Una riflessione sulle lotte interclassiste ad esempio quelle femministe.

Questo testo è un tentativo di analizzare la necessità di un femminismo di classe, evidenziando le contraddizioni che riscontriamo in alcuni movimenti, proposte ed esperienze. Parliamo solamente a nome del genere femminile e maschile, senza pretendere di esaurire tutte le tematiche relative ai generi o agli orientamenti, ma anzi volendo stimolare il dibattito.

Viviamo un periodo storico dove il riconoscere le classi sociali come anche il patriarcato sembra difficile, non esistono più i proletari come si intendevano nei decenni scorsi, i nuovi borghesi sono mediamente impiegati pubblici e le donne non devono stare chiuse in casa… Però le differenze esistono.

Il sentirsi riconosciute è molto importante. Le differenze devono essere valorizzate.

Le lotte interclassiste, che per definizione includono tutti gli strati sociali, in realtà tendono a tutelare gli appartenenti alle classi privilegiate, in Italia questo lo si può riscontrare nel movimento di Non Una Di Meno.

Essere privilegiate vuol dire appartenere ad una classe medio-borghese, quella dove si condensa maggior potere e cultura nella nostra società, e che per questo richiede più diritti e la parità tra i sessi senza una reale messa in discussione del patriarcato.

Conoscere la parola liberazione è una possibilità che non tutte hanno, figlia del privilegio di poter studiare, lavorare, viaggiare, acculturarsi, avere una certa disponibilità economica e poter scegliere se avere una famiglia o un uomo o una donna a fianco.

La richiesta di avere gli stessi diritti di un uomo, una richiesta che si fa alle istituzioni, le stesse che fanno violenza e che fanno il doppio gioco, quelle che stuprano, che uccidono, che ti dicono di stare al tuo posto, quelle che ti sminuiscono, che non vogliono darti le stesse possibilità ma che per proteggere la loro facciata istituiscono il giorno contro la violenza sulle donne, a sottolineare il valore inferiore di una donna.

Potremmo dire che questa classe medio borghese ha come fondamento principale l’articolo 1 della Costituzione (l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro).

Le attuali lotte femministe più partecipate in Italia sono lotte democratiche di delega, basate su richieste di diritti paritari che non possono portare ad altro che alla valorizzazione di sfruttatori e sfruttati e sfruttatrici e sfruttate, e che poco ha a che fare con la liberazione del corpo ma mira a raggiungere lo stesso potere detenuto dall’uomo.

L’esempio più eclatante è stare in piazza insieme alle forze dell’ordine: donne che manifestano per avere la stessa paga e diritti di uno sbirro o di un militare uomo!!

La classe proletaria o sottoproletaria potremmo dire che trova fondamento sull’articolo 29 della Costituzione (la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio).

La famiglia nucleare e la conseguente prole storicamente equivalevano alla possibilità di creare profitto.

Una donna viene cresciuta con l’obiettivo di creare una famiglia, essere fedele al marito, crescere i figli, fare le faccende di casa.

Le possibilità di scelta sono limitate da una cultura patriarcale che stringe le sue catene fino al soffocamento.

Lo studio, il confronto, il vedere il mondo, non è per tutte. La mancanza di soldi e la poca autonomia non lascia scampo. Sono poche le ragazze che riescono a sfuggire da queste catene (almeno quelle della famiglia) rischiando di perdere i propri cari o magari pure perseguitate dagli stessi e iniziare una vita da sola in un mondo maschilista.

Riconoscersi come donna e sapere di valere è un valore molto importante per chi non pensa di significare nulla. Per questo la presenza in piazza di una donna proletaria è difficile. Sia per la non conoscenza della parola liberazione, sia per la non identificazione nelle “parole d’ordine” imposte.

Lotte femministe in Italia. Prima di Non una di meno e Non una di meno

Negli ultimi decenni la donna ha lottato per i suoi diritti all’interno di questa società malata. Si è fatta valere di fronte a un patriarcato ostile e sfruttatore. In Italia grazie alle lotte si sono riuscite a far passare molte leggi da quella del divorzio alla legge sull’aborto che sono state fondamentali per la propria indipendenza, si può dire però che ha portato non pochi problemi.

L’inserimento nel mondo del lavoro delle donne e lo sviluppo capitalista hanno fatto cambiare la visione della donna.

Se prima la donna era vista come la moglie che deve curare la casa e i figli, dopo c’è stato un ribaltamento. La donna indipendente, forte e grintosa, pronta a lottare con le unghie e con i denti per guadagnarsi il posto più in alto nel lavoro, è diventata la nuova immagine delle pubblicità.

Sono sempre meno le pubblicità per le casalinghe, ora la donna viene presentata come un’affascinante impiegata che torna affaticata dal lavoro e deve pulire casa, ma lo fa nel modo più semplice e rapido grazie alle nuove invenzioni del capitalismo. Questo fa sì che il ruolo della donna non cambi, ma che cambi il modo in cui esso viene rappresentato.

Il prototipo della donna bella è questo: “devi avere le curve giuste, essere magra abbastanza ma non troppo, per essere apprezzata dai più o per fare carriera perché non si può avere un posto di lavoro dignitoso se non si hanno le labbra abbastanza carnose e un bel decolletè da far vedere al capo o ai colleghi.” E qui il capitalismo ci sguazza.

Nuove regole per il corpo: bisogna eliminare la cellulite, avere le tette sode, basta brufoli e peli, così le case farmaceutiche e “l’industria della bellezza” guadagnano e si arricchiscono.

Sfruttiamo giovani ragazze, facciamole soffrire e ammalare dicendole che sono orribili e non saranno mai accettate da questa società che si fonda sull’estetica e sui soldi.

Vediamo l’assurdo di donne in tv che parlano della propria emancipazione e sono solidali a tutte le donne vittime del patriarcato, dagli abusi all’anoressia rappresentando invece l’esatto prototipo creato dal capitalismo con labbra, tette, culo, gambe rifatte, più plastica che carne. Queste donne rappresentano esattamente uno degli orrori di questo mondo.

Come fa una donna così a parlare per tutte?

Una donna che già “dall’estetica” fa vedere di avere soldi, di essere di estrazione borghese, che sprona lo sfruttamento femminile nel vendere il proprio corpo per ciò che vuole il capitalismo, contribuendo alla sofferenza di milioni di donne che non si riescono a liberare dai clichè imposti.

Il “farsi avanti”, inteso come arrampicarsi sulla scala sociale, è sempre stato alla base della meritocrazia, creando una classe d’élite funzionale al mercato e alle aziende che fanno risaltare le “diversità”. Il femminismo liberale, che fa finta di non essere discriminatorio, in realtà ha creato delle grandi disuguaglianze senza mai distruggere l’oppressore. La donna bianca, bella e ricca sarà rispettata e sarà la nuova figura dell’azienda, la donna nera rimarrà la donna delle pulizie maltrattata. Questo “movimento” è a sentir nostro egoista ed elitario ed esclude tutte le questioni di classe, non che includerle e renderle reali sia semplice ma non considerarle è per noi una grave mancanza.

Circa cinque anni fa è nato in Argentina il movimento Non Una Di Meno che in seguito si è esteso in quasi tutto il mondo.

Lo sciopero è uno dei metodi utilizzati dal movimento per protestare contro gli sfruttatori e le disuguaglianze, porta in strada milioni di donne e non solo, che bloccano il sistema lavorativo per molte ore o giorni, creando un danno finanziario notevole. Questa pratica ha legato e lega milioni di donne di diversi paesi, che scendono in strada lo stesso giorno per lottare e rivendicare i loro diritti.

Questo movimento, però, si è evoluto in modo differente nei diversi paesi. Nell’anno 2020 Non una di meno in Italia ha scritto “Abbiamo un piano”, un piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere.

Quello che leggiamo è un piano totalmente di delega istituzionale. Non mette in discussione i poteri vigenti vuole riformarli ma riformare non vuol dire distruggere i poteri che mantengono vivo il patriarcato e le violenze che ne derivano.

I responsabili siamo noi, che continuiamo a pensare che il cambiamento del linguaggio di un libro sia un metodo rivoluzionario, convincendoci che quando un bambino lo studierà, o potrà studiarlo, in futuro poi non picchierà la moglie o non bullizzerà i gay.

Pensiamo che la rabbia sia la strada per la ribellione, individuare i responsabili – che sappiamo bene chi sono – è la strada che ci può portare a un vero cambiamento.

Non una di meno dà la colpa al capitalismo e per questo vuole creare degli spazi paralleli per aiutare e sostenere le donne e chi subisce violenza, questi spazi possono uscire dalle logiche del riformismo solo se esiste una lotta contro il capitalismo e il patriarcato, in caso contrario si vanno a sommare alle varie forme di assistenzialismo, diventando funzionali al sistema, e perdendo ogni possibilità distruttiva delle imposizioni patriarcali.

Non può esistere solo l’8 marzo per scendere in strada.

Sarebbe giusto e bello scendere tutte e tutti uniti contro i femminicidi o prendersela con le aziende che sfruttano le donne o che lucrano sopra a un finto femminismo, che è funzionale soltanto a loro.

Ci sembra assurdo che dopo un anno di pandemia e restrizioni, questo 8 marzo 2021 si è pensato solamente ai soliti teatrini: dalle mimose si è passati al fuxia.

Queste pratiche ricadono nell’alveo della manifestazione del libero pensiero, sicuramente lecite ma tremendamente inefficaci, inadatte a mettere realmente in discussione la repressione e la violenza dello Stato e del patriarcato, e le conseguenti violenze e femminicidi.

Quello che rimane non è una spinta verso la liberazione, ma solo dei blandi movimenti di opinione che spesso, pur non volendolo, ripiegano sul riformismo.

Lotte femministe all’estero

Il movimento femminista è particolarmente variegato all’estero, questo è dovuto principalmente al fatto che in ogni Stato si vivono diverse condizioni di disuguaglianza. Non è un caso che Non una di meno sia nato proprio in Sud America, dove sono diffusissimi i femminicidi, che arrivano a picchi impressionanti in alcuni paesi, come il Messico, o in altri paesi che continuano a scontare la brutalità delle istituzioni, dell’esercito e della polizia, nonché di governi eredi delle dittature che hanno caratterizzato il ‘900.

Un lato interessante delle enormi manifestazioni dell’altra parte del mondo, è proprio il loro carattere distruttivo, che non ha rifiutato lo scontro con le forze dell’ordine o ha lasciato il segno in città con una forza che è sconosciuta ai cortei femministi in Italia e spesso nei paesi occidentali.

Bisogna ricordare che effettivamente la condizione della donna in molti paesi del Sud America non è minimamente paragonabile a quella nell’Europa occidentale, in Argentina è stato regolarizzato solo quest’anno l’aborto, ma ciò che caratterizza la condizione precaria delle donne sono anche le enormi differenze di classe che in Europa son in parte livellate.

La lotta che ha animato questi paesi negli ultimi anni è quella per i diritti basilari, chiede leggi e riforme, ma non per questo va classificata come riformista.

Bisogna prendere in considerazione, non solo le modalità di piazza, o la metodologia scelta per lo scontro, ma ancora di più quanto la richiesta di determinate tutele sia necessaria e coinvolga numerose anime antagoniste. Infatti è vista come un notevole passo avanti in Stati profondamente arretrati dal punto di vista legislativo, per cui una delle maniere che si ritengono potenzialmente utili per tutelare le classi proletarie è proprio quella di nuove forme legislative. In realtà c’è una notevole diffidenza verso le cariche istituzionali, non è raro che queste collaborino nei traffici di droga e di persone, non sono rare le sparizioni, nonché le accuse di stupro o femminicidi a carico di polizia o militari. Probabilmente nei paesi in cui non esiste sanità pubblica, né servizi basilari, la scelta più utile, per quanto insidiosa, è quella di chiedere più tutele e lottare duramente per averle.

Come si può notare guardando qualche video delle manifestazioni, i metodi usati sono duri, non si risparmiano in nome di un rapporto con le istituzioni, hanno il coraggio nello scontro e il desiderio della rottura. Non si può nascondere l’emergere di tale rabbia dalla spaccatura di classe che ogni giorno viene vissuta più duramente, che ti porta a partorire numerosi figli non voluti perché non si conosce o non si hanno i soldi per la pillola o i preservativi, che porta alla pratica dell’aborto senza le necessarie precauzioni mediche, ad accettare un uomo violento per il pane che riesce a portarti a casa o si arriva alle soglie della prostituzione per racimolare qualche soldo.

Queste lotte hanno avuto la forza di essere costanti e partecipate e il loro eco è arrivato sino a noi in un clima di ripresa del dibattito sull’uguaglianza tra generi, all’interno di una situazione di allarme per l’aumento del numero dei femminicidi e di messa in discussione dei diritti basilari, come ovviamente l’aborto. Anche nella “civile” Europa c’è chi non se la passa tanto bene e solo da poco si è vista riconoscere la legalizzazione dell’aborto, come in Irlanda, o chi ancora da almeno due anni invade le piazze in un clima bigotto e reazionario, come in Polonia.

Chi ha voluto far sentire la propria voce in capitolo negli ultimi quattro anni è anche la Spagna, attraversata da manifestazioni oceaniche contro la negligenza delle istituzioni e l’impunità per gli stupratori. Alcuni fatti di cronaca hanno permesso una notevole unione in difesa delle vittime, fatto acuito dalle scelte dei giudici in questione che spesso sminuiscono vergognosamente i fatti.

La Spagna ha però anche mostrato una notevole banalizzazione della questione femminista, riducendo alle discussioni nei salotti televisivi, le prese di posizione del mondo culturale e i media, diventati rappresentanti di questo nuovo femminismo alla moda. Quel femminismo che dice che una donna per valere, deve ricoprire le stesse cariche di potere di un uomo, come essere a capo di un’azienda, di un partito, della polizia e via dicendo. Ovviamente parliamo di un femminismo borghese, delle donne al potere, delle sfruttatrici, un femminismo che non può ottenere tutto per tutti, perché gli interessi delle sfruttate e degli sfruttati non saranno mai i loro.

Il difetto più grande del femminismo spagnolo è che non riesce a superare queste contraddizioni proprio perché accetta che nelle piazze di presunta lotta parli Ada Colau, sindaco di Barcellona e applaude Sanchez al governo come alleato delle donne.

Questo accade anche in Italia, e anche da noi in Sardegna, dove troppo spesso incontriamo toni di esaltazione femminista per una candidatura a sindaco di una donna, o una nomina di una giudice o di una assessore. Un esempio è quello della candidatura all’elezioni comunali della Ghirra, nella coalizione di centro-sinistra, una delle motivazioni date per il suo sostegno era proprio quella relativa al suo essere donna e quindi, femminista. Cosa potremmo chiedere di più di una sindaca? Questa campagna seguiva quella di incensamento del sindaco Zedda, ritenuto uno stretto alleato delle donne, sostenitore di Non Una Di Meno Cagliari, che porta il suo “impegno” politico nella difesa della rappresentanza femminile all’interno del consiglio regionale.

Conclusione

Durante questo periodo di restrizioni, che ormai va avanti da più un anno, quanto si è evidenziata la differenza causata dai privilegi di classe?

I metri quadri di una casa, avere più proprietà, un lavoro che ti permette di uscire e viaggiare, poter pagare un medico specializzato, sono tutte cose che permettono di avere una qualità di vita diversa da altre.

Quante violenze hanno subito le madri e i figlie/i stando 24 ore su 24 in casa insieme al marito-padre? Le 8 ore di lavoro del marito sono il momento di libertà che tante donne hanno e che in questo ultimo anno non sono riuscite ad avere.

Queste particolarità le si fanno notare nelle lotte femministe? Le compagne che tipo di lotta per la liberazione del genere femminile vogliono portare avanti?

In quanto compagne e compagni dobbiamo riconoscere che per arrivare all’obiettivo della liberazione individuale e del mondo in cui viviamo, bisogna portare avanti di pari passo tutte le lotte, compresa quella della liberazione dei corpi e riconoscere le donne in quanto donne e rispettarle per quello che sono.

Non saranno mai uguali un uomo e una donna, e nemmeno una donna e un’altra donna. Non vogliamo i diritti scritti sulla Costituzione che ci “rendono” uguali ma vogliamo riconoscere le nostre differenze.

La rabbia dobbiamo provarla contro i padroni, contro le forze dell’ordine e i militari, contro le multinazionali, contro lo Stato e contro il sistema basato sul patriarcato.

Le lotte femministe non possono che essere inserite nella più ampia lotta di classe per liberarsi da ogni forma di oppressione.

Dobbiamo lottare per la liberazione di tutti da quelle catene che ci hanno inculcato da quando siamo nati e nate.

La rivoluzione sociale non avverrà senza le donne.

L&K