Abbiamo pensato di pubblicare questo articolo perché riprende l’emotività della situazione in cui si colloca la vicenda di Alfredo Cospito. Una vicenda che,nonostante sia attenzionata dalle cronache, non perde il suo essere assurda e specchio di una giustizia che giusta non lo è mai stata. La vicenda Cospito è, per assurdo, un’escamotage per ribadire la forza vendicativa dello Stato verso chi non si piega e per dimostrare che quella vendetta travalica i confini siano essi fisici come la continua caccia dei rivoluzionari protagonisti della lotta armata da un lato all’altro del globo, o teorici come sono quei limiti che i tribunali superano con facilità quando si tratta di giustizia, quella vera però, quella “uguale per tutti” ,quella in cui basterebbe anche il buonsenso. Ma che buonsenso ci può essere in chi ha creato un regime come quello del 41bis, tomba nelle tombe o che preferisce la morte di decine di detenuti pur di non ammettere il torto di perpetuare le carceri come fine ultimo della punizione? Alfredo Cospito ha il merito di portare avanti una lotta con determinazione e coraggio, a noi andrebbe il compito di non fermarci al compagno, all’anarchico, al detenuto ma di andare oltre e vedere quelle sbarre come un confine da abbattere e superare per chiunque sia rinchiuso al suo interno.

Cospito, la strage e la smisuratezza della giustizia

Di Adriano Sofri

Provo a riassumere. L’anarchico Alfredo Cospito è in carcere. Ha 55 anni. Era stato condannato a 10 anni e 8 mesi nel 2014, perché dichiarato responsabile di aver ferito alle gambe l’amministratore dell’Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, nel 2012. E’ stato accusato inoltre di aver collocato due pacchi esplosivi “a basso potenziale” nel sito della Scuola per allievi carabinieri di Fossano (Cuneo), nel giugno 2006, dunque più di 16 anni fa. Si è riconosciuto che si trattasse di un atto dimostrativo, senza intenzione, e senza l’effetto, di nuocere all’incolumità di alcuno. Cospito ha trascorso 6 anni di carcere nel regime detto di Alta Sicurezza, che prevede forti restrizioni sia al modo della detenzione che alle possibilità di una sua attenuazione attraverso l’accesso a permessi e misure alternative. Nello scorso aprile, l’Alta Sicurezza è sembrata inadeguata alla Giustizia che ha disposto di sottoporre Cospito al regime del 41 bis, la misura introdotta dagli anni ’80 per impedire agli affiliati alle mafie di intrattenere rapporti con l’esterno: misura presentata come provvisoria e divenuta permanente, e sempre discussa per la sua incostituzionalità e per la gratuità di vessazioni slegate dalla sicurezza, che la accostano a un regime di tortura. Cospito non è un mafioso, naturalmente, ma un anarchico, secondo la sua rivendicazione: l’estensione del 41 bis implica l’assimilazione dei rapporti fra militanti anarchici ai rapporti fra affiliati alla criminalità organizzata. Da ottobre Cospito, recluso a Sassari, digiuna contro il 41 bis, quello che personalmente subisce e quello che vige nell’ordinamento italiano. Come “capo di un’organizzazione terroristica” – quella dell’attentato dimostrativo di Fossano – Cospito è stato condannato ad altri venti anni di carcere nei due gradi di giudizio. Fino a che, nello scorso luglio, la Cassazione ha giocato al rialzo estremo, trasformando il reato in quello di “strage contro la personalità interna dello Stato”, e nella pena corrispondente, la pena senza scampo: l’ergastolo “ostativo”, che esclude in perpetuo ogni possibile attenuazione. La condanna a morte dilazionata, anch’essa misura voluta come provvisoria e legata all’emergenza, e divenuta abitudinaria e distrattamente ordinaria nell’ergastolo italiano. A questo punto Cospito ha smesso di essere una persona, un detenuto, un condannato, e si è mutato in un caso di mostruosità non solo giudiziaria ma umana e clinica. Si dichiara una strage aggravata di fronte a un attentato dimostrativo che non voleva fare vittime e non ha scalfito una sola vittima. Cospito poteva tornare a essere una persona solo decidendo di destinare il proprio corpo a una morte non dilazionata secondo la regola del Fine-pena-mai. Il suo è uno sciopero della fame duro, che l’ha già portato in una condizione allarmante. In apparenza, due oltranzismi si fronteggiano: il rincaro della “giustizia”, che è anonimo o è come se lo fosse, è un macchinario, assicurato dell’irresponsabilità personale, e la volontà di andare “fino in fondo” del detenuto. Tutti vedono, non possono non vedere, che non c’è niente di simmetrico nelle due oltranze. L’altroieri un tribunale di sorveglianza ha respinto il ricorso di Cospito contro il 41 bis, pressoché automaticamente, il vecchio caro automatismo del governatore di Giudea. Intanto, con una fessura di resipiscenza, la corte d’assise d’appello torinese che giudica Cospito e una sua coimputata, ha deciso di rinviare alla Corte Costituzionale il giudizio sulla compatibilità fra l’ergastolo ostativo e l’esclusione di attenuanti, e un “fatto di lieve entità” come quello addebitato a Cospito.
Si è appreso giorni fa che Cospito “non può tenere in cella le foto dei genitori defunti in quanto viene richiesto il riconoscimento formale della loro identità da parte del sindaco del paese d’origine”. E’ strano immaginare che per esserne scandalizzati bisogni simpatizzare per l’anarcoinsurrezionalismo. E ancora più strano che la solidarietà con la ribellione di Cospito spetti agli anarcoinsurrezionalisti, qualunque cosa voglia dire.
E’ probabile che la fame di Cospito arrivi molto prima della sentenza della Consulta. Ho provato a riassumere. Non provo nemmeno a commentare: non si può commentare la smisuratezza. La giustizia è smisurata e si compiace di esserlo, i suoi amministratori hanno nomi e cognomi ma non li indossano, bastano le uniformi, sono esseri smisurati per irrazionalità e cattiveria. Il cielo li protegga. Hanno chiamato la loro indagine Scripta manent. I romani sapevano che Deus dementat quos perdere vult. Traduzione, aggiustata: Dio toglie il senno a coloro che muoiono dalla voglia di mandare in rovina il proprio prossimo.