nel mondo incerto in cui viviamo, l’industria della difesa è una solida garanzia di innovazione e di posti di lavoro. E’ una fonte di rilancio economico e un investimento per le generazioni future. E’ quindi necessario fare in modo che questo settore continui a mantenere e accrescere la sua rilevanza tecnologica e commerciale. […] Per garantire una leva strategica per l’economia nazionale”.

Defence news – 11 gennaio 2021 – intervista a Lorenzo Guerini, ministro della Difesa dei governi Draghi e Conte II, attualmente deputato PD.

Noi siamo Liberu e siamo, diciamo, il partito della sinistra indipendentista sarda e io sono la segretaria nazionale. […] noi abbiamo aperto il dialogo a tutti, ponendo al centro la questione sarda che ha la sua unica fonte nella mancanza di potere di autogoverno dei sardi.”

Presentazione della coalizione campo largo in cui sono inclusi PD e Liberu, 7 luglio 2023, Giulia Lai, segretaria di Liberu.

In queste settimane tiene banco la notizia dell’entrata nel cosiddetto campo largo della sinistra, di Liberu in vista delle prossime elezioni regionali.

La notizia in sé potrebbe non stupire a chi ha sufficiente memoria per ricordarsi i vari balletti di alleanze imbarazzanti di alcuni figuri del presunto indipendentismo di sinistra anche solo nell’ultimo quindicennio, ma a nostro avviso vale comunque la pena provare a condividere alcuni ragionamenti.

Disamine tecniche sono già state fatte con dovizia di fonti, notizie e citazioni, necessarie a ricordare quale sia stata la politica del PD negli ultimi anni, e su questo non ci soffermeremo più di tanto (a tal proposito forse il lavoro più preciso è: https://www.reportsardegna24.it/le-opinioni/sinistra-indipendentista-o-lubrificante-coloniale/)

A nostro avviso è più importante esprimersi nei termini della miseria arrivista che si nasconde dietro questa scelta in un momento storico in cui i venti di liberazione nazionale soffiano forti in alcune regioni europee emanando interessanti suggestioni e concreti esempi, di vie da provare a percorrere per il rilancio di un lotta di liberazione sarda, che di certo non può partire dalle urne.

La vicina Corsica ci ha mostrato l’anno scorso che i risultati elettorali valgono fino a un certo punto, che gli eletti sono tali solo se riconosciuti da un popolo, e non solo da una votazione. Gilles Simeoni, Felix Bendetti, Jean Guy Talamoni hanno respirato le nubi dei lacrimogeni e non hanno preso le distanze né dalle molotov, né dai sassi, né dalle sigle clandestine, certo, non dichiarano che quella sia l’unica via, ma non possono non riconoscere la necessità e il ruolo di una molteplicità di pratiche che rappresenta l’eterogeneità di un popolo e di un sentimento come quello nazionale che non avrebbe alcun senso provare a incasellare in poche parole, emozioni o caratteri (e qui da noi in Sardegna questo è più vero che mai).

Questo veloce e superficiale esempio corso viene proposto perché quest’alleanza arriva proprio nel momento in cui in Sardegna nascono numerosi comitati di difesa del territorio (nei quali la spinta identitaria è sempre molto palesata) contro la speculazione energetica (di cui il PD è responsabile per aver sottoscritto durante il governo Draghi il Dpcm Energia che permette gli espropri dei terreni), ed è proprio in questi luoghi che avremmo immaginato di incontrare i militanti del “partito della sinistra indipendentista sarda”, invece lo ritroviamo nel campo largo proposto dal PD. E una.

Parliamo di questa alleanza perché nell’ultimo decennio ha ripreso vigore – e a tratti ampia partecipazione popolare – la lotta contro l’occupazione militare della Sardegna, una lotta che si oppone a una delle forme più esplicite e violente del colonialismo italiano e NATO, e che include, insieme a molte altre, le istanze indipendentiste.

Questa lotta ha il merito di aver evocato in modo forte e chiaro un’esperienza di liberazione dall’oppressione, dai momenti in cui le mani tagliano le reti e i corpi riprendono per poco tempo possesso dei territori espropriati, ai momenti in cui nelle assemblee i giovani sardi e sarde si avvicinano al movimento prendendo coscienza di questa e altre oppressioni, tenendo viva la lotta ora nel futuro.

Anche qui ci aspetteremmo di trovare i militanti di un partito come Liberu, e invece sono impegnati a trovare accordi col partito di Guerini, che sui giovani la pensa così: “l’industria della difesa è una solida garanzia di innovazione e di posti di lavoro. E’ una fonte di rilancio economico e un investimento per le generazioni future.”. E due.

Parliamo di questa imbarazzante strategia di entrismo nelle stanze del potere, perché siamo stufi di vedere che appena delle persone si “sentono” minimamente inserite in qualche ambito di lotta o solidarietà (la segretaria Giulia Lai è anche uno degli avvocati dell’associazione Libertade) credano di poter fare qualcosa di buono per un noi che hanno appena tradito e con cui non si sono confrontati: “arginare il governo di chi, fino a ieri si definiva sardista, ma si è alleato con i peggiori fascisti italiani “.

Probabilmente non c’è davvero nessuno che arriva a credere che sarà Liberu, alleato col PD, a fermare la deriva di fascistizzazione della società attraverso delle elezioni.

Crediamo che sia più condivisa e sentita una progettualità dal basso di partecipazione e condivisione che tolga le basi culturali al fascismo, attraverso le lotte, la solidarietà e la presenza nel territorio sardo. E tre.

Siamo allibiti infine perché il PD è il partito più forcaiolo che i governi degli ultimi anni abbiano conosciuto, il partito più violento contro le lotte sociali e territoriali, e sarebbe interessante sapere come pensano le menti di Liberu che una lotta di liberazione nazionale possa essere vinta senza infrangere le leggi del nemico da cui ci si vuole liberare. La lotta contro l’occupazione militare della Sardegna ha mostrato che non appena si toccano livelli di efficacia lo Stato italiano scomoda operazioni, denunce, misure di prevenzione e enormi dispiegamenti di uomini e energie.

Forse ci ricordiamo male noi, ma non ci sembra che nel 2019 alla chiusura dell’operazione Lince, il PD abbia dato solidarietà ai 45 imputati, tutt’ora sotto processo.

La conclusione, a nostro avviso, è che le parole pubbliche che Liberu sta spendendo per provare a rispondere alle critiche ricevute non bastano minimamente a motivare la scelta, che alle chiacchiere da bar, alle logiche familistiche non siamo interessati, un dibattito politico serio non si può muovere su quei binari.

Quello che è sicuro è che Liberu si sta giocando la sua presenza nelle situazioni di lotta dal basso, speriamo dunque che abbiano la decenza di non farci più vedere le loro bandiere nei cortei o nei presidi.

E’ altrettanto evidente che sia morta anche la proposta indipendentista di questo partito, in quanto non ci sembra davvero che fra tutti quelli che sognano – seppur confusamente – una lotta di liberazione ci sia spazio per il PD e i suoi amici.

Non si stupiranno quindi i dirigenti di Liberu se verranno emarginati dai confronti e allontanati dalle piazze, d’altronde: chi è causa del suo mal pianga se stesso.

Ed è ora che un certo buonismo, che perdona tutto troppo in fretta venga accantonato, perché queste scelte politiche tagliano le gambe alle lotte sociali, provano a indirizzare il malcontento sociale verso i presunti schemi democratici elettorali, distruggono proposte dal potenziale rivoluzionario come l’indipendentismo e danno un’aria nuova a partiti che difendono da sempre gli interessi dei padroni.