L’uomo ha abitato la terra per secoli e millenni, senza doversi preoccupare più di tanto di quanto la sua presenza incidesse negli equilibri ecologici, il prelievo in natura e le trasformazioni per nuovi insediamenti non recavano un danno che potesse essere ritenuto rilevante.

Negli ultimi secoli invece si sono diffuse le prime estinzioni di alcune specie animali, le foreste hanno iniziato a essere selvaggiamente tagliate, le montagne scavate e così via.

L’avanzamento tecnologico ha imposto uno sfruttamento sempre più selvaggio delle risorse della terra.

L’accelerazione è stata talmente veloce che oggi la conservazione del pianeta è in serissimo pericolo, le specie e gli ecosistemi in difficoltà non si contano più, non esistono più luoghi vergini, l’inquinamento è arrivato ovunque.

Tutto è stato spinto talmente all’estremo che le conseguenze sono imprevedibili, come stiamo sperimentando con l’attuale pandemia.

Vi sono in questo ambito macro temi come il riscaldamento globale, l’inquinamento dell’aria, il problema dell’acqua, le discariche e così via, temi che riscuotono grande interesse a tutti i livelli.

Ogni Stato ormai ha un Ministero dell’ambiente (da poco in Italia uno anche della Transizione ecologica), vi sono movimenti d’opinione come Friday for Future, eminenti scienziati e figure del mondo politico e culturale che si espongono a difesa del pianeta. Sembrerebbe quindi che la presa di coscienza sia in atto e si sia quasi pronti a per la svolta green, ma così non è. Il green è diventato il nuovo modo per ENI o Saras di fare soldi continuando a devastare la terra, ma ingenerale tutti quanti noi facciamo una fatica tremenda a modificare le nostre abitudini più comode in cambio di una tutela del pianeta.

Quando dico noi, intendo proprio me stesso e le persone che vivono vicino a me qui in Sardegna, terra a parole amatissima, sentita nel cuore, tatuata su migliaia di corpi eppure…

Eppure basta prendere l’uscita della ss 131 in direzione ss 554 per vedere un’enorme montagna di immondizia che ogni settimana si rigenera, una visione orribile, di sacchetti lanciati dalle automobili, che si schiantano sull’asfalto rompendosi e lasciando fuoriuscire il loro contenuto che con il vento si sparge in tutta la strada e i prati affianco, creando un panorama a dir poco vergognoso, che nonostante ogni tanto venga parzialmente ripulito dai netturbini non può essere nascosto.

Spettacoli come questo sono presenti ovunque in Sardegna, ogni piazzola, ogni cunetta, spiagge, campagne, edifici abbandonati, periferie ecc sono piene di immondizia di ogni tipo, rifiuti domestici, elettrodomestici, copertoni, macerie, troviamo veramente qualsiasi cosa.

Ma non solo, purtroppo non vi è luogo – neanche le cime dei monti – in cui non si trovino per terra mozziconi di sigaretta o involucri di plastica.

La nostra terra è ricoperta di rifiuti, e la responsabilità è di tutti.

Non solo, la Sardegna è la regione dello Stato Italiano con più ettari non bonificabili e fra quelle con più siti altamente inquinati.

Questi aspetti – che non possono sfuggire a chiunque si faccia anche un breve giro per la Sardegna – cozzano tremendamente con l’amore che i sardi non perdono occasione di manifestare per la loro terra. Un amore orgoglioso, che sembrerebbe parlare di un rapporto speciale tra terra e uomini che la abitano, ma così non pare.

Questo ragionamento potrebbe sembrare un’inutile ennesima lamentela di chi non è mai contento per nulla, ma così non è, o comunque non è solo questo.

Oltre alla tristezza e allo schifo che si prova nel trovare rifiuti anche nei posti più remoti – come ad esempio carcasse di automobili sott’acqua – ci sono delle questioni più profonde che vengono intaccate da questi comportamenti.

Il riferimento è a quel desiderio di autodeterminazione degli individui, dei territori e delle comunità, che potrebbe accompagnarci verso la liberazione dal capitalismo in tutte le sue articolazioni, che viene messo in fortissimo dubbio se i primi a non rispettare il territorio sono quelli che ci vivono.

Dietro il gesto di un sacchetto di immondizia gettato dal finestrino della macchina si nasconde molto più di un po’ di ignoranza e pigrizia. Si nasconde un’inconscia delega in un qualcuno – le istituzioni – che prima o poi raccoglierà quell’immondizia, l’assenza di un legame con il territorio che si sta attraversando e le persone che vi risiedono, e ancora non ci si assume la responsabilità della riproducibilità che quel gesto porta con se.

L’assenza di un’etica nel rapporto tra individuo e la terra in cui vive è la falla nella quale si insinuano altre forme – molto più pesanti – di inquinamento.

Non ci possiamo quindi stupire che una terra – che seppur molto amata a parole – piena di immondizia in ogni dove, non si opponga all’ennesimo progetto di devastazione e inquinamento.

La mancata responsabilità individuale crea un effetto a catena per cui prima le comunità più piccole (come i paesi), poi quelle più grandi (come le regioni interne della Sardegna) e così via, perdano la forza e la volontà di difesa del loro territorio, che per il tema trattato si traduce nell’impedire che nuove forme di inquinamento trovino spazi, e che quello già esistente venga nascosto e magari anche negato.

Senza fare una stupida apologia del piccolo gesto di raccogliere una cartaccia da terra, dobbiamo saper riconoscere quali sono le pratiche necessarie a ricostruire o difendere quei valori per cui vogliamo essere contraddistinti, da cui riemerga la forza dei percorsi di autodeterminazione personale e collettiva fatti di prospettiva conflittuale di attacco o resistenza; perché da domani ai prossimi anni la controparte che vive di sfruttamento di persone, risorse e territori ci attaccherà senza tregua alla continua ricerca di profitto.