ho partecipato ad alcune manifestazioni contro le basi militari in Sardegna, ma di fronte all’orrore che i palestinesi stanno vivendo, ho sentito il bisogno di attivarmi con più costanza. L’obbiettivo è di continuare con questa lotta a lungo termine, perché non si smetta mai di parlare di Palestina.

E. – No, questa è stata la prima esperienza.

Come ti è sembrato l’esperienza dell’occupazione? Era la prima volta?

P. – È stata la mia prima esperienza, e tutto sommato ritengo sia stata ottima da diversi punti di vista, soprattutto per un fatto di crescita personale ma anche perché ha dato più risonanza a delle importantissime richieste studentesche.

M.Sì era la prima volta. Sono soddisfatta dell’occupazione e ringrazio di cuore tutte le persone che hanno partecipato. Son state giornate ricche di incontri, momenti di condivisione, di riflessione, e anche di svago. Spero sia solo l’inizio di un percorso per riprenderci i nostri spazi in università.

E. – Era la prima volta che partecipavo ad un’occupazione e credo che sia stato un evento molto bello, importante e ben organizzato all’interno dell’università.

Ritieni sia stata utile o inutile l’occupazione e perché?

P. – L’occupazione non è stata sicuramente inutile: abbiamo raggiunto più persone, creato un’ambiente sociale di crescita e ci siamo legittimamente ripresi degli spazi che appartengono a noi studenti.

M. – Da tempo non si organizzava un’occupazione presso l’università degli studi di Cagliari, e dopo l’introduzione di ulteriori restrizioni legate al covid, sembrava quasi impossibile realizzarne una.  Abbiamo fatto sentire la nostra voce, chiedendo che l’università si occupi dei nostri bisogni non solo materiali, ma anche umani.  Abbiamo dimostrato agli studenti che è possibile e doveroso prenderci i nostri spazi all’università e utilizzarli per crescere intellettualmente e umanamente; questa è stata la più grande conquista.

E.Ritengo che sia stata molto utile perché ha dato a me e ad altri studenti, la possibilità di partecipare ad eventi informativi sulla causa molto interessanti che hanno contribuito a darmi maggiore consapevolezza di ciò che sta accadendo in Palestina. Inoltre ritengo che sia stata molto importante la creazione di momenti di dibattito, svago e socializzazione che hanno consentito agli studenti di riprendersi il loro spazio all’interno dell’università.

Ritieni che le istanze della solidarietà internazionale possano avvicinare altri studenti e perché?

P. – Penso che sicuramente un’iniziativa del genere potrebbe toccare qualcuno nel profondo, nonostante il sentimento generale di indifferenza che, purtroppo, aleggia anche in mezzo ai giovani. Ma, nel momento in cui si fa leva sull’etica e la morale, è anche vero che c’è più possibilità di avvicinare altre persone. Quindi sì, ritengo che con un lavoro di costruzione della coscienza di classe si possa arrivare a molte persone.

M. – Credo possano farlo e lo stiano già facendo. In quasi ogni angolo del mondo, le persone stanno scendendo in piazza e si stanno attivando per una Palestina libera. È emozionante, è coinvolgente, ti fa sentire meno impotente e parte di una forza rivoluzionaria inarrestabile. Credo che questa forza stia coinvolgendo sempre più studenti. Chiedono che in università si parli di Palestina e chiedono chiarezza da parte dell’istituzione accademica.

E.Sì, ritengo che in un mondo studentesco come il nostro, caratterizzato sempre più dal multiculturalismo, le istanze di solidarietà internazionali possano suscitare interesse negli studenti e spingerli ad avvicinarsi al movimento.

Qua invece riportiamo una risposta più ampia che rispondeva a tutte le domande e abbiamo ritenuto giusto non modificare o spezzare.

  1. -Mi sono avvicinata al gruppo di studenti solidali alla Palestina per varie ragioni. Penso innanzitutto che a livello personale chiunque sensibile alla questione sia messo alla prova davanti alle notizie che arrivano ogni giorno da Gaza e dalla Cisgiordania con ciò che si portano dietro, la propaganda, il silenzio quasi totale delle istituzioni globali. Sicuri del nostro privilegio, è facile che in noi che seguiamo la vicenda dall’esterno si facciano strada il sentirsi impotenti e l’assuefazione, perciò ho trovato questa iniziativa di studenti necessaria per andare contro tutto questo e non ho esitato a farne parte. L’occupazione è stata un’esperienza positiva, tra l’altro la prima per me, un’ occasione di dibattito e condivisione umana che, seppure siamo portati a dimenticarcene, dovrebbe essere centrale nella vita universitaria. Penso che l’iniziativa del gruppo possa contribuire a colmare questo vuoto, a ricreare un senso di comunità e uno spazio sicuro per tutti gli studenti che vorranno farne parte, propositivo, in cui sentirci meno soli e estranei nel manifestare solidarietà e supporto alla Palestina, condannare Israele e le sue azioni violente e di annientamento totale di un popolo, e dare un segnale alla nostra Università chiedendo che come istituzione faccia lo stesso.