A proposito della proposta del nuovo Piano casa

Il piano casa proposto dalla regione Sardegna per il 2021 sembra nuovo, ma le proposte al suo interno sanno di vecchio. Sono anni che gli ultras della cementificazione tentano di incentivare l’edilizia, in particolare quella turistica, con dei provvedimenti selvaggi.

La normativa del 2006 voluta da Soru mise un limite alle costruzioni indiscriminate imponendo dei confini oltre cui l’edilizia, quella costiera in particolare, non poteva spingersi. Il Salva coste di Soru non cancellò comunque l’eredità degli abbozzi di costruzioni abusive, diventate simbolo dello scempio a cui l’imprenditoria può arrivare per il traguardo del profitto.

La normativa fu duramente criticata sia da destra che da sinistra perché minava fortemente il potere clientelare delle amministrazioni comunali. In particolare a sinistra ci furono esempi eclatanti di sindaci del PD che difesero il diritto alle costruzioni indiscriminate.

La “nuova” proposta riprende dei vecchi cavalli di battaglia e in caso di approvazione durerebbe 3 anni, cioè sino al 2023.

Si parla di incremento volumetrico delle seconde case pari al 30% anche nella fascia a 300 metri dalla battigia e del 20% per le costruzioni antecedenti al 1989, inoltre consente di costruire all’interno di proprietà agricole anche in assenza di un proprietario che sia coltivatore diretto.

Per le strutture ricettive quali ad esempio gli alberghi si parla di un incremento del 50% (anche nella fascia a 300 metri dal mare), ma in questo caso la regione gioca il jolly del momento: il covid19 giustificando l’incremento enorme delle strutture ricettive con le norme sul distanziamento sociale, sostenendo che per incrementare la clientela siano necessari spazi più ampi. Una norma ulteriore ed altrettanto pericolosa è quella sulla possibilità di vendere a terzi le cubature inutilizzate, e non ultima quella che favorirebbe il recupero a fini abitativi degli scantinati.

Non ci si può certo stupire se una giunta che incentiva lussuose discoteche, privatizzazioni di strutture sanitarie e cantieri navali per il varo di yacht, riservi al settore edile una certa attenzione. La crisi dell’edilizia è in una fase di stallo da diverso tempo. Poche aziende hanno resistito alla crisi del settore immobiliare e quelle poche languono in attesa che si creino normative ad hoc o inseguono la grande lotteria degli appalti pubblici o europei.

Nel caso della Sardegna il problema ha diverse valenze e diversi piani di lettura.

Innanzitutto lo spettro che aleggia è quello dell’industria turistica di massa. L’aumento delle cubature per le strutture ricettive è una manna dal cielo per le grandi catene alberghiere e per chi ha sfruttato la terra con il solo scopo di estrarne profitto. Non è un miraggio vedere costruzioni semi abbandonate e non finite nei pressi di spiagge, magari bloccate dalle precedenti legislazioni che cercavano di salvare il salvabile. Con questa proposta di legge in pratica si cerca di sbloccare i cantieri fermi da anni, utilizzando la scusa dell’incremento turistico. Allo stesso tempo si favoriscono nuove costruzioni in terreni che potrebbero essere utilizzati per scopi agricoli o rimanere selvaggi.

Il turismo non può essere la panacea di tutti i mali, anzi.

Immaginiamo cosa significherebbe se il cemento ricominciasse a colare, sempre più vicino al mare togliendo sempre più spazi alla popolazione autoctona costretta a vivere all’ombra dei turisti di turno. Se questi provvedimenti sono poi mascherati come rimedi alla pandemia o addirittura come rispettosi dell’ambiente la presa per i fondelli diventa palese, offensiva e fastidiosa.

Un piano poi non trascurabile è sicuramente l’aspetto di classe. Non a caso i provvedimenti in proposta incentivano l’aumento delle cubature per le strutture ricettive, favorendo così i grandi costruttori a sfruttare sempre più il nostro territorio.

Una parte ancora più pericolosa della proposta è la possibilità di poter creare un commercio delle cubature inutilizzate, e sappiamo o possiamo almeno immaginare cosa significhi mettere sul mercato la possibilità di costruzione in attesa che i soliti avvoltoi del mattone ci facciano un’offerta. Per alcuni ci saranno le briciole per altri interi panifici.

La costruzione indiscriminata precedente alle norme del 2006 lascia ancora oggi degli strascichi sia dal punto di vista puramente paesaggistico che da quello ambientale. La tragedia che ha colpito Bitti, le alluvioni di Capoterra e zone limitrofe, sono solo alcuni degli esempi di cosa comporta la speculazione edilizia senza criteri e di cosa realmente interessi alle amministrazioni: denaro e voti, a discapito del territorio e alcune volte anche a discapito della vita delle persone.

I rischi idrogeologici, lo scempio del territorio, la trasformazione di potenziali terreni agricoli in dimore per turisti, sono degli aspetti che non possiamo far finta di non vedere e lo spettro del profitto dei soliti pochi noti non può bastare a comprarsi la nostra indifferenza.

La redazione di Maistrali