Riceviamo e pubblichiamo:

La questione del COVID dietro le sbarre non è certo una novità né per le pagine di questo sito né tantomeno per la campagna Nishunu Est Solu, che è nata proprio a partire dalle rivolte dell’anno passato generate dall’arrivo dei contagi all’interno delle prigioni. Quello che mi ha spinto nella scrittura di questo articolo è cercare  di trattare questo argomento come a sé stante e non considerarlo, come fatto altre volte, come un fatto che amplifica semplicemente altri problemi già noti. Tuttavia è sicuramente vero che la crisi sanitaria si è innestata con altre problematiche pregresse a cui è   impossibile non fare accenno per trattare un argomento come questo. Un esempio è la convergenza col problema del sovraffollamento, che ha aperto il dibattito delle pene alternative al carcere e dei braccialetti elettronici – tema già trattato in uno scritto precedente – e che ha fornito gli strumenti alle amministrazioni carcerarie e alle istituzioni per legittimare un ulteriore isolamento dei detenuti dai loro famigliari e da qualsiasi contatto umano. Sia il blocco dei colloqui, sia la soppressione di momenti di socialità, come laboratori e uscite per buona condotta, sono da considerarsi dei soprusi che hanno una sola logica: far pagare ai detenuti la condizione di anormalità data dalla pandemia. Se questo accade anche fuori dalle mura del carcere, non c’è alcun dubbio che all’interno avviene in maniera del tutto sfacciata e impunita. Si tratta a mio parere del cambiamento più drastico nelle carceri all’epoca del COVID e non a caso è la questione che ha animato le rivolte di marzo e le proteste di settembre.

Con la variazione da fascia bianca a quella arancione – come è accaduto qui in Sardegna – i colloqui hanno risentito delle nuove normative: teoricamente sono concessi in presenza solo a chi risiede nel comune in cui si svolge la detenzione del proprio caro. Inutile dire che moltissime carceri in Italia si trovano in piccoli comuni con pochissimi abitanti, con la conseguenza che i colloqui sono di fatto bloccati per la quasi totalità dei detenuti.

Anche la gestione dei contagi interni appare controversa, vista la difficoltà a reperire materiale; infatti per evitare il panico tra i parenti molte amministrazioni carcerarie hanno impedito alle notizie di fuoriuscire, come abbiamo più volte sottolineato. L’attenzione allo stato di salute dei nuovi giunti è abbastanza scrupolosa, per lo meno dal poco che è trapelato in questi mesi. Infatti i detenuti vengono visitati nelle apposite strutture della protezione civile poste all’esterno del carcere. Nel caso di positivi, asintomatici o non, si ricorre all’isolamento. Quasi tutte le carceri non possedendo celle libere per ospitare i contagiati e spesso costringono questi ultimi a sostare fino alla guarigione nelle celle destinate all’isolamento. Nei casi di diffusione del contagio le linee guida per l’emergenza Coronavirus all’interno delle carceri, fatte circolare dal Ministero della giustizia già dall’anno scorso, sono invece poco precise e dunque si presume lascino ampio spazio di manovra alle singole strutture penitenziarie, cosa che non è affatto un bene. Si limita a precisare che nel caso di assenza di spazi, si può procedere con “l’isolamento non esclusivo (sic!) in stanze comuni, ove riunire i ristretti secondo criteri ed. di coorte (ovvero il raggruppamento secondo caratteristiche comuni a più persone da isolare, quali possono essere la previa convivenza, le frequentazioni assidue, l’arresto collettivo, etc)”.

Altra questione spinosa sono gli spostamenti e i trasferimenti: le linee guida del Ministero raccomandano di ridurre entrambi al minimo. Di fatto però sono stati limitati gli spostamenti per i processi e le attività esterne al carcere, mentre sul lato dei trasferimenti punitivi è ormai acclarato che in molti casi non solo non è stato posto un freno, ma si sono addirittura condotti in totale assenza di precauzioni quali il doppio tampone negativo a distanza di una settimana nell’istituto di origine e isolamento precauzionale di 14 giorni nell’istituto di destinazione. Questo è il caso ad esempio dei trasferimenti avvenuti in seguito alle rivolte di marzo 2020, che hanno generato in numerose carceri conseguenze disastrose. Emblematico è ciò che è accaduto nel carcere di Saluzzo in Piemonte, che ha accolto i detenuti provenienti da Bologna, trasferiti in seguito alle rivolte. Molti di questi erano positivi al Coronavirus e hanno contagiato vari altri detenuti che erano già reclusi a Saluzzo e che fino ad allora non avevano avuto nessun contagio nella struttura. Se per la procura di Cuneo il caso è sospetto e si indaga ora per epidemia colposa, per i prigionieri non c’è alcun dubbio: il virus è arrivato assieme ai trasferiti da Bologna in seguito alle rivolte, struttura in cui per altro si è riscontrato il primo morto da COVID all’interno di una prigione.

Prima di concludere, credo sia necessario spendere altre due parole sulla campagna vaccinale in carcere, su cui non è affatto facile esprimere un parere. Ma partiamo dai dati certi di cui siamo in possesso. Nella cosiddetta fase due i contagi tra i prigionieri sono aumentati notevolmente rispetto alla passata stagione. Dei 52.532 detenuti, sarebbero 683 quelli positivi, tra cui 18 nuovi giunti, secondo i dati aggiornati al 31 marzo del Ministero dell’Interno. I casi sono in continuo aumento rispetto alle settimane precedenti e con ogni probabilità cresceranno ancora. E’ evidente che è necessario un provvedimento, visti i problemi a cui abbiamo accennato in vari scritti tra cui sovraffollamento, immunodeficienza dei detenuti, scarsa attenzione alle precauzioni ecc. Molti politici, garanti dei detenuti e associazioni chiedono dunque già a gran voce una campagna vaccinale urgente per tutta la popolazione carceraria, lamentando la lentezza con cui vengono inoculati i vaccini all’interno dei penitenziari. Io non sono dello stesso avviso. E’ necessario che le persone possano tutelarsi con il vaccino se lo ritengono necessario, ma è altrettanto giusto che possano essere libere di informarsi sulle conseguenze di quest’ultimo e scegliere senza costrizioni. L’assenza di questa libertà, che in parte sperimentiamo anche all’esterno, in carcere è già realtà, o quasi. Se già fuori le informazioni sono a senso unico ed è molto difficile reperire notizie critiche sui vaccini e sulle loro conseguenze, dentro il carcere non c’è possibilità di informarsi se non attraverso qualche canale televisivo e pochi giornali. La corretta informazione dovrebbe essere un presupposto fondamentale della campagna vaccinale; ma ovviamente in un mondo come il nostro, dominato dalla logica del profitto, in questo momento è più importante vendere dosi del vaccino al migliore offerente. Quale miglior posto del carcere per fare affari? Vite umane che valgono poco e che peraltro, in caso di rifiuto del vaccino, possono incorrere a pressioni anche molto pesanti, come accade in molti altri ambiti della vita carceraria. Tuttavia allo stato attuale, nelle regioni dove la campagna sta andando avanti, ci risulta che molti abbiamo rifiutato la vaccinazione. Per di più, dietro le sbarre non si può accedere ad consulto medico in caso di controindicazioni, ma sopratutto non si può scegliere il vaccino adeguato in base ad esse e alle patologie specifiche del detenuto, cosa che invece all’esterno sta diventando la normalità[1]. E’ superfluo dire che in carcere, anche nel caso di controindicazioni, queste potrebbero essere fatte passare per altre patologie pregresse o chissà che cos’altro. Mi stupisce anzi, che i detenuti non siano stati sottoposti a esperimenti biologici su larga scala.

A questo punto chi legge potrebbe pensare che sono contrario ai vaccini; tuttavia ciò non è affatto vero, dal momento che non ritengo di avere le competenze adeguate per dare alcun tipo di valutazione su argomenti di questa natura. Penso solo che sia necessario che le notizie circolino in un modo meno interessato e fazioso sia all’interno del carcere che fuori. Inoltre, dal mio punto di vista, la questione dei contagi in carcere non si porrebbe nemmeno se ci fosse la possibilità per i detenuti di scontare la pena nelle loro abitazioni. E tante vite e tante sofferenza sarebbero state risparmiate.

Come abbiamo già detto: la liberazione anticipata è sicuramente il miglior vaccino.

Dani


[1] Questo è dato dal fatto che le Regioni mettono a disposizione solo una tipologia di vaccino per tutti i detenuti, senza alcuna possibilità di scegliere  quello più adeguato. Questo è già accaduto nel caso del Lazio che ha acquistato vaccini Johnson & Johnson dal momento che, essendo monodose, erano più pratici nel caso della popolazione carceraria.