Da oggi nasce la rubrica, che troverete sulla barra del menù a destra, Antropocene. Parla e parlerà dell’ecosistema in cui viviamo e di ecologia, di come l’uomo stia distruggendo la terra in cui vive e di cosa si possa provare a fare per contrastare questa deriva, o almeno non esserne complici fino al midollo.

Editoriale.

L’esigenza di scrivere in merito alla distruzione dell’ecosistema in cui viviamo nasce in me molto tempo fa, gli stimoli più forti li ho sempre trovati nel mio vagare per monti e per mari e nell’incontrare le peggio schifezze combinate dall’uomo, o nel vedere danni più o meno irreparabili.

Spesso per una curiosità infantile mai sopita sono andato a cercare le cause di tali scellerate azioni, e la conclusione che ne ho tratto – in pochissime parole – è che la responsabilità è collettiva, è troppo facile prendersela con i bracconieri di Capoterra se poi non sappiamo fare una critica alla Saras, e peggio ancora adoriamo avere gli uccelletti per il pranzo di Natale.

Il mio percorso di formazione in merito alle questioni ecologiche mi ha portato ad attraversare pesanti contraddizioni, fare scelte contrastanti, assumere posizioni radicali – o presunte tali – per poi arrivare ora ad avere la consapevolezza che la base per un possibile cambiamento è la conoscenza di ciò che vorremmo salvare.

Quindi in primis la scelta che ognuno potrebbe iniziare a fare è: se vuole o meno impegnarsi per salvare qualcosa, se cioè gli interessa evitare l’estinzione di flora e fauna, difendere alcune biodiversità, tutelare paesaggi e habitat differenti eccetera.

Tutto questo appare scontato, ma non lo è.

Basta fare una cena con amici e affrontare questi discorsi per rendersi conto che in molti non è chiaro l’interesse o meno a preservare l’ecosistema in cui vivono, alla base del dubbio c’è sempre la disponibilità o meno ad assumersi determiniate responsabilità, che prendono la forma di scelte e rinunce non sempre comode nella nostra vita.

Le più celebri sono divenute quelle alimentari, le scelte vegane o vegetariane sembrano essere di primo acchito le scelte più azzeccate, così la pensavo anche io, infatti per quasi cinque anni sono stato vegetariano, quello di cui poi mi sono convinto è che essere vegetariano (o vegano) in modo acritico non sia una soluzione interessante, vastamente riproducibile e che mi soddisfa. Detto questo nutro profondo rispetto per alcune scelte vegane o vegetariane, meno per altre, perché le considero troppo distanti e non convergenti con i miei obiettivi (io non affronterò nella rubrica particolari approfondimenti sulla questione vegetariano si-vegetariano no, ma qualora qualcuno fosse interessato a farlo la rubrica sarà aperta e disponibile).

Tornando alla questione delle scelte, il settore alimentare è sicuramente uno di quelli che incide maggiormente sull’ambiente, ma non solo, ovviamente buonissima parte della produzione in regime di economia capitalista incide pesantemente su suoli, mari, cielo e via dicendo. Ecco perché non accetto la banalizzazione e la gerarchia delle scelte spesso imposte da alcune “letture alimentari” del mondo.

Concludo questa presentazione della rubrica con una piccola riflessione che è semplice ma non banale, e che dovrebbe essere molto più diffusa di quanto già non sia. Le trasformazioni climatiche e ambientali sconvolgeranno il mondo molto più in lungo e in largo di qualsiasi guerra, provocheranno anche delle nuove guerre, provocheranno malattie, migrazioni e tantissima altra sofferenza.

La diffusione di pandemie come quella covid è una lezione che stiamo vivendo e che dovrebbe svegliarci dall’irresponsabile torpore egoistico nel quale stiamo vivendo, questa esperienza potrebbe durare più del previsto ed essere solo la prima di una lunga serie di imprevedibili conseguenze connesse alla devastazione dell’ecosistema globale.

Per questo la presa di coscienza dev’essere rapida e diffusa, affinché nel più breve tempo possibile vi si affianchi una pratica di lotta, che rallenti l’arrivo della fine dell’antropocene.