All’alba del 19 Luglio alle porte di alcuni sindacalisti dei Si Cobas e dell’USB, associazioni sindacali di base, bussano le forze dell’ordine. La procura di Piacenza ha aperto un’inchiesta per associazione a delinquere per violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, sabotaggio e interruzione di pubblico servizio, l’indagine si concentra sugli scioperi della logistica tra il 2014 e il 2021.

Ai domiciliari sono finiti 4 appartenenti ai Si Cobas: Aldo Milani, coordinatore nazionale,Mohamed Arafat, Carlo Pallavicini e Bruno Scagnelli oltre a due appartenenti all’USB a cui si aggiungono altre due persone con obblighi di dimora e di firma.

L’utilizzo dell’associazione a delinquere come mezzo di attacco della repressione ormai è all’ordine del giorno. La possibilità per le procure di costruire un reato associativo con LE annesse pene più gravi, si sta rilevando una pratica che attraversa trasversalmente i tribunali dello stivale e delle isola. La costruzione delle cosiddette associazioni a delinquere (o terroristiche) consente di inserirvi diversi reati anche di natura diversa che consentono così agli inquirenti di ipotizzare delle strutture nelle strutture, degli “inner circle” in cui per il tornaconto personale di alcuni si costruirebbero dei piani delittuosi, nella pratica per le procure attraverso il solito discorso delle “mele marce” si attaccano in realtà le strutture stesse.

Il parallelismo tra le dichiarazioni dei questurini sull’inchiesta “Frari” che ha colpito il gruppo ultras cagliaritano degli Sconvolts ‘87 e le dichiarazioni per l’inchiesta sulle sigle sindacali potrebbero tranquillamente essere sovrapposte “non sovrapporre sindacati ed indagati”, “non è un attacco ai tifosi o al tifo ma ad alcuni”. Risulta però inevitabile ragionare sull’abitudine sempre più consolidata per la repressione di mettere in discussione e screditare delle realtà il cui agire risulta quantomeno “scomodo”, per aspetti decisamente diversi, ma che comunque vengono colpite attraverso la responsabilità costruita in capo a pochi per educarne e screditarne tanti.

La costruzione dei reati di cui vengono accusati i sindacalisti è stato un percorso agevolato dalle politiche di attacco alla possibilità di organizzazione e lotta dei lavoratori. I picchetti e i blocchi stradali ad esempio, l’interruzione dei servizi di pubblica utilità per protestare sono stati nel tempo resi penalmente sempre più gravi con il silenzio imbarazzante dei sindacati confederati che anche in questo caso dichiarano flebilmente “è necessario fare chiarezza”. Ricordiamo l’emblematico caso del pacchetto sicurezza varato dal Ministero dell’Interno durante la stagione Salvini che prevede fino a 12 anni per il reato di blocco stradale, un decreto voluto dai padroni e creato dallo Stato, che ha come unico obiettivo quello di reprimere chi lotta.

Le proteste contro la logistica sono state una risposta alle violenze di crumiri e padroni che, in alcuni casi non si sono certo fatti tanti scrupoli facendoci scappare il morto, ma in quel caso le assoluzioni sono state tempestive, tra padroni non si delinque evidentemente.

Le grandi aziende hanno evidentemente la necessità di essere lasciate in pace, la logistica diventa un tassello importante, anzi fondamentale nel muovere le merci e gli ostacoli vanno abbattuti come è successo al sindacalista Adil Belakhdim travolto durante una protesta contro le condizioni di lavoro della LIDL o come i lavoratori aggrediti da guardie private con bastoni e taser davanti alla FedEx di San Giuliano Milanese e questi solo per citarne alcuni.

La logistica è fondamentale dicevamo, le condizioni di lavoro no. Di fronte alla possibilità di profitto le aziende tagliano salari ed aumentano le ore di lavoro, i turni diventano massacranti e la sicurezza un’optional per i deboli di stomaco, così sindacalizzarsi in associazioni “scomode” diventa velatamente proibito come in un’azienda logistica di Genova in cui chi si affiliava ai Si Cobas veniva quantomeno mobbizzato o in alcuni casi umiliato pubblicamente, “meglio iscriversi alla CISL” consigliava il padrone.

La connivenza tra aziende e sindacati confederati con la complicità delle istituzioni risulta sempre più profonda trasformandosi in corporazioni di mussoliniana memoria e preparando così il terreno ad Un Autunno di agitazione sociale. Le conseguenze di pandemia e guerra si faranno sentire, l’attacco agli ammortizzatori sociali portato avanti da stampa e partiti padronali è un mezzo neanche tanto subdolo per ridurre lavoratori e lavoratrici a categorie sempre più ricattabili e di conseguenza sfruttabili per la prosperità dei “motori” dell’economia.

Che lo Stato stia mettendo le mani avanti per colpire chi sarà da ostacolo nell’immediato futuro ci sembra un’ipotesi purtroppo plausibile.

Ci resta per fortuna la possibilità di scegliere da che parte stare: sicuramente con gli sfruttati e mai con i padroni.

J.

Nota a margine della redazione:

purtroppo in questi ultimi anni abbiamo dovuto prendere l’abitudine di trattare fatti gravi come questo come fatti di cronaca, cioè soventi e a cui si fa appunto l’abitudine. In questa caldissima estate pare che nelle questure e nei tribunali faccia ancora più caldo, e la prova sono le chiusure di indagini che una dopo l’altra falcidiano gli sgangherati&resistenti movimenti sociali o chi in altre forme tenta di opporsi al sistema dominante.

I 28 anni di carcere a cui è stato condannato Juan – un anarchico accusato di aver commesso una strage mai avvenuta a una sede della lega in quanto nulla è mai esploso – sono un sintomo che non conviene lasciar perdere, in quanto uno stato che si può permettere una simile condanna, non ha più nulla di quello che costituzione o codice penale vorrebbero convincerci che ci tutela o ci garantisce. A scanso di equivoci nessuno vuole richiedere un miglioramento di leggi e ordinamenti, perché non crediamo sia in quelle scartoffie il miglioramento che desideriamo, quello che vorremmo è un risveglio collettivo dal torpore terrorizzato nel quale siamo caduti, convinti che se non facciamo nulla non ci possa accadere nulla ma così non è.

Le pieghe dell’economia schiacceranno tutti quelli che non sono ricchi e in tanti ci troveremo costretti a rubare al supermercato, a non pagare l’affitto, il treno o le bollette. Ci ritroveremo senza un lavoro che ci sfama e senza un ospedale che ci curi. In quel momento saremo contenti e più sicuri e sereni se affianco a noi ci saranno tante persone con le quali cercare con la lotta e l’autodeterminazione delle soluzioni. Saremo invece spacciati se saremo soli.

Ecco perché questi sintomi non dobbiamo far finta di non vederli e non sentirli anche se sembrano lontani, perché da oggi dobbiamo ritessere le fila di una solidarietà sociale di base, di classe e di lotta. Per difenderci da chi senza scrupoli ci sfrutta, massacra e imprigiona.