Pubblichiamo una nuova lettera arrivata alla campagna Nishunu est Solu dalla sezione femminile di Uta. La lettera è stata recapitata assieme ad un’altra che riporta una situazione carceraria esplosiva, non solamente per la diffusione dei contagi.
Questa lettera vuole affrontare il tema delle violenze di genere, dell’utilizzo del Codice Rosso e del ruolo della Giustizia statale in questi casi.
Riporta l’esperienza di vita di una detenuta e colpisce profondamente non solo per i fatti raccontati ma anche per la lucidità con cui è capace di analizzare un fatto privato e riportare la complessità che lo caratterizza, descrivendo una situazione comune a molte donne.
Diffondiamola!

Uta 10/02/2022

CODICE ROSSO… FEMMINICIDIO… MALTRATTAMENTI FAMILIARI, MA LA GIUSTIZIA DOVREBBE SOLO GIUDICARE O CAPIRE, ANALIZZARE E RIABILITARE?

A volte si pensa che le violenze familiari e i femminicidi siano dovute a matrimoni sbagliati, magari con extracomunitari rabbiosi, barbari o a mariti pericolosi o ancora a figli tossicodipendenti… Per me questi sono solo stereotipi sbagliati pericolosi, perché impediscono di capire o meglio comprendere le vere tragedie familiari o ciò che porta a scelte o vite sbagliate.

Quello che ho potuto analizzare da ciò che io stessa ho vissuto e sto vivendo è la violenza che vivi o hai vissuto all’interno della famiglia cosiddetta natale, che porta poi a tragici episodi. Ma a volte, anzi molto spesso, far emergere la violenza domestica in tutte le sue declinazioni è attività delicata quanto problematica, proprio perchè chi ne è vittima tende ad avere paura ed assecondare chi gli provoca violenza, nella convinzione che siano giustificate, soprattutto quando si è bambini e ancora di più se il carnefice fa parte della propria famiglia più stretta, come una madre o un fratello. Una lettera di Oriana Fallaci nel libro da lei scritto nel 1975 “Lettera di un bambino mai nato” dice:- “ Forse dovrei raccontarti un mondo di innocenza e felicità ma sarebbe come attirarti in un inganno, sarebbe come indurti a credere che la vita è un tappeto morbido sul quale si può camminare scalzi e non una strada di sassi, sassi contro cui si inciampa, si cade, ci si ferisce. Sassi contro cui bisogna proteggersi con scarpe di ferro, ma neanche questo basta, perché mentre proteggi i piedi c’è sempre qualcuno che raccoglie una pietra per tirartela in testa”.

Ecco! Penso che in queste righe si esprima che in certi casi ci vorrebbe un giudice che adempia a tre importanti condizioni: essere signore della storia, conoscere il segreto dei cuori e operare per la riconciliazione e non per la distruzione. Giustizia, vendetta, ragione, potere, rispetto… sono concetti che si intrecciano alla ricerca di in qualcosa che sembra avere le sembianze della tela di un ragno, in cui restano intrappolati solo alcuni e troppo piccoli insetti. Troppo pochi per riparare ai torti che la vita riserva alle persone.

Nella mitologia greca, la dea Temi, che era la dea della giustizia, teneva con la mano sinistra la spada e con la destra la bilancia. Con la bilancia soppesava il giusto e l’ingiusto; quasta bilancia ancora oggi è il riferimento primigenio dei giudici, per garantire un diritto “giusto”. Ma negli anni ha avuto dei cambiamenti in seguito ai mutamenti sociali, morali e di pensiero e tutto ha cominciato a cambiare. Una volta si guardavano solo i “diritti” ed erano diritti imposti dalla legge, cioè non vi erano posizioni diverse o valutazioni psichiche o morali. Nel tempo, poi, la dea Temi è stata rappresentata, in seguito a tali mutazioni, in due modi diversi. La prima rappresentazione venne scolpita a Roma con nella mano le tavole della legge, poi durante il regime fascista ci fu la seconda, rappresentata con nella mano uno scettro, come se evocasse il potere assoluto, quindi spada da una parte e scettro dall’altra. Ma il potere non è mai un valore assoluto e la legge dei codici, se applicata in modo incoerente o pregiudicante, quindi senza conoscere le radici genera “ingiustizia”; quell’ingiustizia intesa come violazione dei “diritti altrui”, siano essi sanciti dalla legge o semplicemente riconosciuti dalla ragione e dalla morale del proprio contesto sociale e familiare.

La famiglia è caratterizzata da affetti tanto positivi quanto negativi, ma quando quello che dovrebbe essere ambiente di protezione diviene teatro di impensabili violenze allora tutto cambia. Oggi anche io ricerco la giustizia nelle aule giudiziarie, ma spesso non la trovo. Si continua a sentire nei notiziari, giorno dopo giorno, tragedie familiari e oggi esiste il cosiddetto “CODICE ROSSO”, che prende in considerazione anche i reati di tipo psicologico, ma cosa è cambiato…? Intanto la violenza familiare e un fenomeno di origini decisamente remote, sviluppatasi in forme differenti, come prevaricazione psicologica, sociale, sessuale, fisica e persino economica da parte di un soggetto dominante nei confronti di un individuo (della famiglia stessa a volte) in una posizione di debolezza. Tuttavia si parla di passato dove non esisteva il codice rosso, in quel passato dove regnava l’idea di una famiglia quale oasi di pace, isola felice, ove la violenza era bandita e se veniva denunciato qualcosa, come l’illecito abuso di un fratello o una violenza psicologica di una madre, quella persona veniva considerata una scheggia impazzita che frantumava la serietà e l’equilibrio familiare, con tutte le ripercussioni vergognose che in un contesto di famiglia patriarcale, vi erano allora, ove tali situazioni venivano sistemate da quella figura parentale detta “cuscinetto”, che agiva appunto per porre rimedio ai conflitti o ai problemi interni al nucleo familiare; oggi si può denunciare si! Vero!! Però soprattutto nella giustizia, intesa come virtù morale, privata e non codificata, in base alla quale si dovrebbero osservare regole comportamentali riferite al passato ai traumi che riguardano la persona, nei doveri e nelle aspettative, oggi questo, secondo me non avviene.

Giustizia morale, intesa come senso di onestà, correttezza e solidarietà, riconoscere proprio quello che contraddistingue una famiglia, intesa come cellula primigenia della società, dove si dovrebbe creare un contesto di vita unico, protezione, amore e lealtà, all’interno del quale si dovrebbe sviluppare la crescita e la personalità dei propri figli. Ma proprio in quella famiglia dove vieni cresciuta con valori di lealtà, morali, di buona educazione e di giustizia, il progetto fallisce proprio perché è già marcio dall’interno e tutto si disgrega. Tutto quello che aveva sorretto la famiglia, si perde. E così ecco che si sbocca in un mare di rabbia e di dolore; non c’è più patto morale, nessun progetto, l’unica necessità, in quel momento è “sopravvivere”, soprattutto per un bambino, che non è tutelato, perché non ha coscienza, ma soprattutto pensa che ciò che viene fatto dai genitori abbia un senso e che sia giusto e morale, perché lo dice la persona che gli insegna a crescere e di cui si fida di più… la sua mamma.

Oggi si può trovare protezione nelle aule giudiziarie, contro la violenza di regole di giustizia morale, privata, intima… ma ad essere giudicata è proprio quella bambina ormai diventata donna… ma ormai… troppo tardi! Si giustizia chi ha subito! Così inizia l’autodistruzione o la distruzione. Non importa se quella donna, da bambina, ha subito violenza fisica, psicologica, morale dalla mamma,non importa se ad 11 anni il fratello ha abusato sessualmente di lei, ed il tutto tenuto nascosto per vergogna, non importa se proprio la sua mamma la svalorizzava e degradava, demotivandola giorno dopo giorno, fino a quando quella bambina ha trovato la fuga, non importa se è dovuta crescere per forza di cosa un’ingiustizia morale e psichica solo perché all’ora si poteva nascondere. I cosiddetti “panni sporchi si lavano in casa” e questi allora non erano in “codice rosso” ma ragazzate, quisquilie, problemi da risolvere in famiglia e nessuno doveva sapere, “CHE VERGOGNA”!!

Quindi se quella bambina, ormai cresciuta e diventata donna sbaglia, perché fa uscire quell’irrefrenabile rabbia repressa su qualcuno oppure rifugia le sue paure, per scappare (perché non riesce ad affrontare per demotivazione pregressa poiché come detto svalorizzata), nella maledetta vita da tossicodipendente, tutto ciò che è stato prima non rientrerà nella valutazione di un giudice. Ma l’aspetto più crudele è che, nel momento in cui si profila la crepa di una crisi infantile, intanto si cresce e si cresce non concependo che il nemico non è altro che colui o colei che credevi che fosse la persona che doveva proteggerti, quella di cui dovevi essere “l’amore della sua vita”… la tua mamma o il tuo fratellone quello che gioca con te con le costruzioni. Violenza che può essere sottile, subdola e tagliente come una lama, ma non hai mai potuto chiedere aiuto, la tua anima urlava, ma nessuno la sentiva. Un girone infernale, si associa così ad una richiesta d’aiuto o giustizia (che, dalla stessa famiglia, veniva nascosta), negata perché poterne parlare diventava “vergogna”. Ecco!! Così quella bambina cresce e diventa donna e come tante donne attraversano la vita, in mondi e vite diverse, chi diventa operaia, chi manager, chi escort, contadina che però diventano psicotiche nonostante abbiano una vita dalle sembianze appagante. Tutte vittime di traumi di matrice familiare da emarginazione o frustrazione, subite per anni che poi si aprono come un vaso di pandora. Queste donne poi, vanno a cercare, magari nel proprio partner, il nemico con cui hanno convissuto la loro tragica infanzia, favorendo con la propria condotta l’evoluzione della violenza subita. Io sono l’esempio pratico di tutto questo… La così chiamata crisi familiare, cellula primigenia per crescere ed educare i figli, nonostante io abbia cresciuto mia figlia con buoni valori morali, dignità ed educazione in un contesto di solidarietà matrimoniale. Purtroppo il passato mi ha segnato, e non solo ho perso l’affettività che lega le persone ed il rispetto verso il proprio compagno, ma è entrato anche un sentimento egoistico che nemmeno io riconosco. Dunque in una sola subdola, se così si può pensare, vita infantile normale e in una sola vicenda di violenza familiare, si possono raggruppare tutti i tipi di violenza che, paradossalmente sono provocati e recati da quella bambina, ormai persona, ma precedentemente violentata che, svegliandosi e capendo di aver subito ogni sorta di sopruso per anni senza poterne mai farne nemmeno parola con nessuno, diventa lei stessa la carnefice. Io penso e credo fermamente che in tutte queste “violenze”, bisognerebbe soffermarsi, riflettere e aiutare queste donne come me, che arrivano ad essere quello che non sono, ma ciò che sono dovuti diventare per dover continuare a sopravvivere? Forse! Ma deve esserci una luce, una rinascita per poter risalire la china, elaborando gli errori della sottomissione e cercare di comprendere come la forza e l’energia che c’è dentro ognuna di noi possa rifluire, per poter dare un senso alla propria vita e a quella dei figli generati, perché non soffrano ciò che abbiamo dovuto vivere noi. Altrimenti ci si richiude in se stessi, la serenità va scemando fino al dolore più profondo, fatto di solitudine e depressione e se queste donne pensano finalmente di aver trovato la felicità, costruendo una loro famiglia… credendo nei valori di “Biancaneve, nelle favole… e vissero felici e contenti”, ogni motivo, anche il più futile, come per esempio:- non riporre lo spazzolino al proprio posto, parlare qualche secondo di troppo, scriversi con una persona non gradita dall’altro-, può fare esplodere la miccia dell’aggressività, giungendo così a casi più estremi piccolezze che sfociano in drammi familiari che oggi vengono puniti ma al contempo, chi viene punito e lei stessa la prima vittima; e quella vittima ormai stremata perché ancora incompresa e addirittura ancora punita, non ha più voglia di combattere e comincia a sentirsi sola e si lascia andare giorno dopo giorno; perde l’equilibrio… ed ecco è proprio qui che bisogna unire “GIUSTIZIA CON COMPRENSIONE E AIUTO” e questa donna dovrebbe essere ascoltata con un atteggiamento di puro supporto e non giudicante, cosa che spesso non avviene, dentro e fuori alle aule giudiziarie. Tutto questo è molto delicato, lo so! Ma dovrebbe coinvolgere da subito aspetti psicologici che gli operatori del diritto, siano essi giudici, avvocati o assistenti sociali dovrebbero cogliere con empatia, confidenzialità e vero supporto. Penso sia la formula vincente per dare un vero ed essenziale aiuto, quindi abbinare interventi legali, da subito, a quelli di supporto di tipo psicologico, cognitivo comportamentale, che la galera sicuramente non dà e non risolve. Per lo meno in questi casi dove ancora non si è arrivati al dramma e quella persona può essere salvata e riequilibrata. Perché quel trauma può trasformare quella bambina, che aveva tanti sogni e condurla ad atti estremi, accecati da sentimenti di odio e vendetta. Ma a prescindere da tutto un essere umano che ha subito e, continua a subire violenza, può diventare ciò che non sarebbe diventato e soprattutto non avrebbe diventare mai, deve avere la possibilità ed un necessario aiuto per potersi rialzare, rivalorizzarsi e aiutarlo significativamente a trovare quella forza, per non piegarsi ad eventi negativi e così finalmente trovare quella motivazione, quell’impulso positivo per farsi una vita, una vita semplice, normale, valorizzante. Fargli ricordare che questa vita che ha sempre visto negativa non lo è affatto, non è piccola, non è stretta e inutile o senza motivo, non è limitata e senza uscita e soprattutto non è solitaria, ma può essere meravigliosa, piena di speranza, sogni e persone migliori, che c’è sempre una luce alla fine di un tunnel.

Questo mio pensiero, in conclusione, non vuole avere un significato nascosto e non vuole essere solo una chiacchiera dal rumore vuoto ma uno strumento per riflettere sui drammi famigliari, della vita familiare, nel vortice patologico che colora l’emotività delle persone e che si, è vero, c’è anche il pazzo che uccide o violenta perché nato cattivo, ma a volte c’è ben altro sotto un dramma di maltrattamento e va valutato con criterio, guardando tra le righe. Perché la rabbia sul viso, i pugni chiusi, il rumore di quell’imbarazzo, non trasformino più dei bambini che potrebbero vivere una maturità normale. Ma soprattutto aiutarli, ascoltarli e valorizzare la loro storia e non punirli ancora; per me è questo ciò che si dovrebbe fare… intrecciare tutti questi fili in un telaio che possa creare una tela forte e sana per cambiare il metabolismo della vita.