Il 17 Agosto, un operaio di una ditta in subappalto di 42 anni cade dal pontile della Saras durante il lavoro e muore annegato.

La SARAS è una delle più grandi raffinerie europee con 15 milioni di tonnellate all’anno di prodotto.

Fondata nel 1962 dalla famiglia Moratti si è distinta come la più grande azienda sarda e nel settore petrolchimico tra le prime in Europa. I posti di lavoro, le risorse che l’azienda riversa nel territorio e il suo potere contrattuale hanno però un lato oscuro che dimostra ancora una volta che quell’oro, brillante e luccicante, è solo del banale metallo che di prezioso ha ben poco.

L’azienda si affida a società che lavorano in subappalto, sempre disponibili al ribasso per entrare nella grande mangiatoia che la Saras rappresenta. Giocare al ribasso per queste aziende significa lesinare su tutto ciò che il capitale ha da tempo identificato come sacrificabile : la forza lavoro.

Operai ed operaie sono le pedine con cui le aziende mettono in gioco i grandi capitali e come pedine sono pertanto sacrificabili sia dal punto di vista economico che dal punto di vista delle misure di sicurezza. La velocità di esecuzione degli interventi negli impianti sono una priorità per le ditte in subappalto e la sicurezza è troppo spesso una spesa scomoda che comporterebbe supervisione e attrezzature adeguate, maneggevoli e comode, per evitare che chi svolge il proprio lavoro rischi il meno possibile.

L’incidente che ha colpito tragicamente l’operaio di Santadi è solo l’ultimo ma non certamente il solo. Gli incidenti negli impianti industriali sono moltissimi e non tutti ribaltano agli orrori della cronaca ma restano ben chiusi all’interno delle mura di cinta delle fabbriche per evitare che si metta in discussione la produzione. Nel 2009 tre operai morirono in un silos della Saras non ancora del tutto bonificato sempre per la fretta di rimettere in moto un impianto, sempre per garantire il profitto.

In Sardegna da Gennaio sono 15 le morti sul lavoro, 463 sul territorio dello stato.

Queste morti, il loro perpetuarsi in uno stillicidio annuale rappresentano la facciata reale del lavoro, il capitalismo non accetta interruzioni alla produzione e il profitto, per i padroni è molto più importante della vita dei lavoratori siano operai o studenti in alternanza scuola lavoro. I grandi sindacati ribadiscono sempre gli stessi proclami sulla sicurezza per poi fare in modo che nulla cambi e nel frattempo tanti lavoratori e tante lavoratrici muoiono.

Purtroppo è triste constatare che dopo queste morti nulla cambia, la rabbia lascia spazio alla rassegnazione dietro il ricatto del lavoro e le aziende continuano ad incassare mentre porgono al telefono le condoglianze alle famiglie.

Il padre di Stefano Nonnis, l’operaio caduto ed annegato, in un’intervista ha detto che sarebbe dovuto morire lui al posto del figlio. Noi sappiamo che su quel pontile ci sarebbe dovuto essere qualcun altro che ora siede in giacca e cravatta e conta il denaro accumulato sulle spalle dell’ennesimo operaio morto.