Quanti film guardiamo stupendoci della mancanza di mascherina o della disinvoltura dei contatti tra le persone?

Ultimamente si sentono sempre di più affermazioni che mostrano quanto abbiamo introiettato in noi determinate precauzioni che da Marzo a questa parte son diventate imposizioni. Ordini dati da un padre amorevole ai figli disubbidienti che non necessitano di ulteriori spiegazioni. E’ da questo piccolo esempio che si vuole partire per riflettere sulla nostra necessità di sicurezza, che negli ultimi mesi è stata espressa all’unisono nel volere più controlli.

Non stiamo parlando solo di chiedere più pattuglie nei quartieri popolari o nel centro città per eliminare il degrado, quei discorsi che andavano a caratterizzare principalmente una necessità di sicurezza classista che ora ha trovato anche altro sfogo. Dallo scorso Marzo ad ora, la sicurezza è stata fatta coincidere solamente con le misure che venivano via via varate e ci si è riscoperti in una città di controllori, pronti a sostituire la polizia nelle sue mansioni.

Questo ha avuto due proiezioni; quella individuale che ha caratterizzato il nostro rapporto con il prossimo, nonché la nostra accettazione della nuova quotidianità, e quella sociale con il ronzio di elicottero costante, il numero di volanti in aumento e tutte le conseguenze del caso.

Partire da quella individuale, è interessante perché ci porta alle contraddizioni che stiamo toccando a piene mani. Lo scoppio dell’emergenza coronavirus ci ha costretto alle mascherine nei luoghi chiusi, un’attenzione costante alla distanza di sicurezza assieme alla paranoia della disinfezione. Da due mesi a questa parte la mascherina è diventata obbligatoria in ogni luogo senza un reale nesso riguardo alla sua non obbligatorietà nei mesi precedenti. Con questo non ci si vuole sostituire in un’analisi rispetto ai dispositivi di protezione, alle precauzioni e alla loro efficacia, che viene fatta ampiamente da gente più competente. Può essere interessante riflettere su quanto tutto venga accettato, perché imposto con le varie sanzioni e perché siamo certi sia la cosa migliore da fare, quando ancora si discute tra scienziati e medici sull’utilità della maggior parte di queste misure.

Ci siamo pure dimenticati la bellezza di poter stare in tanti, in luoghi affollati e di socialità, le precauzioni ci hanno isolato per 3 mesi, non ci permettono di abbracciare chi vogliamo e ci fanno pure un po’ sentire in torto se non le seguiamo. Ovviamente lo stato di ansia in cui si vive, varia molto da zona a zona e anche se la Sardegna ha fatto poca esperienza di Covid, questo ha sicuramente influenzato le nostre giornate, la solitudine, determinando la poca solidarietà e la mancanza di aiuto in caso di reale bisogno.

I nostri gesti che prima potevano essere dettati dalla paura, hanno perso la loro giustificazione logica quando durante l’estate son stati spesso adottati comportamenti opposti, con la tolleranza dei controllori vari e della classe politica. E’ mancata, in generale, una critica seria alle misure prese in questi mesi, le scelte politiche e sanitarie e si è accettato che anche questa volta a pagare veramente son stati i più poveri. Solo la destra è stata capace di radunare gli scontenti, strumentalizzando delle perplessità lecite e permettendo ai media di far rientrare nel loro carrozzone chiunque non crede che “andrà tutto bene”. Non si è stati capaci di reagire a un’intromissione tanto importante dello stato nella vita individuale, perché un po’ siamo spaventati, un po’ ci scandalizziamo per gli assembramenti e alla fine chiuderci in casa diventa giusto, “non c’era alternativa”.

Le proteste degli ultimi mesi hanno dimostrato che in molti non ce la fanno più, ma il problema è proprio entrare nella posizione per cui una chiusura totale è legittima se veniamo pagati e ancor di più, siamo proprio noi a chiederla lasciando allo stato una facoltà ancora più grande di controllo di molti aspetti della nostra esistenza.

Qui entriamo nella dimensione relativa alle conseguenze sociali della pandemia. Può esserne un esempio la discussione che da Marzo imperversa in Sardegna; sulla sua chiusura per mantenerla “covid free”. L’inasprimento delle misure per il contenimento dei contagi è stato chiesto da molti e anche questo spesso non è accompagnato dalla riflessione su come alcune di queste misure vadano a creare dei problemi molto profondi, come l’impossibilità di accedere a varie cure, tanto che a inizio giugno si parlava nei media di una nuova “epidemia di tumori”. E se la sorveglianza è aumentata per ognuno di noi, non dobbiamo dimenticarci che gli sbarchi e le migrazioni non si fermano con la pandemia; che invece ha portato per i migranti una stretta maggiore sugli arrivi nell’isola e loro reclusione. Allora c’è da chiedersi perchè proprio queste misure ci rassicurano, perché vogliamo investire di un potere così grande chi ci governa.

Inoltre le stesse regole mostrano contraddizioni insolubili, stridono spesso fra loro e a volte sembrano un mero esercizio di penitenza senza valore scientifico, come ha detto candidamente l’immunologa Antonella Viola dell’Università di Padova:

«Il coprifuoco non ha una ragione scientifica, ma serve a ricordarci che dobbiamo fare delle rinunce, che il superfluo va tagliato, che la nostra vita dovrà limitarsi all’essenziale: lavoro, scuola, relazioni affettive strette.»

Detto proprio da chi influenza le scelte del governo e chiede ancora sacrifici fa un certo effetto.

Quanto ancora vogliamo accettare questa realtà? E’ miope non comprendere che d’ora in poi la vita sarà un’altra; fatta di controlli, multe dietro l’angolo e una distanza ancora maggiore tra le persone. Se tutto andrà come vogliono loro, staremo impauriti, ci faremo le chiacchierate in videochiamata e basteranno due soldi per tenerci chiusi, sta a noi invertire la rotta, non facendoci travolgere solo dalle cifre dei contagi e dal loro stato di guerra.

Pång ràss